In Corsica c’è la mafia
Lo spiega nel dettaglio un documento visto da Le Monde, che descrive storia e caratteristiche di un fenomeno a lungo negato e poco studiato
Il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato un’inchiesta sulla criminalità organizzata corsa, dopo aver avuto accesso a un documento di circa cento pagine della Giurisdizione specializzata interregionale di Marsiglia (JIRS). Nel documento si dice che il banditismo corso è un fenomeno troppo a lungo negato, poco studiato, associato al folklore o comunque trascurato a favore del terrorismo. E dice anche molto chiaramente che è un problema che «assume tutte le forme del fenomeno mafioso».
Chiedendo al ministero della Giustizia la creazione di un centro antimafia con poteri speciali, il documento fa il punto su dieci anni di attività del JIRS e presenta un’analisi approfondita – e mai letta prima, commenta Le Monde – del sistema criminale dell’isola.
Le Giurisdizioni specializzate interregionali (JIRS) furono create nel 2004. Ne fanno parte pubblici ministeri e magistrati inquirenti che hanno un’esperienza specifica nella lotta contro la criminalità organizzata e i crimini finanziari. Hanno una competenza territoriale estesa, interregionale, appunto, e sono otto: una di queste Giurisdizioni è quella di Marsiglia, che ha competenza anche sulla Corsica. Il documento che il JIRS di Marsiglia ha presentato si basa su quasi 150 dossier elaborati tra il 2009 e la fine del 2019, riguarda più di quaranta persone condannate o incriminate e sequestri di beni per oltre 15 milioni di euro.
Il banditismo corso, si dice, non può essere compreso senza la conoscenza del contesto, della storia e del territorio in cui il fenomeno è nato. Le sue radici si rintracciano in una struttura sociale basata sui clan, su un forte attaccamento al territorio e alla famiglia.
Nel documento si ripercorrono le fasi principali e più recenti delle organizzazioni criminali corse.
Dall’inizio degli anni Ottanta e fino al 2006 rimase in vigore una sorta di “pax mafiosa”. Il momento di svolta fu la morte di Jean-Jérôme Colonna, detto “Jean-Jé”, «membro importante della comunità corso-marsigliese al tempo della cosiddetta “French connection”, ovvero l’insieme di gruppi criminali che fornivano eroina agli Stati Uniti a partire dagli anni Quaranta, e padrino indiscusso sulle terre della Corsica del Sud. La morte di Colonna «ha completamente destabilizzato gli equilibri dell’isola e ha scatenato una guerra fratricida per il territorio e i vari interessi economici all’interno del clan criminale della Brise de mer, presente nel nord».
A partire dal 2013, dopo anni particolarmente brutali con decine di regolamenti di conti, entrò in vigore una tregua.
La “pace” durò però solo fino al 2016, quando ci fu una ripresa delle violenze tra clan grazie all’emergere di una nuova generazione di criminali che si era perfettamente inserita nelle reti preesistenti portando alcune innovazioni nelle aree di azione (narcotraffico, estorsione e riciclaggio) e nei modi di comunicare, dimostrando una grande capacità di adattamento: alcuni gruppi, per sfuggire alle intercettazioni, iniziarono a usare complessi sistemi di cifratura, oltre che i “pizzini”, cioè i bigliettini usati dalla mafia siciliana.
Come alcuni gruppi mafiosi in Italia, anche la mafia corsa sviluppò una propria presenza all’interno della gestione dei rifiuti dell’isola: «diversi omicidi, per la maggior parte irrisolti, possono essere direttamente collegati a questa attività», si legge nel documento del JIRS.
Oggi la criminalità organizzata corsa è attiva non solo in Corsica, ma anche fuori, e in particolare nella Francia meridionale, dove alcuni clan criminali di origine corsa hanno rilevato diverse attività commerciali: locali notturni, ristoranti, bar e sale di slot machine. Nei loro fascicoli, i magistrati di Marsiglia dicono che «la diaspora corsa» all’estero e nella Francia continentale si è specializzata nei circoli di gioco e nei casinò.
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Sulla base di tutte le informazioni raccolte, nel suo documento il JIRS dice che è necessario «valutare» ciò di cui la Giurisdizione ha bisogno «per ottimizzare la sua azione», altrimenti «questa potenza parallela continuerà a prevalere sull’isola e sul continente»: in mancanza di un’analisi e di una risposta adeguata, riassume Le Monde, il sistema della Giustizia francese continuerà a combattere con armi impari contro la mafia corsa.
Pur rivendicando alcuni successi, l’elenco dei fallimenti del JIRS è molto più lungo: per esempio il numero assai elevato di casi irrisolti, conseguenza per lo più della mancanza di mezzi e di risorse.
Altri due fattori che hanno contribuito sono stati l’esistenza di un sistema normativo non adeguato e la natura stessa della criminalità corsa, che ha alcuni aspetti specifici: è basata infatti sull’intreccio tra mercati illeciti e attività legali, sui legami con il tessuto economico e sociale locale, su sofisticati sistemi di riciclaggio di denaro, sulla destabilizzazione e «sull’imposizione del silenzio e del terrore»; l’omertà, «l’insularità» e una rete sociale molto stretta «rendono molto difficile la raccolta di testimonianze».
Infine, scrive il JIRS di Marsiglia, «la sovraesposizione mediatica» dei vari casi è diventata negli ultimi anni «una vera e propria difficoltà per il buon andamento delle indagini».
Nel suo rapporto, il JIRS chiede al governo di assumere più magistrati specializzati, di creare un centro antimafia con poteri speciali e un tribunale specifico per gli omicidi commessi dalle bande organizzate. La lotta alla mafia richiede, dice il JIRS, una modifica del quadro normativo esistente, in particolare per quanto riguarda la legge sui pentiti: il testo attuale dice che lo status di collaboratore di giustizia non è possibile per coloro che hanno commesso omicidi o atti che hanno causato l’invalidità permanente di qualcuno. Queste eccezioni sono limitanti, dice il JIRS, e fanno perdere alla legge gran parte della sua efficacia.
Eric Dupond-Moretti, avvocato penalista che si è occupato di criminali corsi e che è attualmente il ministro della Giustizia, nel 2017 si era espresso molto chiaramente contro la creazione di una “giurisdizione eccezionale” in materia di criminalità organizzata, dicendo che il fatto di non riuscire a provare le accuse non giustificava «un cambio di sistema».