Da 60 anni in Italia si può cambiare canale
Il 4 novembre 1961 cominciarono le trasmissioni del Secondo Programma, che aveva delle caratteristiche presenti ancora oggi in Rai 2
Sessant’anni fa, il 4 novembre 1961, iniziarono in Italia le trasmissioni ufficiali del Secondo Programma, dopo che già da qualche anno ce ne erano state di sperimentali. Il Secondo Programma, quello che ora è Rai 2, arrivò sette anni dopo l’inizio delle trasmissioni del Programma Nazionale, quello che oggi è Rai 1 e che fino ad allora era stato l’unico canale disponibile. Ad annunciare l’inizio delle trasmissioni fu l’allora ventunenne Mina, che sul Programma Nazionale era intenta a condurre Studio Uno, e disse:
«Questa sera per noi, cittadini del monoscopio, sudditi delle antenne, inscritti nei ruoli del teleschermo, questo è un grande giorno. Da pochi minuti, sul palazzo di via Teulada, una mano a 17 pollici ha esposto un nastro bianco. E poi lo sapete tutti: è nato il Secondo Canale. Volete vedere il neonato? Ssssht, fate piano, è così piccolo. Però il dottore dice che verrà su molto bene. Comunque, vogliamo dargli un’occhiata?»
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L’occhiata – al termine della quale Mina diceva «basta, non sta bene curiosare nei canali degli altri» – era un veloce collegamento con il Secondo Programma. Una volta tornata nell’inquadratura, Mina concludeva così:
«Io a questo secondogenito televisivo voglio dedicare un brindisi. Cin cin, Secondo Canale. Noi ti consideriamo un amico e anche se, come nelle dinastie dei monarchi, porti il nome di Canale Secondo, noi ti auguriamo di non essere secondo a nessuno. Ed ora, piccolo canale appena nato, buona notte»
Quel 4 novembre era un sabato e le trasmissioni del Secondo Programma iniziarono alle 21.15, dopo che sul Programma Nazionale era finito Carosello, l’allora seguitissimo contenitore di spot pubblicitari. Le trasmissioni iniziarono con tre contenuti – un documentario, uno sceneggiato e un concerto – tutti dedicati al ricordo della Prima guerra mondiale. Come ricordò l’ufficio stampa Rai in occasione dei cinquant’anni del canale, nei giorni successivi furono mostrati, tra gli altri, «l’Enrico IV di Shakespeare con la regia di Sandro Bolchi, La donna del mare di Ibsen e La Brocca rotta di Heinrich von Kleist».
Arrivarono poi anche la lirica («fu trasmessa l’Aida di Verdi nell’allestimento del Teatro La Fenice di Venezia»), i film, lo sport (soprattutto ciclismo, pugilato e calcio, con la telecronaca registrata, la domenica sera, di una partita di Serie A), la musica (con una particolare attenzione alla musica leggera e al jazz) e l’informazione, con un telegiornale che si aggiunse a quello del Programma Nazionale e la cui ultima edizione andava in onda alle 22.
Il Secondo Programma si fece notare anche per Intermezzo: in cui, tra un programma e l’altro, vari personaggi dello spettacolo si esibivano «in una antologia del proprio repertorio». Intermezzo, col passare del tempo, cambiò un po’ forma e approccio e a un certo punto andò in onda ogni sera alle 21, arrivando a essere definito un «anti Carosello».
Non tutti, comunque, potevano vedere il Secondo Programma. Perché non tutti avevano un televisore, ovviamente, ma anche perché non tutti i televisori erano predisposti a riceverne il segnale o, banalmente, a poter cambiare canale, visto che erano stati prodotti quando ne esisteva solo uno. Si stima che all’inizio a poterlo vedere fosse il 50 per cento della popolazione.
Luca Barra, esperto di storia della televisione, professore associato all’Università di Bologna e autore del libro Palinsesto – Storia e tecnica della programmazione televisiva, spiega che l’arrivo del Secondo Programma sessant’anni fa «ebbe una portata che oggi fatichiamo addirittura a concepire», per come «aprì ad altre possibilità» e per quanto cambiò i termini di un’offerta che fino ad allora era stata «singola, univoca e contingentata». Anche se, all’inizio, Secondo Programma aveva il semplice scopo di «raddoppiare alcune fasce orarie», aumentare e variare un poco, per alcune ore al giorno, l’offerta televisiva della Rai.
È tuttavia sbagliato pensare, quantomeno per quei primi anni, a una vera concorrenza tra i due canali Rai. Anzitutto perché all’inizio Secondo Programma trasmetteva per circa un terzo delle ore totali di Programma Nazionale. Poi perché, come ha scritto sul Fatto Quotidiano Giorgio Simonelli, professore ed esperto di storia della televisione, «l’idea di porre i due canali in concorrenza non sfiorava neppure la dirigenza Rai, al contrario la collaborazione era così forte che presto si inventò il triangolo, un segno grafico di forma triangolare che appariva sui teleschermi nel corso di ogni trasmissione nel momento in cui sull’altro canale cominciava un diverso programma».
Col tempo il Secondo Programma riuscì comunque a ritagliarsi il suo spazio. In parte come luogo in cui sperimentare nuovi formati, approcci e linguaggi, in un modo per certi versi simile a quanto avrebbe fatto Rai 3 dal 1979. In parte, soprattutto dagli anni Settanta in poi, come alternativa spesso considerata più giovane e fresca rispetto al Programma Nazionale.
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Nel 1975 il Secondo Programma cambiò nome in Rete 2, che a sua volta divenne infine Rai 2 nel 1983. Già prima di diventare Rai 2 il canale aveva trasmesso, giusto per fare qualche nome, RT Rotocalco Televisivo, Speciale per voi, Rischiatutto, Festivalbar, L’altra domenica e Giochi senza frontiere.
Barra spiega che sotto molti punti di vista gli anni del Secondo Programma (quelli dal 1961 al 1975) «fanno storia a sé», se comparati con quelli dal 1975 in poi. Già in quel primo periodo, grazie a Secondo Programma, si poterono però intravedere le tracce di molto di quello che sarebbe diventata la televisione negli anni successivi. Dall’interesse politico nei confronti della tv e dei suoi palinsesti, fino agli albori di quella che in seguito sarebbe stata chiamata “controprogrammazione”.
Barra ricorda inoltre che anche nella seconda metà degli anni Settanta Rete 2 riuscì – soprattutto grazie al suo direttore Massimo Fichera – a proporsi come «uno spazio totale di sperimentazione». Negli anni Rai 2 ha senza dubbio cambiato modo di farlo, ma ha spesso continuato a sperimentare: negli anni Ottanta, per esempio, «entrò in competizione abbastanza diretta con Italia 1»; e anche negli anni Novanta – specie durante la direzione di Carlo Freccero, arrivato proprio da Italia 1 – Rai 2 riuscì a mantenere una sua «centralità alternativa» e una sua identità di «rete sbarazzina».
Anche dopo, Rai 2 ha continuato a essere, come dice Barra, «una rete intermedia, non troppo grande da essere ammiraglia e non troppo piccola da essere tematica». E ancora oggi riesce, talvolta, a proporre qualcosa di nuovo ed efficace (Barra cita a questo proposito i recenti Una pezza di Lundini e Il collegio) e a mantenere, seppur in un contesto parecchio diverso, «alcune isole di sperimentazione e creatività».