Il business dei “link in bio”
Quello dei servizi che indirizzano i follower di Instagram o TikTok su altri siti è diventato «uno dei territori più importanti di internet»
Su social network come Instagram e TikTok si possono fare tante cose, ma molti profili non possono farne una apparentemente piuttosto semplice: condividere un link che porti a una pagina fuori da quelle piattaforme. Su Instagram, per esempio, fino a pochi giorni fa lo poteva fare nelle Storie solo chi aveva più di 10mila follower, e continua a non poterlo fare nessuno nei Post. Il motivo, in breve, è che in genere è nell’interesse di queste piattaforme trattenere i propri utenti, disincentivando il loro spostamento anche solo temporaneo su altri siti. Spesso, quindi, l’unica soluzione per un utente che voglia condividere un certo link che porti altrove è inserirlo nella propria biografia, sotto al nome. Invitando poi i follower a cliccarci con un’espressione ormai celebre: “link in bio”.
In pochi anni, parallelamente alla crescita di social come Instagram e Facebook, quello dei “link in bio” è diventato, come ha scritto il sito di tecnologia Protocol, «uno dei territori più importanti di internet». Si sono infatti affermate alcune società il cui scopo è trasformare quei link da fessure verso l’esterno dei social a “porte” in grado di indirizzare a più destinazioni. Nel caso di un giornale online (un esempio a caso), questi servizi permettono per esempio di linkare a tanti diversi articoli a partire da un unico link. Nel caso di Fedez offrono la possibilità – utile a lui tanto quanto agli ascoltatori – di scegliere se ascoltare la sua più recente canzone su Spotify, su YouTube oppure su tutta una serie di altri servizi.
C’è chi prevede addirittura che le cosiddette landing page (le “pagine di atterraggio”) che si aprono dai “link in bio” andranno a sostituire un gran pezzo dei siti web. Un altro modo di vederla è che l’intero settore dei “link in bio” è estremamente precario, perché si basa tutto sul successo di altre piattaforme e sulla loro disponibilità a ospitare questi servizi.
Per ora, è un settore con grande competizione tra diverse aziende. Anche perché, come ha scritto Protocol, «dal punto di vista della tecnologia, non è un gran problema creare una pagina e riempirla di link». Non servono quindi grandi competenze, e nemmeno ingenti investimenti iniziali in marketing: «questi strumenti» ha scritto ancora Protocol, «crescono di solito in modo organico; le persone cliccano su un link in bio di un altro profilo, scoprono il servizio e scelgono di usarlo a loro volta». Di conseguenza, basta che un artista, un influencer, un’azienda o un creatore di contenuti dal discreto seguito ne scelga uno, perché molti altri scelgano di fare lo stesso.
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C’è grande competizione, ma c’è anche un’azienda chiaramente dominante, che secondo sue stime interne ha una quota di mercato vicina al 90 per cento. Si chiama Linktree, ha circa 100 dipendenti, dichiara di essere usata da 18 milioni di utenti (tra cui il Post) e dice che le sue pagine mettono insieme un totale di quasi un miliardo di pagine viste al mese. «Linktree» ha scritto Forbes «era un alberello ed e già una piccola sequoia».
Linktree (l’albero dei link, perché da un unico tronco permette svariate ramificazioni) fu fondata nel 2016 e la sua struttura principale fu realizzata nel giro di poche ore da Alex Zaccaria, il suo attuale amministratore delegato, da suo fratello Anthony e dal loro amico comune Nick Humphreys. Su StartupNation, Zaccaria ha scritto che Linktree fu creata «quasi per caso» e che di certo all’inizio fu vista come un «progetto parallelo» senza particolari velleità di crescita. In quel periodo parte del lavoro dei tre consisteva nel gestire i profili Instagram di artisti e festival musicali e, ha ricordato Zaccaria, «non ne potevamo più di cambiare il link in bio ogni volta che postavamo qualcosa di nuovo: era una perdita di tempo per noi, ma andava anche a scapito dei contenuti e dei click». Era tra l’altro più o meno il periodo in cui Instagram aveva cambiato il sistema con cui mostrava i post: da cronologico era diventato algoritmico.
A comparire non erano quindi sempre i post più recenti, e questo – ha spiegato Zaccaria – «faceva sì che agli utenti potessero comparire nel feed i Post di tre o quattro giorni prima, che rimandavano a un link ormai inattuale». Zaccaria e soci decisero quindi di far sì che un singolo link portasse a una serie di altri, presentati in modo semplice e in un contesto chiaro e senza fronzoli in un’apposita landing page. Niente di troppo diverso da quello che Linktree continua a essere ancora oggi.
All’inizio, i nuovi profili che sceglievano di usare LinkTree (che a un certo punto andò vicino al chiamarsi InstaBio) erano meno di una ventina al giorno, quasi tutti nel contesto musicale, dove c’è un’evidente necessità di promuovere, spesso nello stesso momento, concerti, canzoni e prodotti di merchandising. Poi arrivarono profili da altri settori: tra gli altri, Zaccaria ha ricordato che arrivarono gli chef, i quali avevano «ristoranti, blog, libri di ricette […] ed erano molto interessati a costruire e promuovere il loro brand personale su piattaforme e canali diversi».
Intervistato da Protocol, Zaccaria ha detto che l’idea è mantenere anche in futuro la semplicità e l’essenzialità d’aspetto di Linktree (una serie di link, uno sotto l’altro, in una sola colonna), ma che al contempo ci sono tante espansioni possibili: «non ci consideriamo più solo uno strumento per i link in bio»; secondo lui Linktree è «uno strumento indipendente dalle piattaforme che aiuta gli utenti a connettere il loro intero ecosistema digitale». In effetti, già ora Linktree si può usare per vendere prodotti, raccogliere indirizzi mail o ricevere pagamenti. Su Linktree si possono inoltre inserire video che si aprono direttamente sulla pagina anziché su altri siti, per esempio YouTube.
Secondo Protocol, «la scommessa a lungo termine di Linktree è che tutti diventeranno creatori di contenuti, e ogni utente avrà quindi necessità di unire in un unico posto la propria attività su più piattaforme diverse». Magari da mettere su curriculum e biglietti da visita, o addirittura capace di rimpiazzare entrambi. Zaccaria si immagina (e si augura) che le persone inizino a scambiarsi l’URL del proprio Linktree prima ancora dei rispettivi nomi sui social, o magari perfino dei numeri di telefono.
Linktree è la prima e più grande azienda del settore dei “link in bio”, ma non la sola. C’è per esempio Koji, di cui Protocol ha scritto: «se pensavate che i piani di Linktree su quel che si può fare con una pagina di link fossero ambiziosi, allacciate le cinture». Perché Dmitry Shapiro, amministratore delegato, vorrebbe costruire una specie di internet del futuro». Shapiro parla di Koji come di un «app store per la creator economy». In termini più comprensibili, Shapiro ha l’ambizione di incorporare su Koji funzioni di vario tipo, dalla condivisione di video a pagamento alla vendita di merchandise, come quelle offerte attualmente da siti come Cameo, OnlyFans, Mailchimp o Shopify. Al momento, Koji dice di essere usato da circa 75mila creatori di contenuti.
Un’altra importante azienda del settore è Linkfire, diffuso soprattutto nel mondo della musica: lo usano per esempio sia Fedez che Justin Bieber (il cui profilo Linkfire si stima sia visitato ogni mese da circa 400mila utenti). Lars Ettrup, il suo amministratore delegato, ha raccontato che al momento l’azienda sta lavorando su una possibile automatizzazione nel reperimento e nell’aggiornamento dei link da metterci, così da rendere la vita ancora più semplice a chi lo usa.
Queste e altre aziende interessate a prendersi un pezzettino di «uno dei territori più importanti di internet» devono però vedersela con un semplice ma enorme problema. Al momento persino Instagram e TikTok usano, per i loro profili ufficiali, Linktree. Potrebbero però, tra l’altro senza grandi difficoltà, scegliere di occupare direttamente quel territorio; oppure svalutarlo all’improvviso permettendo per esempio di mettere link dove ora non si possono mettere. Senza tronco, non possono esserci rami.
Un ulteriore ma più risolvibile problema è che al momento i servizi di queste aziende possono essere usati da chi, volendo per esempio evitare di mettere link discutibili su Instagram, decide di mettere un innocente link a Linktree (un’azienda esterna e indipendente da Instagram) e da lì indirizzare poi al link discutibile.
Ciononostante, ha scritto Protocol,«fintanto che internet resta così frammentato e finché i creatori lavorano agiscono su piattaforme diverse» il settore dei link in bio sembra poter resistere e persino crescere di pari passo con le piattaforme da cui partono i semplici link su cui si basa la loro intera attività.