Un artista spagnolo ha imbrattato un suo murale esposto a Torino
Era stato staccato e incluso in una mostra senza il suo consenso, una pratica contro la quale gli street artist protestano da tempo
Un murale dell’artista spagnolo Gonzalo Borondo è stato cancellato per volontà dello stesso autore: è stato ricoperto di vernice spray bianca, spruzzata da un uomo che si è introdotto nel teatro Colosseo, a Torino, dove l’opera era esposta. Non è chiaro se l’uomo fosse Borondo, che ha rivendicato la cancellazione, avvenuta nello scorso fine settimana, oppure un suo collaboratore. Il murale era stato staccato dal luogo in cui era stato realizzato senza il consenso dell’autore, ed era stato esposto alla mostra Street Art in Blu 3, la terza rassegna di opere d’arte realizzate da 36 tra i più noti street artist di tutto il mondo tra cui il più conosciuto, Banksy.
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Borondo ha 32 anni e negli ultimi anni ha realizzato opere in molti paesi del mondo: in Florida, a Kiev, a Barcellona, a Delhi, a Roma e a Segovia, nella comunità autonoma di Castiglia e León, dove è cresciuto. Mercoledì ha pubblicato alcune stories su Instagram per spiegare perché ha deciso di cancellare l’opera che era stata realizzata sul muro di una caserma abbandonata, a Bologna, tra il 2005 e il 2007. Il murale non ha un titolo perché l’artista lo ha sempre considerato un «un gesto spontaneo di ricerca artistica».
La ragione principale della cancellazione è che il murale, che raffigurava una donna e un uomo seduti a un tavolo, era stato tolto senza permesso dal muro su cui era stato realizzato e in seguito esposto a pagamento. «Più che una difesa di quella precisa opera, il nostro gesto è stata una presa di posizione contro la pratica di “strappare” le opere dai muri ed esporle», spiega Borondo. «È una moda molto pericolosa, perché questi lavori nascono da un dialogo diretto con la superficie e con il contesto. Portandole via da quel contesto spariscono come opere. Non sono fatte in studio, in un monologo con me stesso: sono il risultato di un dialogo con una parete, un museo, un cortile, un cimitero, un mercato».
Il rapporto tra le mostre e la street art è da sempre controverso. Tra le altre cose, gli street artist realizzano le loro opere sui muri delle città perché ritengono acquistino un senso solo in quel luogo e perché in un contesto cittadino sono visibili da chiunque senza dover pagare un biglietto, come accade invece nelle mostre o nei musei. Per queste ragioni è raro che un artista dia il suo consenso a rimuovere l’opera dal muro dove è stata realizzata, così come che ne accetti l’esposizione nelle mostre a pagamento.
Tutte le mostre a cui collabora Borondo sono gratuite, senza biglietto: è una condizione richiesta dall’artista. «Anche se è una somma simbolica, il denaro diventa un limite», spiega. «Inoltre dobbiamo considerare che il mondo del mercato dell’arte è già molto complicato: il fatto che alcune persone prendano le tue opere senza consenso e decidano un prezzo può danneggiare il percorso e la traiettoria di un artista. Eticamente lo trovo estremamente scorretto, soprattutto nel momento in cui è molto facile contattare direttamente un artista. La nostra azione vuole essere un segnale per queste persone, un invito a riflettere su quello che stanno facendo». Lo staff di Borondo ha confermato che gli organizzatori della mostra al teatro Colosseo non hanno contattato l’artista nemmeno dopo la cancellazione dell’opera.
Con le stesse motivazioni di Borondo, nel 2016 lo street artist Blu rimosse i suoi murales dai muri di Bologna quando Genus Bononiae, un’istituzione culturale sostenuta dalla fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, strappò dai muri della città le opere degli street artist per esporli nella mostra Street Art. Banksy & Co. – L’arte allo stato urbano a palazzo Pepoli.
«Non importa se le opere staccate a Bologna sono due o cinquanta; se i muri che le ospitavano erano nascosti dentro fabbriche in demolizione oppure in bella vista nella periferia Nord», scrisse il collettivo Wu Ming nell’articolo con cui venne annunciata la rimozione delle opere. «Non importa nemmeno indagare il grottesco paradosso rappresentato dall’arte di strada dentro un museo. La mostra Street Art. Banksy & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi».