Glasgow si è data da fare
La città che ospita la COP26 in pochi decenni è passata dall’essere una capitale industriale al diventare un modello di sostenibilità
Glasgow è stata scelta dal Regno Unito come sede della conferenza sul clima COP26 perché è considerata un modello di evoluzione virtuosa che molte altre città del mondo potrebbero seguire: ha una lunga e importante storia industriale alle spalle, ma si è trasformata in pochi decenni in un esempio di sostenibilità, e ci è riuscita perché fin dalle sue origini ha sempre saputo evolversi e reinventarsi. Lo sta facendo anche oggi, ripensando le proprie case, i propri mezzi di trasporto, e perfino la funzione del fiume che la attraversa: anche perché, vista la sua conformazione, la città potrebbe essere particolarmente esposta agli effetti del cambiamento climatico.
Glasgow, secondo l’etimologia più accreditata e diffusa, significa “piccola valle verde”. Si trova nel sud-ovest della Scozia, è attraversata dal fiume Clyde, e ha una storia di continue trasformazioni. La zona che ora chiamiamo Glasgow è sempre stata abitata, ma è soprattutto dal Seicento che iniziò la sua rapida e incessante trasformazione: da piccolo borgo abitato da circa 20-30mila persone Glasgow diventò un punto di snodo nei commerci mondiali, anche grazie alla costruzione di importanti porti nel punto in cui il fiume che la attraversa sfocia nel Firth of Clyde, un’insenatura che porta all’Oceano Atlantico.
Con l’avvento della Rivoluzione industriale, tra il Settecento e l’Ottocento, Glasgow diventò quindi il grande centro che conosciamo oggi, e la città più grande della Scozia. Oggi ha più di 600mila abitanti, grossomodo come Palermo.
Glasgow competeva con città come Londra ed era infatti chiamata “la seconda capitale dell’impero”. In città si commerciavano soprattutto tabacco e zucchero, da cui praticamente dipendeva la ricchezza di tutta la Scozia, e la sua economia si basava in larga parte sul consumo di enormi quantità di carbone e petrolio. Dalla seconda metà dell’Ottocento cominciò invece a svilupparsi il settore principale e più importante dell’industria di Glasgow, quello dei cantieri navali.
All’inizio del Novecento a Glasgow si fabbricava un quinto delle navi di tutto il mondo. Le fonderie entrarono addirittura nell’arte locale, e la costruzione di navi divenne una parte talmente imponente della vita cittadina da definirne anche il paesaggio sonoro: un giovane ingegnere australiano che visitò Glasgow negli anni Trenta scrisse che il frastuono degli argani che sferragliavano sul Clyde era «assordante» e che il «rap-p-p! rap-p-p!» dei cantieri navali era il rumore principale che si sentiva in città.
L’enorme sviluppo della produzione industriale di Glasgow determinò tuttavia problemi sociali: la città si riempì di lavoratori, e per contenerli tutti furono costruiti moltissimi nuovi edifici, con appartamenti spesso sporchi e senza finestre, che divennero sempre più affollati. Nella seconda metà dell’Ottocento il 64 per cento della popolazione viveva mediamente in appartamenti di una o due stanze al massimo, in cui abitavano dalle 5 alle 15 persone. Si rese addirittura necessaria una legge che imponeva di mettere all’entrata degli appartamenti una targa col numero massimo di persone consentite al loro interno. Il filosofo tedesco Friedrich Engels dedicò un passaggio del suo famoso saggio La condizione della classe operaia in Inghilterra, del 1845, proprio a Glasgow, descrivendone la miseria e il disagio.
Nel Novecento, una combinazione di fattori diversi provocò inoltre un’enorme crisi dell’economia industriale, che ebbe un grave costo sociale. C’erano state tra le altre cose la Prima guerra mondiale e la Grande depressione, che come scrisse BBC resero Glasgow “il cadavere di una città industriale”.
Dopo la Seconda guerra mondiale, poi, altri paesi divennero competitivi e più moderni nell’industria navale, facendo perdere alla Scozia la sua supremazia sul mercato. Aumentarono la disoccupazione e le disuguaglianze sociali, che si acuirono gravemente tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta – anche a causa di alcune politiche abitative sbagliate e fallimentari, che crearono quartieri poverissimi e pieni di disagio –, con abuso di droga e alcolismo, e un drastico abbassamento dell’aspettativa di vita media.
Sono problemi che la città si porta dietro ancora oggi: a nuovo millennio inoltrato Glasgow era ancora nota come “il malato d’Europa”. Uno dei film che forse racconta meglio il disagio di quegli anni è Trainspotting, che era ambientato a Edimburgo ma fu girato quasi interamente a Glasgow.
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La fine del periodo industriale è forse esemplificata nel modo migliore dall’opera di George Wyllie, un artista locale che aveva lavorato nell’industria navale da giovane. Nel 1987 realizzò una grande locomotiva di paglia (lungo circa 24 metri) che restò appesa alla Finnieston Crane (un’enorme gru dismessa e diventata monumento cittadino) per sei settimane, fino a quando venne bruciata: simboleggiava l’imponenza e il successivo declino dell’industria della città.
La trasformazione e la ripresa di Glasgow iniziarono negli anni Ottanta, quando l’economia ricominciò a crescere lentamente, faticosamente e con qualche interruzione, tra cui la crisi economica del 2008.
La città cambiò radicalmente il proprio modello economico, spostandolo progressivamente dalla produzione industriale ai servizi. Nel 1988, nel porto che aveva ospitato per decenni i macchinari che producevano navi, si svolse per la prima volta il Glasgow Garden Festival, un evento pubblico, che trasformò l’area in un gigantesco parco giochi, con montagne russe e giostre per bambini, attirando più di 4 milioni di persone.
Negli anni Novanta si affermò inoltre come capitale culturale: nel 1990 fu nominata Capitale europea della cultura e nel 2003 Capitale dello sport. Moli e pontili vennero trasformati in lussuosi appartamenti affacciati sul fiume, uffici moderni e di design e attrazioni per i visitatori. A Glasgow arrivarono anche i ristoranti galleggianti sull’acqua.
Negli ultimi decenni, Glasgow ha cercato di diventare sempre più sostenibile agendo su più fronti. Il primo è stato, ed è tuttora, quello dell’edilizia.
Una delle immagini più caratteristiche di Glasgow è quella delle lunghe file di case tutte uguali costruite in pietra rossiccia (come lo è di Edimburgo, e lo sono certi quartieri di Londra, anche se con colori e materiali diversi). Sono i cosiddetti purpose-built flats, cioè edifici costruiti appositamente per ricavarne molti appartamenti, su più piani. Furono realizzati soprattutto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, con l’improvvisa e imponente crescita urbana seguita alla Rivoluzione industriale. I più caratteristici sono quelli che appartenevano alla borghesia, che si trovavano nei quartieri più benestanti della città e si riconoscono perché sono dotati di bovindi, il termine italiano con cui è stata resa la “bow window” (finestra ad arco), cioè quella bombatura con tre finestre tipica di molte case britanniche.
Alcuni dettagli interni degli appartamenti raccontano il modo stesso in cui furono costruiti: in molti di questi, per esempio, a sinistra del bovindo c’è una specie di credenza alta e molto sottile, spesso coperta da una porta che la fa sembrare una stanza. Era originariamente un passaggio, poi murato, che permetteva agli operai di attraversare tutti gli appartamenti in costruzione, o di passarsi gli strumenti, perché gli edifici venivano costruiti in serie, orizzontalmente, un piano dopo l’altro.
Oggi sono appartamenti vecchi, con problemi di umidità e ricambio d’aria, con enormi problemi di riscaldamento – che ancora oggi pesa per più della metà di tutti i consumi energetici di Glasgow, anche a livello economico – e un conseguente impatto ambientale che li rende dannosi per il pianeta e in molti casi difficili da rivendere.
Il comune di Glasgow però sta provando a trasformarli.
BBC ha raccontato due degli esempi più ambiziosi, che riguardano due edifici diversi per tipo di costruzione. Drew Carr di John Gilbert Architects, lo studio di architetti scozzesi che si sta occupando di uno dei due progetti, lo ha descritto come «un enorme atto di bilanciamento tra efficienza energetica e patrimonio culturale».
Gli interventi pensati sono in realtà molto simili a quelli che si possono fare col nostro “Superbonus 110%” e servono a rendere gli edifici più sostenibili ed efficienti dal punto di vista energetico, attraverso misure come i cosiddetti “cappotti termici”, il rifacimento degli infissi o la ventilazione meccanica controllata. In Scozia, come altrove nel Regno Unito, gli infissi sono infatti un grosso problema: le finestre sono spesso di legno e di bassa qualità, per cui ci sono continuamente spifferi e dispersioni di calore.
La scala su cui bisogna intervenire a Glasgow, però, è notevole, e anche a livello economico non sembra facile farlo. Questi due progetti sono stati finanziati con fondi pubblici del comune di Glasgow, del governo scozzese e di alcune associazioni nell’ambito dell’edilizia abitativa; sia il governo inglese che quello scozzese, poi, hanno fondi disponibili che possono essere richiesti per migliorare l’efficienza energetica degli edifici, ma sono fondi comunque limitati rispetto alle esigenze.
Glasgow ha fatto anche altre cose per cercare di diventare più sostenibile. Ha per esempio trasformato il fiume Clyde – che la attraversa e che è stato per decenni, assieme al porto, il punto di partenza della sua enorme produzione industriale – nella fonte principale di un nuovo impianto di teleriscaldamento per tutto il circondario. Il teleriscaldamento è un sistema centralizzato che permette di sfruttare il calore “residuo” di processi industriali o proveniente da fonti rinnovabili (tipicamente a bassa temperatura) cedendolo all’acqua – in questo caso l’acqua del fiume – da utilizzare in genere per riscaldamento domestico. Anche in questo caso sono soluzioni ampiamente utilizzate altrove (a Copenaghen, che ha cominciato a usarle negli anni Ottanta, funzionano nel 97 per cento delle case), e per estenderle a tutta Glasgow ci vorranno enormi investimenti economici, ma tenendo conto del suo punto di partenza, quella di Glasgow è comunque un’evoluzione significativa, che nei prossimi anni si dovrebbe estendere a un altro migliaio di case.
Glasgow, infine, sta trasformando il suo deposito di autobus nel più grande punto di ricarica per veicoli elettrici di tutto il Regno Unito. Entro marzo del 2023, quasi 200 autobus elettrici dovrebbero entrare in funzione. Nel corso dei prossimi pochi anni, poi, verranno costruiti più di 250 chilometri di piste ciclabili in città e nei dintorni. L’obiettivo, non facile, è convincere i glaswegians, gli abitanti di Glasgow, a smettere il più possibile di usare la macchina.
Nel 2020, Glasgow è stata nominata Global Green City, con un riconoscimento molto prestigioso ricevuto nel corso del Global Forum on Human Settlements, un evento sul cambiamento climatico sostenuto dal Programma ambientale delle Nazioni Unite. Entro il 2030, poi, Glasgow prevede di raggiungere la cosiddetta “neutralità carbonica”, smettendo quindi di aggiungere gas serra nell’atmosfera oltre la quantità che riesce a toglierne (solo dal 2006 al 2020 è riuscita a ridurre le emissioni del 41 per cento, superando abbondantemente gli obiettivi che si era data).
La sensibilità sviluppata sul tema ambientale è dovuta anche al fatto che, per come è fatta, gli effetti del cambiamento climatico potrebbero avere effetti disastrosi sulla città. Glasgow si trova su un fiume: svariate aree della città sono a immediato rischio di esondazioni, anche perché ci sono canali più piccoli anche in altre zone. Il quartiere settentrionale di Maryhill viene spesso chiamato «Venezia del Nord» per la presenza di canali, ed è già capitato in passato che a causa di forti piogge parti della città si allagassero. Ad oggi circa 45mila case di Glasgow sono a rischio di subire grossi danni per esondazioni, e secondo il comune entro il 2080 saranno 60mila. La città dovrà quindi investire una grossa parte delle sue risorse per proteggere le case e gli edifici esistenti, prima di poterle usare per costruirne di nuovi.
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