Una canzone dei Weather Station
Che suona rivolta a noialtri che passiamo le giornate a scrivere cose
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È uscito un disco (e dvd, e compagnia) del concerto che i The The tennero nel 2018 alla Royal Albert Hall, dopo molti anni di assenze (qui su Spotify). L’ho ascoltato con aspettative, e alla terza volta mi sono chiesto: sono io, o i dischi dal vivo non hanno più quel fascino e originalità che ci trovavamo nel secolo scorso? Salvo rarissime eccezioni.
Negli Stati Uniti ci sono state attenzioni e discussioni sull’abbigliamento “ruspante” scelto da una senatrice Democratica dell’Arizona per presiedere una seduta. Qualcuno lo ha definito “alla Aaron Neville”, citando il più noto membro della popolare band di New Orleans dei Neville Brothers, famosa soprattutto negli anni Ottanta. Lui, Aaron Neville, ha risposto: “secondo me, io stavo meglio”.
C’è una canzone nuova degli U2 che sarà nella colonna sonora del cartone Sing 2.
Ho visto questa serie americana “comedy” con Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez (Steve Martin è uguale a Steve Martin di trent’anni fa, per via di quel trucco dei capelli bianchi precoci): tutto molto ben confezionato e loro simpatici, ma niente di più (ho saltato quattro puntate, confesso). A un certo punto c’è un’esecuzione al fagotto di Da ya think I’m sexy di Rod Stewart, però, e la cosa migliore è l’invenzione del condomino Sting.
Il risultato specularmente negativo della potenza emotiva delle canzoni che celebriamo ogni giorno qui, è il suo abuso da parte delle forze del male: ovvero di chiunque sfrutti appunto l’effetto della musica sulle nostre percezioni delle cose a fini ingannevoli o propagandistici. Un esempio terra terra è quando in certi comizi politici vengono usate musiche e canzoni che emozionano le persone creando un attaccamento falsificato con il comiziante in questione. Certo, voi direte che c’è tutta la pubblicità che ci marcia da sempre, e ok. Ma quella sappiamo che è pubblicità. Io questi pensieri li ho avuti finendo brevemente qualche sera fa su un canale televisivo che trasmetteva uno di quei programmi “verità” di cronache processuali: solo che le immagini di vere udienze, testimonianze, sentenze erano confezionate con colonne sonore drammatizzanti che creavano artificiosi meccanismi di solidarietà o ripulsa nei confronti di uno o un altro dei coinvolti, e narrazioni truffaldine. Ci vorrebbe la patente, per l’uso delle musiche, e una commissione etica.
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