Lo scontro diplomatico fra la Turchia e alcuni suoi alleati, spiegato
Erdogan aveva minacciato di dichiarare “persona non grata” dieci ambasciatori stranieri: poi ha cambiato idea
Lunedì sera il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiuso un serio scontro diplomatico con alcuni alleati iniziato sabato sera, quando aveva minacciato di dichiarare “persona non grata” gli ambasciatori di dieci paesi tra cui molti stati della NATO, chiedendone di fatto l’espulsione dalla Turchia (paese che a sua volta fa parte della NATO).
Lo scontro poteva avere conseguenze piuttosto gravi, ma è rientrato nel corso di lunedì quando i paesi coinvolti hanno diffuso un comunicato identico con cui ribadiscono l’impegno, espresso in una convenzione dell’ONU, a non interferire negli affari interni di un paese che ospita le proprie sedi diplomatiche. Poco dopo la diffusione del comunicato, Erdogan ha lasciato intendere di essersi rimangiato la minaccia. «Credo che da ora in poi faranno più attenzione alle loro prese di posizione riguardo alla sovranità nazionale», ha detto parlando con i giornalisti alla fine di una riunione di governo.
Lo scontro era arrivato in un momento di grave crisi economica per il paese, che sta provocando una riduzione dei consensi verso Erdogan a tal punto che, secondo l’opposizione e alcuni esperti, il presidente aveva deciso di attaccare i suoi alleati NATO più per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica che per motivazioni concrete. Tanto che già nel corso del weekend diverse persone avevano ipotizzato che Erdogan si sarebbe rimangiato la minaccia.
Tutto era iniziato qualche giorno fa, quando i dieci ambasciatori minacciati da Erdogan avevano firmato un comunicato congiunto per chiedere la liberazione di Osman Kavala, un noto imprenditore e filantropo in carcere da quattro anni con accuse giudicate pretestuose da diversi tribunali internazionali. «Ho dato ordine al nostro ministro degli Esteri e detto ciò che deve essere fatto: questi dieci ambasciatori devono essere dichiarati persona non grata», aveva detto Erdogan sabato. «Devono conoscere e comprendere la Turchia. Se non riescono a farlo, se ne possono andare».
In diplomazia, un paese ha il diritto di dichiarare il membro di una missione diplomatica come “persona non grata” (la locuzione è latina, letteralmente “persona non gradita”) senza doverne definire le ragioni. La persona designata in questo modo di solito è richiamata nel proprio paese d’origine, anche perché questo status la priva dell’immunità diplomatica.
Per Erdogan, attaccare in questo modo gli ambasciatori di paesi che sono al tempo stesso alleati militari e grossi partner commerciali era stato un fatto senza precedenti.
Come aveva notato Soner Cagaptay, un esperto di Turchia e membro del centro studi Washington Institute, negli ultimi 50 anni la Turchia aveva definito “persona non grata” soltanto 3 diplomatici di un certo rilievo: l’ambasciatore della Libia nel 1986, il vice capo dell’ambasciata siriana nello stesso anno e l’ambasciatore iraniano nel 1989 (in altri casi erano stati espulsi degli ambasciatori, ma non definiti “persona non grata”).
È stato notevole anche il fatto che tra i dieci paesi coinvolti (Canada, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Finlandia, Nuova Zelanda e Stati Uniti) mancavano alcuni grossi paesi europei, tra cui l’Italia, il Regno Unito e la Spagna.
La ragione immediata è che i loro ambasciatori non avevano firmato il comunicato in favore di Kavala, ma sempre Cagaptay aveva ipotizzato che esistesse un «sottogruppo nella famiglia occidentale delle nazioni che preferisce evitare scontri con Ankara». Anche la giornalista Futura D’Aprile, che ne ha scritto su Domani, ritiene che l’Italia sia stata esclusa per l’atteggiamento «accondiscendente» del suo governo.
Questa ipotesi è plausibile ma difficile da confermare, anche perché di recente il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ed Erdogan hanno avuto un notevole scontro.
Altri esperti, come Alexander Clarkson, ricercatore del King’s College di Londra, ritengono che Erdogan abbia deciso di non attaccare Italia, Regno Unito e Spagna perché la Turchia avrebbe nei confronti di questi paesi interessi speciali (con l’Italia, in Libia e in Somalia, e nel commercio di armi). Anche in questo caso si tratta di ipotesi difficili da confermare: altri paesi i cui ambasciatori sono stati minacciati sono per la Turchia partner più importanti dal punto di vista sia economico (la Germania) sia militare (gli Stati Uniti).
In ogni caso, le motivazioni della ritorsione diplomatica annunciata da Erdogan sembrano piuttosto fragili: un motivo in più per pensare che si sia trattato di un modo per distrarre l’opinione pubblica turca, almeno per qualche giorno.
Il caso di Osman Kavala va avanti da quattro anni e nelle ultime settimane non aveva avuto grossi sviluppi: gli ambasciatori avevano emesso il comunicato per la sua liberazione in concomitanza con il quarto anniversario del suo arresto, e si è trattato dunque più di un’azione di circostanza che di un’ingerenza specifica.
Imprenditore e filantropo, capo della sezione turca dell’organizzazione filantropica di George Soros (che Erdogan definì «quell’ebreo ungherese»), Kavala fu arrestato nel 2017 con l’accusa di aver finanziato le proteste contro il governo che si svolsero nel 2013 a Gezi Park, a Istanbul, e che furono represse con la violenza. Secondo l’accusa, Kavala intendeva usare i manifestati per rovesciare il governo.
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Le accuse si dimostrarono presto false e nel febbraio del 2020 un tribunale di Istanbul assolse Kavala e ne ordinò la scarcerazione. Ma poche ore prima che Kavala fosse liberato i procuratori turchi lo accusarono di nuovi atti sovversivi, questa volta in relazione al fallito colpo di stato del 2016. Kavala fu ri-arrestato, senza mai davvero uscire di prigione.
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In più di un’occasione, Erdogan ha definito Kavala un «terrorista». Vari esperti e tribunali internazionali, compresa la Corte europea dei diritti dell’uomo, ritengono invece che la sua detenzione sia ingiusta e ne hanno chiesto la liberazione. Il comunicato dei dieci ambasciatori, da questo punto di vista, non comporta particolari novità.
Anche per questo, era circolata l’ipotesi che Erdogan avesse aperto una nuova crisi con l’Occidente più che altro per distogliere l’opinione pubblica dai gravi problemi interni che la Turchia sta affrontando, in particolare dal punto di vista economico. Lo aveva detto Kemal Kilicdaroglu, il leader dell’opposizione turca, ma anche diversi altri osservatori, come per esempio la giornalista Durrie Bouscaren, che parlando con l’emittente americana NPR ha detto che secondo le persone con cui lei è in contatto «questo è un tentativo di distrarre [il pubblico] dai problemi interni».
Bouscaren ha aggiunto anche che «storicamente Erdogan ha attaccato l’Occidente per galvanizzare la sua base elettorale quando si sente sotto attacco».
Il problema principale di Erdogan riguarda l’economia. La lira turca negli ultimi giorni è crollata ai suoi minimi storici contro il dollaro e ha perso circa il 25 per cento del suo valore dall’inizio dell’anno (ne ha perso il 50 per cento dall’ultima vittoria elettorale di Erdogan, nel 2018). Di conseguenza, l’inflazione è aumentata eccezionalmente (attualmente è circa al 20 per cento) e ha cominciato a colpire anche la popolazione, con notevoli aumenti dei prezzi di vari generi di prima necessità.
La teoria economica è piuttosto chiara su cosa bisogna fare in questi casi: alzare i tassi d’interesse. Questo consente di contenere l’inflazione, anche se si rischia di deprimere l’economia (trovare l’equilibrio giusto è il lavoro dei banchieri centrali). Il problema è che Erdogan la pensa in maniera diametralmente opposta: per lui, l’inflazione si combatte abbassando i tassi d’interesse, non alzandoli.
Erdogan ha imposto le sue teorie economiche non convenzionali sul paese, limitando l’indipendenza della banca centrale e licenziando tre banchieri centrali in tre anni. Negli ultimi mesi il quarto banchiere centrale, Sahap Kavcioglu, era riuscito ad alzare un po’ i tassi, stabilizzando il crollo della lira. Ma a settembre Erdogan era tornato a fare pressioni: la settimana scorsa, la banca centrale turca ha tagliato i tassi di due punti percentuali (è un taglio enorme, considerando gli aggiustamenti millimetrici che vengono fatti normalmente) e la lira è crollata di nuovo.
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La terribile gestione dell’economia, assieme ad altri scandali, stanno danneggiando i consensi di Erdogan. A metà ottobre, per la prima volta da anni, la maggior parte dei turchi sentiti dall’agenzia di sondaggi MetroPOLL ha detto che se si votasse immediatamente Erdogan non vincerebbe. Le elezioni sono previste per il 2023.
Do you think Erdogan would win the presidential election? pic.twitter.com/lQCoWwhnas
— Ozer Sencar (@ozersencar1) October 17, 2021
Inoltre l’opposizione turca, storicamente divisa, negli ultimi mesi è riuscita a unirsi e, come ha scritto il New York Times, potrebbe costituire la prima seria minaccia elettorale per Erdogan da molti anni a questa parte.
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