Non è semplice far ripartire i grandi concerti
L'ambiguità del decreto sulle riaperture e i rischi economici hanno convinto molti organizzatori a rinviare le date nei palazzetti
All’inizio di ottobre l’allentamento delle restrizioni per concerti e spettacoli era stato accolto con una certa soddisfazione dagli organizzatori dopo un anno e mezzo in cui si erano alternati periodi di chiusura totale a riaperture solo parziali, con regole e limitazioni che avevano impedito di fare eventi come quelli visti durante la pandemia in altri paesi europei. «Finalmente tutta la cultura ricomincia a vivere», aveva scritto su Twitter il ministro della Cultura Dario Franceschini. La decisione era arrivata dopo le proteste di molti artisti, che avevano lamentato un eccesso di prudenza da parte del governo: i limiti alla capienza e il distanziamento non sembravano giustificati dalla situazione epidemiologica, con i contagi in calo e una campagna vaccinale ormai molto estesa.
Nonostante molte delle limitazioni che impedivano di organizzare concerti siano state allentate, diversi artisti e organizzatori hanno annunciato lo spostamento di concerti al prossimo anno, in primavera o addirittura in autunno. Anche in questo caso si è trattato di prudenza: non sanitaria, ma giuridica o economica. Lo spostamento è stato giustificato dalla mancanza di regole chiare nel decreto del governo, soprattutto per i luoghi che ospitano migliaia di persone come i palazzetti, e dalle nuove capienze che sono più permissive, ma non al punto da garantire la sostenibilità economica di molti grandi spettacoli.
Il decreto 139 approvato dal governo dice che dall’11 ottobre in zona bianca – quindi al momento in tutta Italia – si può entrare in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo solo con il Green Pass e indossando la mascherina. La capienza massima è stata portata al 100 per cento. Nelle discoteche e nelle sale da ballo la capienza massima è stata fissata al 75 per cento all’aperto e al 50 per cento al chiuso. In questi luoghi «deve essere garantita la presenza di impianti di aerazione senza ricircolo dell’aria» e deve essere indossata la mascherina «ad eccezione del momento del ballo». Per i concerti organizzati negli stadi e nei palasport, la capienza è al 75 per cento all’aperto e al 60 per cento al chiuso.
– Leggi anche: Per i locali e le discoteche il problema non è la capienza, ma il distanziamento
Il problema principale del nuovo decreto è che non ha chiarito in modo inequivocabile la principale preoccupazione di artisti e organizzatori, cioè la rimozione dell’obbligo di distanziamento e del posto preassegnato. Solo senza queste limitazioni si può ascoltare un concerto in piedi e gli uni vicini agli altri, come già da mesi avviene in molti paesi europei. Il decreto fa ancora riferimento a «posti a sedere preassegnati» e «rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro» per i concerti organizzati in zona gialla, mentre per la zona bianca non viene specificato nulla.
Secondo l’interpretazione più condivisa tra gli organizzatori, la mancanza di prescrizioni esplicite, come quelle previste in zona gialla, consente di organizzare concerti con posti in piedi e senza distanziamento. «Tramite i rappresentanti di categoria di Assomusica abbiamo parlato con stretti collaboratori del ministro Franceschini e abbiamo ricevuto rassicurazioni: ciò che non è vietato dalla legge è consentito» ha detto a Rolling Stone Stefano Pieroni, dirigente di Vertigo, che organizza tra gli altri il tour della band Eugenio in via di Gioia, confermato a partire dalla fine di ottobre. Nei live club i concerti sono ricominciati senza distanziamento e posti seduti, e al momento non sono stati segnalati problemi o sanzioni.
Nei palazzetti che ospitano migliaia di persone servono più autorizzazioni e accortezze. Già prima dell’epidemia, gli organizzatori di un grande evento dovevano ottenere la cosiddetta licenza di agibilità, un documento rilasciato al termine di un’ispezione di una commissione di vigilanza che verifica il rispetto di diversi requisiti come la distribuzione degli spazi, la capienza massima, la presenza di uscite di sicurezza.
Le commissioni sono solitamente comunali o provinciali e le modalità di intervento sono diverse nelle singole regioni o province. In alcune regioni per gli spettacoli con più di cinquemila spettatori è indispensabile il parere della commissione, in altre – o in certe province o comuni – questa soglia è molto più bassa. A Milano, per esempio, la commissione di vigilanza richiede un parere favorevole per “attività di carattere temporaneo” con più di 200 persone.
L’autonomia delle commissioni di vigilanza e la mancanza di espliciti riferimenti nel decreto hanno causato diverse interpretazioni. In alcune regioni e comuni le commissioni di vigilanza sono titubanti. È il caso di Bologna, dove il cantante e produttore Cosmo, che aveva chiesto al governo di eliminare le restrizioni che impedivano i regolari concerti, è stato costretto a rimandare ad aprile 2022 i concerti programmati all’inizio di ottobre all’Arena Parco Nord.
In un video pubblicato su Instagram, Cosmo ha spiegato che il decreto del governo lascia la responsabilità della decisione definitiva alle commissioni di vigilanza che spesso non decidono, in mancanza di regole certe. «Ci siamo trovati in un incubo: la politica rimpalla, la burocrazia rimpalla», ha detto. «Fare un concerto in piedi è diventato come decidere se dare una motosega a un bambino: sembra una decisione che comporta rischi gravissimi. È impossibile prendere decisioni senza avere timore di sanzioni e controlli».
Alcuni organizzatori hanno deciso di limitare in autonomia le capienze, per concedere al pubblico la libertà di assistere a un concerto in piedi e senza distanziamento. Con queste modalità si terrà a Torino, dal 4 al 7 novembre, il Club to Club, tra i più apprezzati festival di musica elettronica in Europa. Il festival sarà alle OGR, le Officine grandi riparazioni, un complesso industriale di fine Ottocento: la capienza al 50 per cento consentirà di accogliere al massimo 1.375 persone per evento. All’ultima edizione organizzata prima della pandemia, nel 2019 al Lingotto, avevano partecipato in tutto 30mila persone.
Il direttore del festival, Sergio Ricciardone, spiega che il decreto legge consentiva al Club to Club di tenere la capienza al 100 per cento, in quanto concerti, ma è stato deciso di limitarla al 50 per cento per dare al pubblico la libertà di restare in piedi, senza distanziamento, e anche di ballare. «È più importante avere mille persone felici che non pensare di arrivare per forza al massimo della capienza», dice. «Siamo in un momento di passaggio molto importante. La distorsione della proposta di un concerto con l’obbligo di posti seduti è grave, perché non tutti gli artisti possono permetterselo per la musica che propongono».
Il Club to Club ha fatto una scelta artistica precisa, che ha effetti anche sull’organizzazione. Il programma privilegia gli artisti più d’avanguardia rispetto al passato – tra gli altri, Caterina Barbieri, Beatrice Dillon, L’Rain e Tirzah – senza una grande fama internazionale che influirebbe sulla scelta degli spazi e sulla sostenibilità economica. I grandi artisti internazionali, infatti, hanno mantenuto cachet molto alti anche dopo la fine della fase più emergenziale dell’epidemia e privilegiano i festival che ospitano migliaia di persone. Nonostante questa scelta, i biglietti per il Club to Club sono quasi esauriti. «Non avendo grandi produzioni siamo riusciti a proporre il biglietto a un prezzo politico di dieci euro», continua Ricciardone. «Volevamo dare un segnale alle persone che hanno aspettato tanto, tornare a ricreare quel senso di comunità che ha sempre caratterizzato il nostro festival, e ribadire che la musica è un bene necessario».
Per i concerti nei palazzetti che avevano già venduto i biglietti prima della pandemia è più difficile organizzarsi. Molti tour previsti nei mesi autunnali e invernali sono stati rimandati al prossimo anno per motivi economici: con il limite al 60 per cento della capienza è complicato coprire i costi di produzione, molto elevati. Per avere un margine discreto è quasi indispensabile vendere tutti i biglietti disponibili.
Un’altra conseguenza non trascurabile è la gestione dei concerti che avevano già venduto tutti i biglietti: nei palazzetti, con la capienza al 60 per cento, gli organizzatori avrebbero dovuto escludere il 40 per cento degli spettatori senza criteri precisi oppure organizzare altre date, con una serie di costi in più. I Subsonica, che avevano già venduto tutti i biglietti del loro “Microchip temporale tour”, già rimandato più volte, hanno rinviato le date a marzo. «Ad oggi non vengono date garanzie tali da consentirci di fare partire un tour già sold out, che quindi necessita di capienza piena», ha scritto la band in un post su Instagram. «Il tour è una macchina complessa e delicata che necessita di regole chiare di programmazione. Cosa che, a dispetto di qualche voce non sufficientemente convalidata, non sta avvenendo. Ennesima dimostrazione di una cronica “leggerezza” riservata al nostro settore».