Come funziona l’accordo del G20 per tassare le multinazionali
Sulla carta, una nuova imposta globale al 15 per cento renderà inutile lo spostamento dei profitti delle grandi aziende nei cosiddetti paradisi fiscali
I leader delle principali economie del mondo, che in questi giorni sono riuniti a Roma per il G20, hanno confermato l’accordo per imporre una tassa minima del 15 per cento sui guadagni delle grandi multinazionali e limitare le operazioni di elusione fiscale che finora hanno consentito a molte aziende di non pagare le tasse, o di pagarne solo in minima parte, in molti paesi in cui sono attive. L’accordo era già stato trovato a inizio ottobre dopo un lavoro coordinato dall’OCSE, l’organizzazione che raggruppa 35 dei paesi più sviluppati al mondo: ma per ottenere maggiore forza politica aveva bisogno di un’approvazione al G20.
Secondo Reuters, che ha visionato la bozza delle conclusioni del G20, l’accordo dovrebbe essere adottato ufficialmente oggi, domenica 31 ottobre, al termine delle riunioni e dei bilaterali del G20.
L’accordo è il risultato di anni di negoziati internazionali, che si sono intensificati dopo l’elezione del presidente statunitense Joe Biden, che ha spinto molto per una misura del genere e inizialmente aveva proposto un’aliquota ancora più alta.
Negli ultimi mesi ci sono stati diversi passaggi istituzionali che hanno esteso l’accordo e coinvolto molti paesi: a luglio era stata firmata una prima intesa tra 130 paesi, allargata a 136 paesi a ottobre, tra cui Ungheria, Irlanda ed Estonia che non avevano ancora firmato. Quando la riforma sarà operativa, secondo gli accordi entro il 2023, potrebbe avere conseguenze significative per l’economia globale, gli investimenti delle grandi aziende e le entrate di molti paesi.
L’idea di fondo è che le multinazionali dovranno pagare un’imposta di almeno il 15 per cento in ciascuno dei paesi in cui operano. Questa regola eviterà che le aziende, come spesso hanno fatto finora, creino articolate organizzazioni aziendali e finanziarie per spostare la gran parte dei propri profitti in stati in cui il livello di tassazione è più basso. Cosa che succede in posti esotici nell’Oceano Pacifico ma anche all’interno dell’Unione Europea, dove Irlanda e Paesi Bassi sono noti per offrire tassazioni bassissime e altre condizioni vantaggiose per le multinazionali.
Per far sì che l’accordo sia valido, la tassa minima globale al 15 per cento dovrà essere applicata da ciascun paese che ha sottoscritto la proposta. La tassa sarà applicata alle multinazionali con un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro. Le aziende che porteranno attività e profitti in paesi che non fanno parte dell’accordo pagheranno la differenza tra l’aliquota di quella nazione e l’aliquota minima del 15 per cento nel paese d’origine. L’obiettivo di questa condizione è rendere inutile lo spostamento delle attività in altri paesi: le aziende dovrebbero pagare almeno il 15 per cento indipendentemente da dove si trovino.
Molti dettagli operativi saranno discussi nei prossimi mesi, ma già da tempo sono state previste numerose eccezioni e compromessi. Per esempio, dall’accordo sono esclusi diversi settori produttivi, come quello estrattivo, quello petrolifero, quello dei trasporti marittimi e parte di quello dei servizi finanziari. Inoltre l’accordo sarà valido solo per le aziende che hanno ricavi globali di almeno 20 miliardi di euro l’anno e un margine di profitto di almeno il 10 per cento: secondo le previsioni, queste soglie coinvolgeranno un centinaio di grandi aziende in gran parte appartenenti ai settori della tecnologia, della moda e del farmaco.
L’accordo prevede che siano soggetti alla nuova tassa globale anche i singoli settori di un’azienda. Per esempio, benché nel complesso Amazon non rientri nei criteri di profitto previsti dall’accordo, potrà essere tassato Amazon Web Services, il suo settore di servizi per il cloud computing, che invece ha profitti superiori al 10 per cento.
Un’altra parte importante dell’accordo riguarda il cambiamento delle regole con cui i paesi possono tassare le società digitali: sarà consentito imporre tasse in base a dove vengono venduti i loro beni e servizi e non in base alla propria sede. Per Apple, per capirci, non avrà più senso mantenere la propria sede europea in Irlanda.
Secondo le stime dell’OCSE la nuova tassazione minima consentirà di ottenere 150 miliardi di dollari all’anno in tutto il mondo, circa 130 miliardi di euro, dalle società che finora hanno usufruito di una tassazione più bassa.
Al momento è molto complesso capire quali saranno le conseguenze sull’economia dei singoli paesi: l’amministrazione americana stima che l’accordo consentirà di aumentare le entrate di 350 miliardi di dollari in un decennio, perché secondo le previsioni le aziende costrette a pagare tasse più elevate sui profitti ottenuti all’estero investiranno maggiormente negli Stati Uniti.