Come Slack è diventato uno spazio per le rivendicazioni sindacali negli Stati Uniti
Il diffuso software di comunicazione aziendale sta incentivando le discussioni tra dipendenti sulle cose che non vanno
Da ormai alcuni anni moltissime aziende e uffici in tutto il mondo hanno in comune uno strumento diventato essenziale per l’organizzazione delle attività lavorative e la gestione della comunicazione tra i dipendenti: il software di collaborazione aziendale Slack, che permette a gruppi di persone più o meno grossi di scambiare messaggi e informazioni e di coordinare le loro attività in maniera rapida e informale.
Di recente i giornali e i siti specializzati americani hanno cominciato a raccontare di come Slack e altre piattaforme simili siano diventate anche nuovi spazi a disposizione delle lavoratrici e dei lavoratori per discutere dei problemi legati alle loro aziende o per organizzarsi a livello sindacale, soprattutto nel settore tecnologico e in quello dei nuovi servizi. È un fenomeno rilevante non solo perché negli Stati Uniti i sindacati sono molto meno radicati rispetto ai paesi europei, quando non del tutto assenti, ma anche perché rientra in un più ampio fenomeno di maggiore partecipazione e sensibilità delle nuove generazioni alle questioni legate ai diritti civili, compresi quelli sul lavoro.
Tra i software di collaborazione aziendale, Slack sta diventando quello più popolare. Si basa su una serie di canali organizzati per argomento, pubblici o privati, in cui le persone o i gruppi di lavoro comunicano chattando, in maniera più semplice rispetto a un giro di email o a una catena di telefonate. E con modalità più pratiche e funzionali di altre piattaforme simili. Slack funziona sia da desktop che da telefono e favorisce in vari modi l’interazione, come un social network: si possono usare emoji e commentare gli altri messaggi, si possono condividere foto, video e link, e tra le altre cose si possono fare telefonate e videochiamate.
Esiste dal 2014 e nel tempo è diventato una delle principali piattaforme di comunicazione usate quotidianamente da aziende come Airbnb e Deliveroo, e da giornali come il New York Times e l’Atlantic (oltre che il Post). Lo usano politici, università, organizzazioni non profit e lo usa anche il Jet Propulsion Laboratory della NASA. A fine ottobre, quando la whistleblower ed ex dipendente di Facebook Frances Haugen aveva fornito a vari giornali americani molti documenti interni dell’azienda – i cosiddetti “Facebook Papers” –, i giornalisti delle varie testate si erano riuniti in un consorzio informale su una chat di Slack.
Lo stesso nome, “slack”, che si può tradurre con “perdere tempo” oppure “fiacco, lento, sfaticato”, strizza l’occhio al tipo di comunicazione informale e alla sensibilità aziendale rilassata che si è diffusa in particolare nelle grandi società tecnologiche degli Stati Uniti. Questo fenomeno peraltro non è stato interpretato soltanto con toni entusiasti, ma anche preoccupati: da tempo infatti si riflette su come queste nuove modalità di comunicazione aziendale risultino più invasive delle tradizionali email nella vita fuori dall’ufficio dei dipendenti. Per usare le parole dell’Atlantic, che ha affrontato l’argomento in un lungo articolo, Slack è «un software di lavoro che si è insinuato nelle nostre vite esattamente perché non sembra un software di lavoro».
Slack, continua l’Atlantic, è infatti uno spazio in cui si parla del più e del meno e si forma la cultura aziendale: un ambiente che si è sostituito alla chiacchierata da una scrivania all’altra o alla pausa caffè, soprattutto durante la pandemia da coronavirus, e che in molti casi è diventato anche uno spazio per comunicare il proprio malessere, raccogliere le lamentele o portare avanti iniziative comuni, come sindacalizzarsi.
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Uno dei vantaggi dei software di collaborazione aziendale è che potenzialmente tutti sono sullo stesso piano e hanno la possibilità di esprimere le proprie opinioni in maniera molto orizzontale, dai capi agli stagisti, con il risultato che i dipendenti hanno uno strumento in più per far sentire il dissenso o chiedere più tutele.
A giugno, quando uscì la notizia che il sito di intrattenimento e news BuzzFeed si sarebbe quotato in borsa tramite una SPAC, più di mille dipendenti dell’azienda si trovarono sul canale di Slack #aja, un acronimo di “Ask Jonah anything”, “chiedi a Jonah quello che vuoi”, per chiedere al CEO Jonah Peretti più trasparenza e capire come mai la notizia fosse arrivata prima ai giornali che a loro. Nel 2020 invece c’erano state ampie proteste sul canale #standards del New York Times, in cui si citavano «serie preoccupazioni in redazione» per via di un articolo del senatore Repubblicano Tom Cotton ospitato dal giornale. A causa dell’articolo, in cui Cotton invitava l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump a «usare l’esercito» per contenere le proteste del movimento Black Lives Matter, si erano successivamente dimessi almeno due caporedattori, racconta l’Atlantic.
Un esempio di come Slack sia stato usato per chiedere più tutele riguarda un progetto della startup Andela, che ha sede a New York e dal 2014 al 2019 ha reclutato e formato ingegneri provenienti da vari paesi africani per poi mandarli a lavorare in grandi aziende internazionali. Slack era il software più comodo per far comunicare tra loro le persone che partecipavano al programma, ed è stato proprio tramite Slack che nel 2019 alcune di loro avevano fatto circolare una petizione per chiedere compensi più alti, dopo aver scoperto che venivano pagate circa un terzo di quello che le aziende clienti pagavano ad Andela per il loro reclutamento. Il programma fu chiuso a fine 2019.
And the Slack Party is on @Andela_Kenya @Andela_Nigeria @googleafrica @udacity #ALCwithGoogle pic.twitter.com/BU6nOppcE0
— Cheruto (@Cheruto_Cheruto) May 11, 2018
Questo fenomeno però non riguarda esclusivamente Slack. Circa 600 dipendenti di Apple usano per comunicare, e per discutere di quello che non funziona, il software AppleConnect, lanciato nel 2018 sul server di Discord, un’app di chat e videochiamate inizialmente celebre tra gli appassionati di videogiochi e diventata popolare anche in altri ambiti. La rivista di tecnologia Protocol ha spiegato che AppleConnect era nato da alcuni tecnici esterni all’azienda che l’avevano creato per confrontarsi sui problemi legati al lavoro, e oggi è usata anche all’interno dell’azienda per condividere informazioni e strategie di lavoro assieme a frustrazioni, gossip e quant’altro.
Amazon invece è da sempre contraria alla formazione di un sindacato tra i suoi dipendenti, e a inizio anno aveva cercato in vari modi di ostacolare la campagna di chi aveva cercato di formarne uno in Alabama. Sul social network Reddit, però, vari gruppi di lavoratori di Amazon possono discutere in maniera anonima delle condizioni di lavoro notoriamente difficili a cui sono sottoposti, e in qualche caso hanno aiutato le persone che dovevano cominciare a lavorare per l’azienda a capire in che tipo di ambiente stavano per infilarsi, racconta Protocol.
A livello legale negli Stati Uniti le aziende non possono impedire la formazione di sindacati, e in alcune circostanze possono controllare i messaggi privati che si scambiano gli utenti sui software aziendali. Alcune di fatto hanno bloccato i gruppi che provavano ad affrontare temi sindacali con il pretesto che gli strumenti di lavoro non andrebbero utilizzati per scopi diversi da quello prettamente lavorativo. Per esempio, ad agosto Apple ha chiuso un canale in cui vari dipendenti stavano discutendo di disparità salariali, citando il fatto che Slack dovesse essere utilizzato per cose di lavoro, secondo le regole stabilite dall’azienda; i canali in cui si parlava per esempio di cani o di videogiochi, però, sono rimasti regolarmente aperti.
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Meredith Whittaker, membro del consiglio direttivo della società che gestisce l’app di messaggistica Signal ed ex collaboratrice di Google, ha detto a Protocol che fino a pochissimi anni fa l’idea che le grandi società tecnologiche si potessero sindacalizzare era ritenuta ridicola.
La nascita di sindacati all’interno dell’industria tecnologica americana è storicamente malvista perché molte aziende, nonostante abbiano ormai decine di migliaia di dipendenti e una grande gerarchia, continuano a considerarsi come delle startup agili e creative, per le quali i sindacati sono un peso e un rallentamento. In più, fino a poco tempo fa, sembrava particolarmente difficile pensare che un sindacato potesse far fronte alle diverse necessità dei lavoratori temporanei e degli ingegneri o dei programmatori, che hanno stipendi e condizioni di lavoro molto differenti.
Negli ultimi tempi, tuttavia, sono nati nuovi sindacati per tutelare i diritti dei dipendenti: alcuni sono stati creati all’interno di grandi società tecnologiche, altri invece riuniscono chi lavora in maniera saltuaria e flessibile nelle imprese della cosiddetta “gig economy”, ovvero quelle che si basano sulle nuove tecnologie per offrire servizi come consegna di cibo e trasporti. Tra gennaio e febbraio, per esempio, sono nati la Alphabet Workers Union, il sindacato interno alla società che controlla Google, e quello dell’azienda informatica Glitch. C’è poi Gig Workers Rising, un gruppo che unisce tra gli altri gli autisti di Uber e Lyft, le società che offrono un servizio a metà tra quello di un taxi e di un noleggio con conducente.