Lo “Stato di diritto” che c’è sempre meno, in Polonia
L'erosione del principio secondo cui anche il potere politico deve rispettare le leggi è un grosso problema per tutta l'Unione Europea
Il 14 ottobre la Corte Costituzionale polacca ha deciso di non riconoscere più il primato del diritto dell’Unione Europea sulle leggi nazionali, con una sentenza senza precedenti nella storia dell’Unione Europea per portata e dimensioni. Uno degli aspetti più rilevanti di questa decisione è che il tribunale che l’ha presa era composto in buona parte da giudici indicati dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia, la cui nomina era stata giudicata in precedenza molto controversa, perché parte di un più ampio processo di erosione dello “Stato di diritto” in corso da tempo in Polonia.
Nonostante possa sembrare un concetto astratto e che non ci riguarda, lo Stato di diritto è un principio estremamente importante su cui si basano le democrazie costituzionali moderne: semplificando molto, indica uno stato vincolato e determinato dal diritto, e implica quindi il rispetto delle leggi da parte sia dei cittadini sia di chi li governa. È un principio fondante e centrale anche per l’Unione Europea, che infatti richiede ai suoi paesi membri di garantirlo all’interno dei propri confini nazionali.
Come dimostra il caso polacco, però, non in tutta l’Unione lo Stato di diritto viene rispettato, e le differenze tra un paese e l’altro possono essere notevoli.
La prima cosa da sapere è che non esiste una definizione formale e condivisa di Stato di diritto. La sua applicazione varia da contesto a contesto, ma esistono alcuni elementi che sono fondamentali per poterne definire la presenza.
Lo Stato di diritto esiste quando l’esercizio dei pubblici poteri è conforme alla legge; quando questa si basa sul rispetto dei diritti fondamentali (per come sono stabiliti dalle Costituzioni, a cui le leggi stesse devono essere soggette) ed è applicata in modo paritario a tutti i membri della popolazione; e quando esiste un potere giudiziario indipendente e imparziale che assicuri il rispetto di questi principi.
Per fare alcuni esempi, l’esistenza dello Stato di diritto implica che si può perquisire una casa solo se si ha l’autorità per farlo, che si può arrestare qualcuno solo se si è in possesso di un mandato di arresto, e che i cittadini hanno diritto a un giusto processo e possono contestare le azioni di un governo in un tribunale indipendente. In Italia lo Stato di diritto si è affermato soprattutto con la Repubblica e la Costituzione, creata per restituire, allargare e consolidare i diritti fondamentali che il fascismo aveva compresso.
In Polonia si è cominciato a parlare di erosione dello Stato di diritto soprattutto negli ultimi anni, quando alla guida del paese è arrivato il partito di estrema destra Diritto e Giustizia (dal 2015, anche se era già stato al governo dal 2005 al 2007), ed è un fenomeno che ha interessato una varietà di ambiti diversi.
Uno dei più evidenti e critici è stato quello del sistema giudiziario. Sul potere giudiziario, in particolare sui giudici, è progressivamente aumentata l’influenza del potere esecutivo e di quello legislativo. Il risultato è stato un indebolimento netto dell’indipendenza della magistratura polacca.
Nel 2017, per esempio, il governo polacco aveva istituito la Sezione disciplinare della Corte suprema, un organismo per indagare sugli errori giudiziari dei magistrati, con poteri molto ampi, tra cui la facoltà di avviare procedimenti penali contro i giudici. Nel 2020 il Parlamento polacco aveva approvato una legge che, tra le altre cose, permetteva al governo di punire i giudici che ne criticavano le riforme giudiziarie e le nomine di cariche pubbliche. Le punizioni variavano dalle semplici multe al licenziamento. La legge, voluta da Diritto e Giustizia, il partito di estrema destra al governo, era stata fortemente criticata dall’Unione Europea e dall’ONU per via delle storture che poteva generare: per esempio, il controllo della politica sulla magistratura.
La Commissione Europea aveva detto che l’evoluzione del sistema giudiziario polacco provocava «grandi preoccupazioni» rispetto alla tenuta dello Stato di diritto, e lo smantellamento in ambito giudiziario era stato anche il motivo principale degli scontri sempre più duri tra Polonia e Unione Europea.
Lo scontro si è inasprito quest’estate: al centro c’è stata proprio l’istituzione, nel 2017, della Sezione disciplinare della Corte suprema. Secondo la Corte di giustizia dell’Unione, l’organismo non è imparziale e minaccia lo Stato di diritto e l’indipendenza del sistema giudiziario. La Corte di giustizia dell’Unione ha per questo emesso un ordine provvisorio per bloccarne le attività. A quel punto la Corte Costituzionale polacca ha detto che la Corte europea non aveva alcun potere per prendere una decisione del genere.
Le tensioni sono poi culminate con la decisione della Polonia, a inizio ottobre, di smettere di riconoscere il primato del diritto dell’Unione Europea sulla Costituzione polacca, stabilendo che ogni atto normativo dell’Unione Europea non debba essere in contraddizione alla Costituzione polacca per essere applicato nel paese.
Con questa decisione, il governo polacco ha confermato la sua tendenza a non accettare vincoli legali all’esercizio del potere pubblico, togliendo tra l’altro ai propri cittadini uno strumento fondamentale per contestare eventuali decisioni prese dai tribunali polacchi in tribunali indipendenti – quelli internazionali, in questo caso – e intaccando quindi anche da questo punto di vista uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto.
In Polonia, lo smantellamento dello Stato di diritto ha riguardato anche la libertà di espressione e una varietà di diritti civili.
Nel 2016, per esempio, il governo polacco (anche allora guidato dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia) aveva approvato una legge che prevedeva che i dirigenti dei mezzi d’informazione pubblici fossero scelti direttamente dal governo. Dopo le elezioni il nuovo governo era intervenuto anche sui vertici delle agenzie anticorruzione del paese e aveva sostituito una serie di funzionari pubblici, sollevando da subito diverse preoccupazioni sul sistema di pesi e contrappesi istituzionali. Più recentemente, la Polonia ha anche introdotto una norma che ha di fatto sancito il divieto di abortire e adottato provvedimenti profondamente discriminatori nei confronti della comunità LGBT+.
Un paese in cui di recente il principio dello Stato di diritto ha invece mostrato di essere solido, e di funzionare bene, è stata l’Austria, che secondo le valutazioni annuali sullo Stato di diritto della Commissione Europea è uno degli stati europei in cui la magistratura gode della maggiore indipendenza.
Il popolare ex cancelliere Sebastian Kurz si è dovuto dimettere dopo essere stato coinvolto in un’indagine per corruzione. Kurz è indagato per aver dichiarato il falso durante una commissione d’inchiesta parlamentare, un reato che prevede fino a tre anni di carcere.
Una cosa del genere sarebbe oggi impensabile in paesi come la Polonia. Le dimissioni di Kurz sono state il risultato di un’importante e grossa indagine che i giudici austriaci stavano portando avanti sulla corruzione all’interno del governo. Se i giudici austriaci non avessero potuto svolgere il proprio lavoro in modo indipendente, senza alcuna pressione o influenza da parte del governo, le conclusioni avrebbero potuto non essere le stesse.
Come detto, lo Stato di diritto è anche uno dei principi fondanti dell’Unione Europea: è indicato nell’articolo 2del Trattato sull’Unione Europea, uno dei suoi trattati fondativi. Per questo motivo l’Unione possiede diversi strumenti per valutare quanto questo principio venga rispettato in tutti gli stati membri, tra cui, a partire dal 2020, una relazione annuale compilata dalla Commissione Europea su quattro importanti indicatori: i sistemi giudiziari nazionali, i programmi anticorruzione, il pluralismo e la libertà dei media, il bilanciamento dei poteri.
Una delle questioni più complesse dello Stato di diritto all’interno dell’Unione Europea riguarda i mezzi che le istituzioni hanno per farlo rispettare negli stati membri. È complessa perché gli strumenti a disposizione sono per certi versi limitati, e i tentativi fatti finora nei confronti di Ungheria e Polonia sono stati poco efficaci.
L’Unione ha avviato per esempio alcune procedure d’infrazione: significa richiedere al paese in questione di giustificare le proprie azioni e, nel caso in cui la spiegazione non sia convincente, di conformarsi al diritto europeo entro un certo limite di tempo. Procedure del genere però impiegano diversi anni per arrivare a conclusione, e spesso per prendere provvedimenti serve l’unanimità degli altri stati dell’Unione, difficilissima da raggiungere.
Una misura più efficace si è rivelata il blocco, deciso dalla Commissione Europea, dei miliardi di euro del cosiddetto Recovery Fund, il principale strumento comunitario per stimolare la ripresa economica dopo la pandemia da coronavirus. A queste misure il primo ministro polacco ha risposto dicendo che la Polonia non accetta «ricatti» da parte dell’Unione Europea.
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In questi ultimi giorni, l’acuirsi dello scontro tra Unione Europea e Polonia ha portato molte persone a chiedersi perché l’Unione Europea non abbia deciso di espellere la Polonia, o l’Ungheria. La risposta è che l’Unione Europea non ha gli strumenti giuridici per farlo, perché i trattati su cui è fondata non prevedono che si possa espellere unilateralmente uno stato membro.
Può sembrare contraddittorio, dato che l’accettazione e il rispetto dei valori fondamentali dell’Unione Europea, tra cui quello dello Stato di diritto, sono una condizione imprescindibile per l’ingresso nell’Unione, come descritto nell’articolo 49 del Trattato sull’Unione Europea.
Il mezzo più drastico che l’Unione Europea possiede per cercare di convincere gli stati membri a rispettare i propri valori fondanti è la cosiddetta «opzione nucleare», contenuta nell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che permette di «sospendere» alcuni diritti di uno stato membro, come per esempio il diritto di voto nelle sedi istituzionali, in caso di violazione dello Stato di diritto. Anche in questo caso, però, le cose non sono così semplici. Come per le procedure di infrazione, questa opzione può essere usata contro uno stato membro solo se viene votata unanimemente da tutti gli altri.
Per come si è fondata l’Unione Europea, insomma, lo Stato di diritto si può far rispettare solo se tutti, o quasi tutti, ne condividono i principi. Più il problema si allarga, meno è possibile arginarlo.
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