La destra francese gira sempre di più attorno a Eric Zemmour
Mancano sei mesi alle elezioni presidenziali e il popolare giornalista di estrema destra sta scombinando i piani di parecchi politici
Mancano circa sei mesi alle elezioni presidenziali francesi, che si terranno tra il 10 e il 24 aprile 2022, e le candidature ufficiali si conosceranno solo il prossimo marzo. In attesa che l’attuale presidente Emmanuel Macron confermi la sua ricandidatura, altri politici hanno già detto di volersi presentare o ne hanno manifestato l’intenzione. Alcuni sono di fatto già in campagna elettorale: Jean-Luc Mélenchon, leader del partito di sinistra La France Insoumise, Anne Hidalgo, sindaca di Parigi del Partito Socialista, Yannick Jadot che sarà il candidato dei Verdi, e anche Marine Le Pen del partito di estrema destra Rassemblement National. La destra che fa riferimento a Les Républicans (LR), il partito un tempo guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy, indicherà invece il proprio candidato solo a dicembre.
Gran parte della discussione politica sembra però essere occupata o fortemente condizionata da Eric Zemmour, popolarissimo giornalista e conduttore di estrema destra che non ha ancora detto di volersi candidare, ma che sta facendo tutto come-se. E indipendentemente dal fatto che poi lo faccia, Zemmour è talmente presente sui social, in tv e sui media in generale che in Francia, da settimane, si parla di “zemmourizzazione” del dibattito politico.
Eric Zemmour
Eric Zemmour è l’idolo dell’estrema destra, di chi si oppone al multiculturalismo, al femminismo o all’accoglienza delle persone migranti.
Ha 62 anni e alle spalle una lunga carriera da giornalista al quotidiano conservatore Le Figaro. È diventato famoso in tutta la Francia prima con il suo libro Le Suicide français, uscito nel 2014, poi con il talk show Face à l’Info, che ha condotto dal 2019 fino a poche settimane fa. Grazie a Face à l’Info, Zemmour è stato tra i responsabili della crescente popolarità del canale televisivo CNews, una specie di Fox News alla francese dalle posizioni ultra-conservatrici, che sta avendo un ruolo significativo nell’indirizzare il dibattito delle presidenziali.
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Zemmour è promotore della teoria di un presunto progetto di sostituzione etnica in corso in Europa ai danni della popolazione bianca e cristiana da parte dei migranti (teoria a cui anche i politici francesi di estrema destra come Marine Le Pen evitano di fare riferimento). Sostiene che «l’inconscio collettivo» delle «popolazioni musulmane» sia quello «di colonizzare l’ex colonizzatore», è velatamente nostalgico del colonialismo, «filosoficamente favorevole alla pena di morte», è scettico sull’efficacia delle democrazie europee, è ostile ai diritti civili per le persone omosessuali, è misogino, odia il femminismo che avrebbe secondo lui «distrutto la famiglia occidentale» e sembra essere ossessionato dalla virilità.
Dice, tra le altre cose, che «il governo di Vichy (cioè i collaborazionisti dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ndr) non abbia avuto come conseguenze lo sterminio e i campi nazisti».
Zemmour non ha mai fatto politica nei partiti, e nonostante sia ancora un non-candidato partecipa ai dibattiti televisivi con i candidati e alle discussioni politiche per le presidenziali. Tra le altre cose, ha ottenuto una enorme visibilità sui social, in tv e sui media in generale.
Anche questo avrebbe favorito una sua velocissima ascesa nei sondaggi in vista delle elezioni di aprile (i sondaggi vanno comunque considerati con molta cautela, precisano tutti i giornali francesi). In meno di un mese Zemmour è passato dal 7 al 17-18 per cento, dietro a Emmanuel Macron e davanti a Marine Le Pen.
Le compte de BFM TV a consacré 432 tweets à Zemmour. C'est trois fois plus que les 2 candidats qui suivent (Jean-Luc Mélenchon et Marine Le Pen). Et encore, Mélenchon doit en grande partie son score à aux tweets concernant son débat… avec Zemmour. pic.twitter.com/tzjGXeYihX
— CheckNews (@CheckNewsfr) October 9, 2021
«Prima di Eric Zemmour, mai nessun “candidato” ha conosciuto una tale progressione nelle intenzioni di voto in così poco tempo», ha commentato l’analista Antoine Gautier.
Inizialmente Zemmour è stato molto sottovalutato, sia dalla destra di Les Républicains che dall’estrema destra di Rassemblement National, che ha contato troppo sia sul fatto di aver avuto per quarant’anni il monopolio del campo nazionalista, sia sulla convinzione che anche questo tentativo di creare una terza via tra il partito e la destra sarebbe fallito, così com’erano falliti i precedenti. Oggi tra i più preoccupati di un’eventuale candidatura di Zemmour c’è proprio Marine Le Pen.
Marine Le Pen
La crescita nei sondaggi di Zemmour sta andando di pari passo con il calo di Marine Le Pen, che negli scorsi mesi risultava sempre al secondo posto dietro a Macron.
Marine Le Pen è di fatto in campagna elettorale con i temi cari da sempre al suo elettorato: immigrazione e sicurezza, anche se secondo gli istituiti di ricerca non sono le questioni che preoccupano maggiormente i francesi e le francesi (e che sono invece il potere d’acquisto, la protezione sociale e l’ambiente).
Il problema per Le Pen è che su immigrazione e sicurezza Eric Zemmour sembra più radicale di lei. «Il Front National, e poi Rassemblement National, hanno avuto successo grazie alla loro radicalità», ha detto Gilles Ivaldi dell’istituto di ricerca Cevipof di Parigi. Ma dal 2017, Marine Le Pen ha cercato di dare un’immagine più moderata e rassicurante del suo partito, avviando una strategia di normalizzazione che le permettesse di espandere la base elettorale e di affermarsi come candidata credibile.
Eric Zemmour è invece colui che si è inserito in questo processo di trasformazione e che ha raccolto l’eredità originaria del partito di Le Pen, senza alcuna preoccupazione di doversi dare un’aria presidenziale. Anzi, secondo molti, se lo facesse indebolirebbe immediatamente il principale motore della sua ascesa.
Un’ultima ragione che potrebbe spiegare il crollo di Marine Le Pen nei sondaggi è anche il fatto che la candidata del Rassemblement National non è più una novità sul mercato elettorale: è ormai alla sua terza campagna presidenziale e fa parte di quella stessa classe politica che vorrebbe stigmatizzare.
La destra
È da tempo che si racconta come la riorganizzazione degli scenari politici francesi attorno a due partiti “non tradizionali”, quello di Le Pen e quello di Macron, abbia avuto diverse conseguenze su Les Républicans (LR), il partito di centrodestra un tempo guidato dall’ex presidente Nicolas Sarkozy.
Poco prima delle elezioni europee del 2019, i giornali francesi scrivevano che l’obiettivo di Les Républicans era provare a raccogliere un numero sufficiente di voti per poter dire: «La destra è tornata». Non era successo, e alle europee LR aveva preso circa l’8 per cento, lontano dal 21 ottenuto dal partito quando si chiamava UMP alle europee del 2014. Poi LR era riuscito a rivendicare un peso alle municipali e alle regionali del 2020 e del 2021, facendo però affidamento sugli eletti uscenti a livello locale.
Oggi non solo la destra non sembra essere «tornata» ma, scrive Libération, con Macron da una parte e il protagonismo di un’altra figura non tradizionale come quella di Zemmour dall’altra lo spazio politico di LR si sta restringendo ancora di più.
I sondaggi dicono che una parte dei voti che un tempo erano di LR si è spostata su Macron che alle scorse presidenziali, pur dichiarando di non essere «né di destra né di sinistra», veniva percepito come un politico abbastanza progressista.
Ora che il suo mandato è quasi finito, la situazione è cambiata: le riforme e la politica di Macron si sono spostate a destra, e su questioni come immigrazione e sicurezza il presidente ha cercato e continua a cercare il sostegno esplicito degli elettori di destra. «La sinistra divisa non è considerata una minaccia dall’Eliseo, e la strategia per il 2022 è consolidarsi a destra, su un terreno tradizionalmente occupato da LR», scrive Libération. A favore di questa strategia va anche la decisione di Édouard Philippe – ex primo ministro e sindaco di Le Havre che dopo l’uscita da LR ha fondato un partito politico chiamato Horizons, “Orizzonti” – di sostenere Macron.
Per differenziarsi da Macron, gli aspiranti candidati di LR alla presidenza hanno radicalizzato le loro posizioni su temi come l’immigrazione o l’Unione Europea, avvicinandosi di conseguenza alle posizioni difese, alla loro destra, da Marine Le Pen.
Questo riavvicinamento ha avuto a sua volta delle conseguenze: da una parte i sostenitori di una destra moderata ostile alla convivenza con l’estrema destra si sono allontanati; dall’altra i più radicali si sono avvicinati a Zemmour che è stato in grado, per ora, di attrarre i delusi sia di Le Pen che di LR. Il risultato finale di questo doppio movimento, ha riassunto il giornalista Olivier Biffaud su Slate, è un continuo e costante impoverimento della destra repubblicana in termini sia di progetto politico che di serbatoio militante o risultati elettorali.
La difficoltà della destra è dimostrata anche dal fatto che sceglierà con ritardo il proprio candidato o candidata alla presidenza e che la modalità con cui lo farà è stata, per mesi, oggetto di discussioni interne.
Lo scorso settembre, gli iscritti e le iscritte al partito hanno infine scelto di non fare delle primarie aperte, ma di tenere un congresso a porte chiuse il prossimo 4 dicembre, da cui uscirà un nome. Al congresso potrà votare chi si è fatto la tessera del partito entro il 16 novembre; e se qualche settimana fa il numero degli iscritti e delle iscritte a Les Républicans era pari a 70 mila, ora, hanno fatto sapere i suoi dirigenti, è aumentato a circa 88 mila.
Per ora sono stati ammessi a partecipare al congresso sei candidati, i quali entro il 2 novembre dovranno raccogliere 250 firme di funzionari eletti in almeno 30 dipartimenti diversi. Non è detto che tutti e sei ci riescano, e almeno uno di loro rischia di non farcela: è l’imprenditore Denis Payre, che è stato definito da alcuni giornali «l’ospite dell’ultimo minuto» e il cui nome non è stato nemmeno incluso nel sondaggio richiesto dal partito all’istituto di ricerca IFOP.
Si sono poi candidati Éric Ciotti, 55 anni, deputato delle Alpi Marittime, Philippe Juvin, 57 anni, medico, sindaco dal 2001 di Garenne-Colombes (vicino a Parigi) e Michel Barnier, l’ex capo negoziatore dell’Unione Europea per Brexit.
Barnier ha 70 anni, è stato commissario europeo per le Politiche regionali e poi per il Mercato interno e ha avuto incarichi di rilievo in diversi governi francesi. È considerato una figura autorevole all’interno del partito e con una solida esperienza politica alle spalle. Tra gli iscritti ha un buon indice di popolarità, ma nei sondaggi generali delle presidenziali sarebbe il candidato di destra che raccoglierebbe meno voti. Davanti a lui ad oggi risultano sia Valérie Pécresse che Xavier Bertrand, che sono però un po’ l’anomalia di questo processo di selezione interna.
Xavier Bertrand ha 56 anni, è stato ministro della Sanità, poi del Lavoro, è stato portavoce della campagna presidenziale di Nicolas Sarkozy e alle ultime elezioni regionali è stato riconfermato presidente della regione Hauts-de-France, ottenendo più del doppio dei voti del suo sfidante del Rassemblement National. Bertand, che sarebbe il candidato di centrodestra favorito a livello nazionale, è in realtà uno dei meno apprezzati nel partito.
Bertrand, infatti, non è più membro di LR dal dicembre 2017, quando cioè alla guida del partito venne eletto Laurent Wauquiez, un esponente dell’ala più conservatrice. Da allora, Bertrand non ha risparmiato critiche ai suoi vecchi alleati, che sono state molto poco apprezzate da una parte degli iscritti. Lui ha comunque deciso di sottoporsi al loro voto dicendo di voler «riunire la sua famiglia politica».
Valérie Pécresse, presidente dell’Île-de-France, è l’unica donna che si è candidata al congresso di LR, partito che anche lei aveva lasciato nel 2019 per disaccordi con la linea di Wauquiez (che poi si era dimesso). Ora Pécresse ha detto di voler rifare la tessera, ma le sue posizioni potrebbero non essere in sintonia con quelle, più radicali, degli iscritti.