Cosa si fa esattamente alle conferenze sul clima
Per prepararsi a seguire le notizie sulla COP26 di Glasgow, che inizia domenica
Il 31 ottobre a Glasgow inizierà la 26esima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico: in breve, la COP26. Ritardata di un anno per la pandemia, è un evento importante per portare avanti la riduzione delle emissioni di gas serra, ma è piuttosto complicata da seguire. Come nel caso delle istituzioni europee, ci sono innumerevoli organi e sigle il cui significato sfugge a chi non è addetto ai lavori. È anche difficile capire il senso delle strategie diplomatiche, dato che coinvolgono un grande numero di paesi (196) con interessi diversi.
Infine, dato che ogni conferenza annuale fa parte di un processo cominciato quasi trent’anni fa, non è facile giudicare se, presa singolarmente, abbia avuto successo o sia stata un fallimento: per la natura stessa del cambiamento climatico e per la complessità e l’ampiezza delle riforme necessarie a contrastarlo, i risultati di una singola conferenza sono tutt’altro che immediati ed evidenti.
Il punto di partenza per provare a capirci qualcosa può essere sapere cosa si fa esattamente alle conferenze sul clima, chi vi prende parte e come avvengono i negoziati.
Innanzitutto il nome: COP sta per “Conferenza delle Parti” e le Parti sono i paesi che hanno firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, più comunemente indicata con l’acronimo in inglese UNFCCC, che è un’istituzione nata nel 1992 per contrastare a livello globale il cambiamento climatico. La Conferenza delle Parti è l’organo decisionale supremo dell’UNFCCC e con l’eccezione del 2020 si è svolta ogni anno dal 1995, quando fu organizzata a Berlino (COP1).
I principali protagonisti delle COP sono le delegazioni dei governi dei paesi del mondo, di cui fanno parte politici e loro consulenti esperti di vari temi. Ci sono poi i rappresentanti del segretariato dell’UNFCCC e vari tipi di osservatori, che possono essere membri di organizzazioni non governative o intergovernative, oppure di diverse agenzie dell’ONU; infine i giornalisti. In totale partecipano alle COP circa 25mila persone in media: sono le più grandi riunioni annuali delle Nazioni Unite.
«Contrariamente a quanto si possa pensare, nel corso delle conferenze i negoziati non sono portati avanti sempre in sale plenarie con i delegati di tutti i paesi presenti e compostamente seduti», spiega Federico Brocchieri, membro del gruppo tecnico negoziale dell’Italia e dell’Unione Europea e divulgatore, nel breve saggio I negoziati sul clima. Di sessioni plenarie nei giorni della conferenza – da programma 13 per la COP26 – ce ne sono sempre almeno due, una all’inizio dei lavori e una alla fine: possono partecipare, oltre alle delegazioni dei paesi, gli osservatori e i giornalisti.
Le cose davvero importanti però avvengono in incontri più ristretti, a cui i giornalisti non sono ammessi. Queste sessioni con meno partecipanti possono essere di tre tipi. Quelle che per ampiezza e formalità sono più vicine alle sessioni plenarie sono i cosiddetti “gruppi di contatto”, aperti a rappresentanti governativi e (salvo eccezioni) osservatori. Ogni gruppo di contatto è dedicato a uno specifico tema nell’agenda dei negoziati ed è presieduto da due co-chair che vengono scelti tra i rappresentanti dei paesi: uno tra i paesi che nel trattato dell’UNFCCC sono elencati nell’Allegato I, cioè quelli che nel 1992 erano considerati “sviluppati”, e uno tra gli altri paesi, quelli con economie “in via di sviluppo” secondo i criteri del 1992.
Non è semplice riassumere i temi a cui si dedica ciascun gruppo di contatto, perché sono tutti abbastanza complessi e tecnici. Volendo fare un paio di esempi, e semplificando un po’, c’è sempre un gruppo di contatto che si occupa di valutazioni sull’effetto delle misure intraprese a livello globale per implementare il trattato dell’UNFCCC, e dal 2013 ce n’è uno che si occupa delle conseguenze delle politiche climatiche sul mercato del lavoro e su altri aspetti economici.
Nei gruppi di contatto si stabiliscono modalità e tempistiche dei negoziati, ma le vere e proprie discussioni avvengono nelle consultazioni informali e nelle consultazioni informali-informali, i due tipi di incontri con meno partecipanti. «La ragione per cui si prediligono contesti informali per affrontare questioni complesse sta nella maggior riservatezza di queste sessioni, che spesso vedono l’assenza degli osservatori e la presenza di un numero limitato di delegati», spiega sempre Brocchieri: «In sintesi, si riesce a parlare con più franchezza».
Nelle consultazioni informali vengono scelti due co-facilitatori, che invece sono assenti nelle consultazioni informali-informali: queste ultime, che non sono nemmeno riportate nel programma ufficiale degli incontri, sono il contesto in cui si riescono a dirimere le questioni più controverse, quelle che causano stalli nei negoziati, e si aprono quando non si trova una soluzione nelle consultazioni informali. Solitamente partecipa una decina di persone. Una volta trovato un accordo, viene riportato ai co-facilitatori delle consultazioni informali, che poi lo trasmettono ai co-chair del gruppo di contatto competente. Questi a loro volta comunicano tutte le decisioni che sono state prese negli incontri ristretti al Presidente della COP – un ministro del paese che ospita la conferenza – o ad altre figure direttive.
Le decisioni diventano ufficiali solo quando sono approvate nella sessione plenaria finale.
In generale il processo con cui si prendono le decisioni non è lineare, e a volte alcune decisioni vengono di fatto prese da piccoli gruppi di delegati che si incontrano in un corridoio, oppure in incontri bilaterali tra capi di stato o di governo.
Nel corso della COP vengono organizzati anche eventi collaterali, come laboratori con esperti di questioni climatiche, economiche e sociali, o presentazioni e mostre delle esperienze di singoli paesi o delle organizzazioni osservatrici: hanno la funzione di aiutare i delegati dei paesi a farsi un’idea sui temi della conferenza.
Tra le presentazioni e le mostre, alcune avvengono nella cosiddetta “Blue Zone”, lo spazio fisico che ospita la COP e a cui possono accedere solo le persone accreditate; altre invece si svolgono nella “Green Zone”, uno spazio vicino che è aperto anche al pubblico. Per fare un esempio, uno degli eventi della Green Zone della COP26 (che si potranno seguire anche da YouTube) sarà una spiegazione degli effetti del cambiamento climatico sulle profondità degli oceani organizzata dallo Schmidt Ocean Institute, un ente di ricerca che si occupa di oceanografia.
Le due COP più note sono quelle durante le quali furono presi i più importanti accordi internazionali sul clima: la COP3, che si svolse nel 1997 e che produsse il testo del Protocollo di Kyoto, e la COP21, quella dell’Accordo di Parigi del 2015. Non da tutte le COP escono accordi così rilevanti, ma è normale che sia così: per arrivare a un grande accordo serve un intenso lavoro di trattative preliminari che si svolgono nel corso di diverse COP e di vari incontri intermedi con meno partecipanti e perlopiù di carattere tecnico.
Per fare il Protocollo di Kyoto ci vollero di fatto tre COP; per l’Accordo di Parigi invece ben nove. Questi accordi inoltre sono pensati per “durare a lungo”: le decisioni prese con il Protocollo di Kyoto riguardavano il periodo tra il 2008 e il 2012, poi esteso fino al 2020, mentre l’Accordo di Parigi ha come orizzonte il 2030. La COP di quest’anno ha lo scopo di discutere i più recenti impegni dei singoli paesi per ridurre le proprie emissioni di gas serra e i modi per valutarne l’applicazione, oltre che l’efficacia, proprio in accordo con quanto deciso a Parigi sei anni fa.