Le riforme di Biden saranno meno ambiziose di quanto sperasse
Dovrà accontentarsi soprattutto per quelle sociali e sul clima, perché due senatori Democratici si sono messi di traverso
Le divisioni dentro al Partito Democratico statunitense e la precarietà della maggioranza al Senato stanno minando le ambizioni del presidente Joe Biden, che nei mesi scorsi aveva presentato alcuni importanti progetti di riforma sociale, sanitaria ed economica che secondo molti esperti avrebbero costituito la più grande manovra in senso progressista degli ultimi decenni, forse perfino dai tempi del New Deal.
Queste riforme, tuttavia, sono state pesantemente ridimensionate dalla componente più moderata del Partito Democratico, e la loro approvazione è ancora in sospeso soprattutto a causa delle divisioni tra moderati e progressisti dentro al partito (a cui si unisce il completo ostruzionismo dei Repubblicani).
Il responsabile principale delle difficoltà di Biden con le riforme è il senatore Joe Manchin, Democratico del West Virginia, un moderato che ormai da mesi tiene bloccato il cosiddetto “Build Back Better Act” o “reconciliation bill”, un ambiziosissimo pacchetto di misure che comprende grosse riforme sociali, aiuti alle famiglie, un aumento della copertura sanitaria, riforme del sistema di gestione dell’immigrazione e buona parte delle proposte di Biden per combattere il riscaldamento climatico – tutto dentro a un unico grosso disegno di legge.
Il “reconciliation bill” (chiamato così dalla procedura legislativa usata per evitare l’ostruzionismo dei Repubblicani, che si chiama appunto “reconciliation”) è la riforma più importante presentata finora dall’amministrazione Biden, e l’elemento centrale delle sue politiche progressiste. Ma Manchin – assieme a un’altra senatrice democratica moderata, Kyrsten Sinema dell’Arizona – ha chiesto e ottenuto un suo ridimensionamento sostanziale, che secondo la parte progressista del partito snatura il disegno di legge e indebolisce molte delle riforme più ambiziose volute dall’amministrazione.
Il potere di Manchin e di Sinema deriva in gran parte dal fatto che al Senato Democratici e Repubblicani hanno 50 voti ciascuno, con il voto della vicepresidente Kamala Harris a risolvere la parità in favore dei Democratici. Benché dunque in teoria il Partito Democratico abbia la maggioranza al Senato, il fatto che sia soltanto di un voto ha consentito a Manchin e Sinema di approfittare della situazione per imporre le loro condizioni. Come ha detto di recente Joe Biden, scherzando durante un evento, «quando sei presidente degli Stati Uniti e hai 50 Democratici [al Senato], ciascuno di loro è presidente».
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Manchin ha anzitutto preteso che la portata del “reconciliation bill” fosse drasticamente ridotta: per come era stato presentato al Senato (e approvato dalla Camera), le misure nel disegno di legge avevano un valore complessivo di 3.500 miliardi di dollari. Manchin ha detto però che lui non avrebbe mai votato per un disegno di legge che valesse più di 1.500 miliardi, e ha costretto così la Casa Bianca e i suoi colleghi al Senato a tagliare riforma su riforma. Attualmente il valore del disegno di legge è di 1.750 miliardi, la metà del progetto iniziale, e Manchin ancora non si è detto soddisfatto.
Il testo del disegno di legge è stato riscritto più volte, e poiché non è definitivo ancora molte cose potrebbero cambiare, ma tra le misure che potrebbero essere eliminate su richiesta di Manchin, a detta dei politici e dei giornali americani, c’è un progetto per rendere gratuite gran parte delle università statali (i cosiddetti “community college”) e uno per rendere definitivi i generosi bonus fiscali dati durante la pandemia alle famiglie con bambini, che negli ultimi mesi avevano ridotto in maniera drastica il tasso di povertà tra i minori. Potrebbero esserci anche tagli a un importante progetto di aumento della copertura sanitaria per le fasce più povere della popolazione.
Manchin avrebbe anche ottenuto l’eliminazione della «parte più potente del programma sul clima del presidente Biden», come ha scritto il New York Times, cioè di un grosso pacchetto di incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e penalizzazioni per chi inquina di più. Secondo molti esperti la misura sarebbe stata un grosso passo avanti per la decarbonizzazione degli Stati Uniti ma, come ha spiegato lo stesso Biden, Manchin ha chiesto una transizione più graduale, perché tra le altre cose il suo stato è uno dei più grossi produttori di carbone d’America.
Kyrsten Sinema ha invece avuto un ruolo notevole, tra le altre cose, nell’eliminare gli aumenti delle tasse alle imprese e alla fascia più ricca della popolazione, che avrebbero dovuto finanziare le riforme sociali. Questi aumenti delle tasse erano stati studiati per mesi, e ora che sono stati eliminati i Democratici stanno cercando in maniera un po’ raffazzonata di trovare nuove forme di finanziamento, come per esempio una tassa sui miliardari (a proposito della quale, però, Manchin si è detto scettico). Sinema per altro è un personaggio piuttosto ambiguo, che al contrario di Manchin in queste settimane di notorietà politica non ha mai posto condizioni chiare: «Ha un approccio idiosincratico e in un certo senso misterioso all’attività legislativa», ha scritto CNN.
Mercoledì i giornali americani hanno scritto che potrebbe essere eliminata un’altra importante misura che per la prima volta avrebbe consentito ai neogenitori o alle persone che si devono prendere cura di una persona malata di ottenere congedi pagati dal lavoro. Gli Stati Uniti sono l’unico paese sviluppato al mondo a non avere nessuna forma di congedo parentale pagato obbligatorio a livello federale, cioè valido in tutti gli stati. Le settimane di congedo concesse inizialmente avrebbero dovuto essere 12 all’anno ma dopo le prime obiezioni di Manchin erano state ridotte a quattro. Secondo i giornali americani, adesso sarebbero state eliminate del tutto.
Sia Manchin sia Sinema sostengono che la loro opposizione alle proposte più progressiste del disegno di legge è resa necessaria, tra le altre cose, dal quadro politico: lo stato di Manchin, il West Virginia, alle scorse elezioni presidenziali ha votato al 68 per cento a favore di Donald Trump, mentre l’Arizona, lo stato di Sinema, è da tempo conteso tra i due partiti. Se i Democratici vogliono avere qualche speranza di vincere di nuovo in questi stati, è il ragionamento, devono rassegnarsi ad approvare riforme che possano essere accettate anche da quell’elettorato.
I problemi per le attività di riforma di Biden non vengono soltanto dai moderati. La componente più progressista del Partito Democratico alla Camera sta tenendo in sospeso un altro importante disegno di legge, un progetto di investimenti sulle infrastrutture dal valore di 1.200 miliardi, che assieme alle riforme sociali è uno dei principali obiettivi dell’amministrazione Biden.
Il disegno di legge sulle infrastrutture, che finanzierebbe il necessario rinnovamento di porti, strade e ferrovie, più vari progetti innovativi, è molto meno controverso del “reconciliation bill” e dovrebbe ottenere anche il voto di alcuni deputati Repubblicani. Ma i Democratici progressisti hanno fatto sapere ormai settimane fa che non ne consentiranno l’approvazione senza prima ricevere garanzie che sarà contestualmente approvato anche il “reconciliation bill”.
I due disegni di legge sono dunque in un certo senso collegati, e i Democratici devono trovare un accordo per l’approvazione di entrambi. Secondo Chuck Schumer, il capogruppo dei Democratici al Senato, la fine del negoziato sarebbe «vicina», anche se non è chiaro quanto ancora potrebbe volerci. I tempi sono piuttosto stretti: il 31 ottobre scade il finanziamento di alcuni programmi federali sui trasporti, e senza l’approvazione del disegno di legge sulle infrastrutture il Congresso sarà costretto ad approvare in gran fretta una norma transitoria sul rifinanziamento, come già successo il mese scorso.
Biden inoltre vorrebbe portare risultati concreti sul clima alla COP26, la grande conferenza internazionale che si terrà nei prossimi giorni nel Regno Unito, e spera che una rapida approvazione dei disegni di legge possa aiutare i Democratici nelle elezioni per il rinnovo dei governatori di New Jersey e Virginia, che si terranno il 2 novembre.
Se l’amministrazione Biden riuscisse a ottenere l’approvazione del disegno di legge sulle infrastrutture e del “reconciliation bill” si tratterebbe comunque di una vittoria importante e di un notevole avanzamento dell’agenda politica del presidente, anche se con ambizioni ridotte.