La Cassazione ha condannato una scuola cattolica per discriminazione
Per il caso di un'insegnante di Trento a cui non fu rinnovato il contratto a causa del suo orientamento sessuale
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha condannato per discriminazione la scuola cattolica paritaria Istituto Sacro Cuore di Trento, che nel 2014 non aveva rinnovato il contratto a un’insegnante per sospetti sul suo orientamento sessuale. La scuola era già stata condannata sia in primo grado sia in appello: ora è arrivato il parere definitivo della Cassazione che conferma ancora una volta che l’istituto ha commesso una discriminazione.
«La Corte di Cassazione», dice al Post l’avvocato Alexander Schuster, che assiste l’insegnante, «ha rigettato completamente il ricorso dell’istituto e ha ribadito ciò che aveva già stabilito la Corte d’Appello e cioè che l’essere una scuola religiosa che vuole tenere fede alla sua missione non giustifica nessuna discriminazione. È una sentenza che fa giurisprudenza per il diritto italiano che, su questi temi, era fermo agli anni Novanta».
Nel 2014 l’insegnante, che lavorava al Sacro Cuore da alcuni anni, fu convocata dalla madre superiora dell’istituto. La professoressa raccontò ciò che accadde al giornale Trentino: «Già all’ingresso sono stata bloccata dalla portineria, dove mi hanno spiegato di aver avuto ordine di farmi accomodare non nella segreteria, come sarebbe stato normale, ma nella sala ricevimento. Non è un dettaglio, perché nella sala scelta nessuno poteva sentire alcunché del colloquio. A posteriori, ho capito che con ogni probabilità si volevano evitare testimoni dell’incontro». Durante il colloquio la religiosa rivolse molti apprezzamenti all’insegnante. Ma poi aggiunse che «il “problema”, come lo ha chiamato lei, erano le voci che giravano sul mio conto. In breve ho capito che il “problema” era legato al mio orientamento sessuale, e che mi veniva richiesto di smentire queste voci. In cambio, la scuola avrebbe “chiuso un occhio” sulla mia situazione».
Il contratto della professoressa era già scaduto al momento del colloquio ma, come disse in seguito l’avvocato Schuster, all’insegnante fu fatto capire che se avesse smentito le voci sulla sua omosessualità le sarebbe stato rinnovato. La madre superiora, sentita dal Corriere della Sera, ha detto che si era sentita di dover difendere l’istituto «a tutti i costi» perché la scuola cattolica aveva caratteristiche educative ben precise ed era necessario «tutelare l’ambiente scolastico».
L’insegnante denunciò l’istituto per comportamento discriminatorio. Fu affiancata dall’associazione radicale Certi Diritti e dalla CGIL. Il 21 giugno 2016, in primo grado, la scuola fu condannata. La sentenza affermò che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola» e che la docente «ha subìto una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». La condanna fu per «discriminazione collettiva» perché, scrissero i giudici, la decisione della scuola «ha colpito non solo la ricorrente, ma ogni lavoratore potenzialmente interessato all’assunzione presso l’Istituto». La scuola venne condannata a risarcire con 25.000 euro per danni patrimoniali e non patrimoniali la docente, e con 1.500 euro ciascuna la CGIL del Trentino e l’associazione radicale Certi diritti. La scuola fu condannata anche a pagare le spese processuali.
L’Istituto del Sacro Cuore presentò appello. Un anno dopo la sentenza fu ancora più dura. Venne accertata «la natura discriminatoria per orientamento sessuale, individuale e collettiva, della condotta posta in essere dall’Istituto in ordine alla selezione per l’assunzione degli insegnanti». Inoltre, fu ordinato all’istituto «l’immediata cessazione di tale condotta». Fu deciso un risarcimento per l’insegnante di 13.329,80 euro per danno patrimoniale e di 30.000 euro per danno morale. Fu stabilito anche un risarcimento di 10.000 euro ciascuno per la CGIL di Trento e per l’associazione Certi Diritti.
Dopo la sentenza l’insegnante disse ai giornalisti presenti: «Nulla di peggio si poteva dire a un’insegnante se non che abusava del proprio ruolo per turbare i ragazzi. E sono anche contenta che in Italia si ribadisca che la vita privata di ognuna e ognuno è per l’appunto privata e che nessun datore di lavoro può entrare nelle nostre famiglie e chiedere chi siamo, chi amiamo o se vogliamo come donne abortire o meno».
La scuola, sempre nel 2017, decise di ricorrere alla Corte di Cassazione, alla Sezione Lavoro. «Già in appello», dice ancora al Post l’avvocato Schuster, «la scuola basò le sue ragioni su ciò che dice il Concordato tra Stato e Chiesa. In sostanza i legali dell’istituto hanno sempre affermato che il diritto Italiano non può entrare nel merito delle scelte di una scuola d’orientamento religioso. Non hanno però spiegato come la libertà di un istituto possa giustificare un atteggiamento discriminatorio. Una scuola, solo per il fatto di essere cattolica, non ha carta bianca per discriminare le persone».
Nell’ordinanza della Corte di Cassazione si legge: «Parte ricorrente invoca disposizioni, anche costituzionali, a fondamento della libertà di organizzazione dell’Istituto religioso, ma non spiega adeguatamente come questa libertà possa legittimare condotte apertamente discriminatorie come quelle ritenute ed accertate dai giudici trentini».
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L’istituto religioso ora potrebbe ricorrere alla Corte Europea di Strasburgo ma è un’ipotesi improbabile. «Per il diritto italiano la vicenda è chiusa», conclude l’avvocato Schuster, «e speriamo che si apra così davvero un nuovo capitolo. Casi simili a quello di Trento continuano ad avvenire, magari in altre forme. Per esempio ci sono lavoratrici a cui viene impedito di portare il velo sul luogo di lavoro, e anche quella è una discriminazione».