Perché Italia e Croazia litigano sul prosecco
Il governo italiano non vuole che l'Unione Europea consenta che quattro vini croati siano commercializzati col nome "prošek"
Negli ultimi mesi il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, vari politici e produttori di vino hanno lavorato per mettere insieme un dossier di documenti in difesa del prosecco, il vino bianco (spesso spumante o frizzante) prodotto nel Nord Est che da alcuni anni è diventato assai popolare nel mondo. Entro il 21 novembre questo dossier sarà consegnato alla Commissione Europea nella speranza che respinga la richiesta della Croazia di poter usare il nome “prošek” per commercializzare quattro vini della Dalmazia, la regione costiera nel sud del paese.
I difensori del prosecco temono che l’assonanza con “prošek” confonderebbe i consumatori internazionali, spingendoli ad acquistare vini croati al posto di quelli italiani per errore. Il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli ha detto in Senato di temere che «l’eventuale autorizzazione all’uso del prošek croato creerebbe un pericoloso precedente di istituzionalizzazione dell’italian sounding», quel fenomeno per cui all’estero vengono realizzati e messi in commercio prodotti con nomi simili a quelli di produzioni italiane per approfittare della loro fama internazionale. Ad esempio, in Germania vengono prodotti vini chiamati Kressecco, Semisecco, Consecco e Perisecco, si è lamentata Coldiretti.
Da parte sua la Croazia ha chiesto di poter tornare a servirsi di un nome che usava tradizionalmente prima dell’ingresso nell’Unione Europea nel 2013, e che indica un tipo di vini molto diversi dal prosecco.
La parola “prošek” infatti si riferisce a vini dolci che, come i passiti, si ottengono da uve disidratate: il Dalmatinska zagora, il Sjeverna Dalmacija, il Srednja i Južna Dalmacija e il Dingac. Sono vini fermi, non frizzanti o spumanti come è solitamente il prosecco, possono essere rossi o bianchi e normalmente sono consumati a fine pasto. Inoltre sono relativamente poco diffusi, soprattutto rispetto al prosecco, di cui vengono prodotti 700 milioni di bottiglie all’anno e le cui vendite annuali ammontano a più di 2 miliardi di euro. Dei quattro vini dalmati chiamati in causa vengono prodotti circa 2mila litri all’anno.
Nonostante le differenze tra i due tipi di vini nel 2013 la Croazia aveva dovuto rinunciare al nome “prošek”, che secondo quanto detto dal direttore del dipartimento croato per la politica agricola Jakša Petric al Corriere del Veneto era usato «localmente già nel diciottesimo secolo». Questo perché fu considerato in conflitto con la denominazione del prosecco, protetta nell’Unione Europea dal 2009. Ora però la Croazia ha presentato una domanda di protezione, come stabilito dal regolamento della Commissione europea nel settore vitivinicolo, per poter tornare a usare il termine tradizionale.
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha detto che per convincere la Commissione Europea a non concedere l’uso di “prošek” ai viticoltori dalmati saranno usate delle mappe risalenti al 1300 in cui la zona della città di Trieste attualmente chiamata Prosecco, e da cui deriverebbe il nome del vino italiano, era indicata come Prosek, di fatto il nome sloveno della località. Secondo Zaia è una delle prove che dimostra che il nome dei vini croati deriva dal toponimo triestino, una conclusione che potrebbe disincentivare la concessione del nome ai produttori croati.
Per riuscire nell’intento di bloccare il “prošek” il governo italiano dovrà convincere la Commissione che il consumatore europeo medio potrebbe credere che il prošek sia venduto da produttori italiani di prosecco, oppure che “prošek” sia effettivamente la traduzione in croato di “prosecco”. Secondo Jakša Petric invece «non c’è nessun motivo oggettivo per credere che qualcuno possa voler comprare un prosecco e, per errore, scelga invece il prošek». La normativa dell’Unione non proibisce l’uso di omonimi a patto che i consumatori siano tutelati dai tentativi di inganno.
In passato in una disputa simile l’Italia aveva perso. Dal 2005 i produttori di vino friulani non possono più usare la parola “tocai”, giudicata troppo simile al nome del prestigioso vino ungherese tokaj, nonostante questo sia un vino liquoroso dolce e i vini friulani siano bianchi fermi.
In tutto ciò al confine tra Italia e Slovenia c’è chi spera che tutta la vicenda del prošek porti al riconoscimento di un altro vino, il prosekar. Come ha raccontato un articolo di Associated Press, è un vino realizzato da una decina di produttori e noto quasi solo a Trieste, che come il prosecco è fatto con uva del vitigno Glera e che fino a qualche decennio fa veniva prodotto solo in casa. Come i produttori di vini dalmati, quelli di “prosekar” non potrebbero commercializzare il loro vino con quel nome, per via delle regole europee, ma lo fanno lo stesso per via delle ridottissime dimensioni del loro mercato locale.