Facebook non userà più il riconoscimento facciale
Ovvero la tecnologia che permetteva di identificare i volti nelle foto e suggeriva chi taggare, suscitando preoccupazioni sulla privacy
Giovedì Facebook ha annunciato che nelle prossime settimane smetterà di usare il riconoscimento facciale, una tecnologia introdotta sulla piattaforma nel 2010 che permetteva di identificare i volti nelle foto e nei video e che era da tempo al centro di notevoli polemiche per le sue implicazioni sulla privacy degli utenti. L’intelligenza artificiale alla base di questa tecnologia consentiva, per esempio, di suggerire automaticamente a chi pubblicava una foto di taggare le persone presenti nell’immagine.
L’annuncio di Facebook arriva in un momento di grande difficoltà per l’azienda, che è stata sottoposta a grosse critiche a seguito della pubblicazione dei cosiddetti “Facebook Papers” e di varie altre inchieste che ne hanno danneggiato la reputazione. La decisione di eliminare il riconoscimento facciale è stata dunque interpretata come un tentativo di fare concessioni sulla questione della privacy, una delle più controverse. Si tratta di una concessione notevole, ma comunque limitata, perché il riconoscimento facciale ha un’importanza piuttosto ridotta nel business complessivo di Facebook.
In un post pubblicato sul blog di Meta – il nuovo nome della società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp – Jerome Pesenti, vice presidente della divisione che si occupa di intelligenza artificiale dentro Facebook, ha detto che la decisione rappresenta «uno dei più grandi cambiamenti nell’uso del riconoscimento facciale nella storia della tecnologia». Nelle prossime settimane le persone che avevano acconsentito all’uso del riconoscimento facciale non riceveranno più suggerimenti su chi taggare in foto e video, e Facebook eliminerà dal proprio database i dati relativi a più di un miliardo di persone identificate tramite questa tecnologia.
Il riconoscimento facciale di Facebook aveva suscitato grosse critiche in passato soprattutto perché, almeno inizialmente e in alcune aree del mondo, la tecnologia era stata attivata in automatico, ed erano gli utenti a dover agire per disattivarla sui loro account. Per questo motivo, l’anno scorso un tribunale dell’Illinois ha accusato Facebook per aver usato tecnologie di riconoscimento facciale senza il consenso esplicito degli utenti, e l’ha costretto a pagare 550 milioni di dollari di risarcimenti. Oggi, secondo Facebook, poco più di un terzo degli utenti ha questa tecnologia attivata.
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L’annuncio di giovedì è il primo grande cambiamento, dopo quello del nome della holding, da quando sono stati pubblicati i cosiddetti “Facebook Papers”, i documenti interni diffusi a vari giornali americani dalla whistleblower ed ex dipendente dell’azienda Frances Haugen: i documenti hanno mostrato, tra le altre cose, i fallimenti della dirigenza di Facebook nel contenere la disinformazione e l’incitamento all’odio e alla violenza sulla piattaforma, a volte per carenza di mezzi tecnici, e a volte per non danneggiare i profitti che derivano dall’attività delle persone su Facebook.
Nel suo post Presenti dice che ci sono molti ambiti in cui il riconoscimento dei volti tramite l’intelligenza artificiale può essere utile, ma ha aggiunto anche che «ci sono molte preoccupazioni sul ruolo della tecnologia del riconoscimento facciale nella società, e le autorità di regolamentazione devono ancora fornire delle regole chiare che ne disciplinino l’uso». Presenti ha detto che in questa situazione di incertezza nei regolamenti, Facebook preferisce limitare l’uso del riconoscimento facciale a una ristretta serie di casi: come per ottenere l’accesso a un account bloccato o per verificare l’identità di una persona.
Al di là di Facebook, i sistemi di riconoscimento facciale sono utilizzati in vari campi e con risultati controversi, a cominciare da quello della sicurezza urbana: diverse città in tutto il mondo utilizzano sistemi di videosorveglianza in grado di analizzare i dati biometrici delle persone, e in futuro ne arriveranno anche in Italia.
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