Un’altra canzone degli Who
Ed essere rapiti di nuovo 50 anni dopo i primi a cui capitò
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Esce un altro disco di cover di Cat Power: intanto ha pubblicato anche quella di Pa pa power dei Dead man’s bones, la band di Ryan Gosling.
Ha pubblicato una canzone Tom Meighan, che era il cantante della band inglese dei Kasabian prima di essere cacciato un anno fa perché aveva picchiato la sua fidanzata (che poi ha sposato). I Kasabian pure, hanno una nuova canzone.
Il finale di Life on Mars non mi era mai piaciuto granché, prima di oggi.
Poi non è che la musica, né Bologna, riservino solo cose encomiabili: ora qui davanti a me in piazza Santo Stefano c’è un coro di [epiteto a piacere] che canta “Dottore, dottore, dottore nel buco del cul, vaffancul, vaffancul” in onore di un neolaureato. Dovrebbe esserci il ritiro della laurea.
Che bella questa versione di The universal che Damon Albarn fece a Matera due anni fa.
Un messaggio di saluto e gratitudine ai tanti nuovi arrivati a questa newsletter: se non avete voglia di cliccare tutti i link, sappiate che quelli sui nomi dei musicisti di solito rimandano a edizioni precedenti della newsletter in cui ne abbiamo parlato, e quindi spiegano come mai ne riparliamo. E grazie a tutti quanti dei messaggi, e dei tweet, e degli instagrams, eccetera. Let love rule, come diceva quello.
Baba O’Riley
The Who
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Qualche sera fa sono stato in un locale milanese, affollato nei limiti degli assembramenti leciti, ma rumoroso come i locali milanesi all’ora dell’aperitivo: di quelli che devi un po’ alzare la voce per capirti con i tuoi commensali, e tutti quindi alzano la voce e l’effetto baccano si perpetua. Eppure, dall’attutita programmazione musicale del locale a un certo punto ha prevalso su tutto l’attacco di Baba O’Riley, e in diversi siamo stati rapiti per qualche istante, 50 anni dopo i primi a cui capitò.
Baba O’Riley ha 50 anni tondi, scopro infatti ora: il disco che apriva uscì ad agosto 1971. È uno strano tipo di canzone, che se Pete Townshend l’avesse canticchiata a qualcuno mentre la scriveva avrebbe fatto un decimo dell’effetto che ha nella versione finale, che è un luna park di invenzioni geniali, da quell’organo iniziale ai violini finali, ed è diventato uno dei pezzi rock più grandi di sempre, nel campionato di Like a hurricane, Walk on the wild side o Heroes. Invenzioni geniali che l’hanno fatta adottare da mille spot, colonne sonore, serie tv, eventi sportivi.
Townshend è quello che canta il passaggio che culmina in “teenage wasteland”, espressione che diventò una specie di secondo titolo della canzone e si dice sia stata ispirata dallo spettacolo di abbrutimento delle folle di giovani dopo i grandi concerti del tempo, ma il resto del testo è una celebrazione di iniziativa e autonomia giovanile; il resto della canzone lo canta Roger Daltrey. Nella fantastica foto che ho messo qui sopra in cui è intrufolato Mick Jagger (stavano girando un film dei Rolling Stones, nel 1968) invece ci sono Townshend e Keith Moon, fantasmagorico batterista della band. Lo strano titolo della canzone non è un personaggio, ma l’associazione di due persone reali ammirate da Townshend, un maestro spirituale indiano e un musicista californiano.
Sally, take my hand
We’ll travel south ‘cross land
Put out the fire and don’t look past my shoulder
The exodus is here
The happy ones are near
Let’s get together before we get much older
(Qui avevamo parlato di un’altra canzone dei Who, di quasi cinquant’anni dopo).
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