Un grattacielo di vetro e legno
Si trova in Svezia, è una delle costruzioni in legno più alte del mondo e secondo chi l'ha progettato potrebbe avere un impatto positivo sulle emissioni
Skellefteå, nel nord della Svezia, ha case di legno, scuole di legno e un ponte di legno, e anche la torre di controllo del suo aeroporto è di legno. Lo scorso 8 settembre in questa città a circa 200 chilometri dal circolo polare artico è stato inaugurato uno degli edifici di legno più alti mai costruiti, con materiale proveniente dalle foreste di conifere della regione in cui sorge: è il centro culturale Sara (Sara Kulturhus), un complesso di 20 piani che oltre a comprendere spazi espositivi, teatri e una biblioteca ospita anche un ristorante, un centro congressi e un albergo.
È un omaggio alle tradizionali costruzioni svedesi, ma è anche un esempio dei moltissimi edifici di questo tipo che sono stati costruiti negli ultimi decenni, e che hanno un impatto ambientale estremamente basso: secondo i suoi realizzatori, la Sara Kulturhus potrebbe essere perfino a “emissioni negative” (ci torniamo).
La Sara Kulturhus raggiunge i 75 metri di altezza ed è il terzo edificio in legno più alto del mondo, dopo il Mjøstårnet di Brumunddal, in Norvegia, e la torre Hoho di Vienna, che superano rispettivamente gli 85 e gli 84 metri.
È stata progettata dal grosso studio di architettura svedese White Arkitekter ed è stata realizzata dalla società di ingegneria strutturale Florian Kosche: sorge nel centro città e prende il nome dalla scrittrice svedese Sara Lidman, che nacque nel 1923 nella regione di Västerbotten, la stessa in cui si trova Skellefteå, il cui nome si pronuncia così.
È un complesso di spazi di altezza, dimensioni e stili diversi, che si adattano a essere utilizzati per funzioni diverse: è costruito quasi interamente con blocchi di legno di produzione locale, lavorati in una segheria a circa 60 chilometri dalla città.
Le 205 stanze dell’albergo, che si trova nel grattacielo, sono state realizzate con moduli prefabbricati, montati uno sopra l’altro.
Sia la struttura dell’albergo sia quella degli altri spazi del complesso sono composte da grossi blocchi di legno lamellare a strati incrociati (cross-laminated timber, o CLT), cioè pannelli di legno massiccio pressati e sovrapposti con disposizione incrociata, alcuni dei quali lunghi fino a 27 metri. Le colonne e le travi della struttura sono fatte invece di glulam, che è composto da tavole o lamelle di legno appiattite e incollate tra loro con le fibre parallele ed è ideale per questi elementi perché è tanto resistente quanto i normali materiali edili, come calcestruzzo e acciaio: per rendere più solidi gli angoli dei moduli prefabbricati, il CLT è stato usato proprio in combinazione col glulam.
Le tecniche di costruzione in legno lamellare sono state introdotte in Europa negli anni Novanta e poi sono state impiegate per costruire edifici via via più grandi. Scegliere il legno permette di usare meno cemento, che viene generato con moltissimo dispendio energetico e produzione di emissioni inquinanti. Ha anche altri vantaggi. Consente per esempio di risparmiare sui costi di produzione, secondo molti è più bello da vedere e consente di assorbire anidride carbonica dall’ambiente circostante (ci arriviamo). Dato che i pannelli di legno sono estremamente compatti, sono più facili da trasportare rispetto ai materiali tradizionali; in più, servono fondamenta meno profonde e non c’è bisogno di pesanti macchinari per pompare il cemento o spostare travi d’acciaio.
Per realizzare tutto il complesso sono stati necessari circa 10mila metri cubi di CLT e 2.200 metri cubi di glulam, dice il sito del centro culturale. Le sue facciate sono ricoperte da 7.700 metri quadri di vetrate.
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Una delle osservazioni che vengono fatte più spesso rispetto agli edifici in legno riguarda la loro sicurezza in caso di incendi.
Secondo diversi esperti del settore quella dell’infiammabilità però è una falsa preoccupazione: come ha ricordato il Guardian, il materiale utilizzato per costruire il complesso impiega molto tempo a prendere fuoco. E in ogni caso sui pannelli di CLT è stato applicato un particolare rivestimento di 4 centimetri che in caso di incendio proteggerebbe la struttura principale per circa due ore, e tutte le superfici sono state trattate con ritardanti di fiamma, cioè appositi prodotti che rallentano la combustione dei materiali.
In alcuni degli spazi più ampi dell’edificio, come l’ingresso del centro o le sale del teatro, sono comunque state inserite alcune lastre e sbarre di acciaio per dare più sostegno alle travi e alla struttura di legno. In più, per impedire che la torre oscilli troppo in caso di venti forti, negli ultimi due piani della struttura sono stati inseriti elementi in cemento.
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Robert Schmitz, partner di White Arkitekter e uno dei due responsabili del progetto, ha detto alla rivista di architettura Dezeen che la Sara Kulturhus è stata pensata per «portare sotto un unico tetto» alcune delle istituzioni più importanti di Skellefteå, con l’obiettivo di «diventare la principale attrazione della città».
È anche per questo che la gran parte delle sue facciate è ricoperta da ampie vetrate che permettono di mostrare l’architettura e le forme al suo interno, come il soffitto dell’atrio principale o la scala che conduce al piano superiore, naturalmente fatta di legno.
«L’edificio è stato progettato attorno all’idea di ottimizzare i materiali, usando ciascuno di essi nel modo migliore», ha aggiunto Oskar Norelius, l’altro responsabile del progetto.
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Il bando per costruire il centro culturale era stato aperto nel novembre del 2015 e i lavori erano cominciati nell’ottobre del 2018. Se lo stesso progetto fosse stato realizzato in materiali tradizionali, come acciaio e cemento, avrebbe richiesto un anno di lavori in più; grazie alla scelta del legno, il numero dei viaggi dei camion impiegati per il trasporto dei materiali si è ridotto del 90 per cento, ha scritto il Guardian.
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Skellefteå è alimentata al 100 per cento da energia rinnovabile ottenuta da impianti eolici e fotovoltaici, e peraltro è qui che si trova la fabbrica per la produzione di batterie al litio per auto elettriche più grande d’Europa. Anche la Sara Kulturhus è stata costruita con grande attenzione per l’efficienza e per le risorse con cui viene alimentata, oltre che per l’impatto ambientale della sua costruzione.
Il complesso usa energia elettrica proveniente da un impianto fotovoltaico di 1.200 metri quadrati ed è riscaldato da una pompa di calore geotermica. I suoi impianti sono gestiti da un software che aiuta a controllare e prevedere i consumi: in caso di energia elettrica in eccesso, questa può essere immagazzinata in apposite batterie conservate nel piano interrato, oppure trasferita al centro turistico che si trova lì accanto.
White Arkitekter ha stimato che l’edificio del Sara Kulturhus durerà almeno cento anni. Lo studio di architettura, che punta a realizzare esclusivamente progetti a “emissioni zero” entro il 2030, afferma che nell’arco della sua vita il complesso arriverà inoltre a essere a “emissioni negative”, facendo una precisa valutazione, vediamo meglio.
La “neutralità carbonica”, conosciuta anche come “emissioni zero”, è la condizione in cui per ogni tonnellata di anidride carbonica (CO2) o di un altro gas serra emesso nell’atmosfera se ne rimuove altrettanta. In altre parole, si arriva alla neutralità carbonica quando si smette di aggiungere gas serra nell’atmosfera oltre la quantità che si riesce a toglierne. Con “emissioni negative” si indicano tutti quei sistemi che sono in grado di togliere dall’atmosfera un po’ di anidride carbonica.
L’idea (ottimistica) che l’edilizia in legno sia in grado di eliminare l’anidride carbonica in circolazione è piuttosto diffusa nel settore, ed è nota come “carbon sequestration” (letteralmente, imprigionamento dell’anidride carbonica). Non si tratta però di una rimozione attiva: l’idea parte dal fatto che, quando un albero viene tagliato per essere utilizzato, la CO2 incamerata durante il suo processo di sviluppo rimane imprigionata nel legno. Sarebbe invece rilasciata nell’atmosfera se l’albero fosse usato per produrre energia (per esempio bruciato) o se invecchiando morisse e fosse lasciato a marcire naturalmente.
Gli architetti della Sara Kulturhus hanno quindi sottratto questa anidride carbonica “imprigionata” al totale delle emissioni prodotte nella costruzione. Questo, unito al fatto che gli alberi abbattuti sono stati ripiantati, e che l’edificio si alimenta a energia pulita producendone più di quanta ne consumi, dovrebbe fare sì che nel giro di 50 anni la Sara Kulturhus avrà “tolto” dall’atmosfera quasi il doppio dell’anidride carbonica emessa per la sua costruzione.
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