Sulla Polonia si è deciso di non decidere
Dopo la controversa sentenza della Corte Costituzionale polacca, i leader europei hanno scartato le opzioni più dure, come la sospensione di altri fondi comunitari
Giovedì sera a Bruxelles i capi di stato e di governo dell’Unione Europea, riuniti nel Consiglio Europeo, hanno discusso per circa due ore della recente sentenza della Corte Costituzionale polacca che in sostanza ha deciso che la Polonia non riconoscerà più la supremazia delle leggi europee su quelle polacche, cioè uno dei principi fondativi dell’Unione.
La riunione del Consiglio era stata preceduta da dichiarazioni molto dure di alcuni leader, secondo cui l’Unione avrebbe dovuto prendere provvedimenti concreti contro il governo polacco, accusato da anni di avere trasformato la Polonia in un paese semi-autoritario. Alla fine però ha prevalso la linea più prudente promossa dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. «I leader hanno concluso la discussione, che si è svolta serenamente, senza raggiungere alcuna conclusione», ha sintetizzato Bloomberg.
La riunione di giovedì ha confermato la difficoltà dell’Unione Europea di prendere provvedimenti contro gli stati membri che violano lo stato di diritto, fra i pochi e inefficienti strumenti giuridici a disposizione e la difficoltà di mettere d’accordo 27 stati diversi a trovare un unico approccio.
Le opzioni a disposizione dell’Unione Europea sono sostanzialmente tre, e sono state elencate dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sia giovedì sera al Consiglio sia martedì mattina in un dibattito al Parlamento Europeo.
L’Unione Europea potrebbe aprire l’ennesima procedura di infrazione contro la Polonia, anche se finora le precedenti non hanno avuto alcuna conseguenza o quasi. Oppure attivare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione Europea, la cosiddetta “opzione nucleare”, un complesso procedimento per revocare alla Polonia il diritto di voto in sede europea – opzione considerata impraticabile perché servirebbe l’unanimità degli altri stati membri. O ancora attivare il nuovo meccanismo che leghi la distribuzione dei fondi del bilancio pluriennale europeo al rispetto dello stato di diritto.
Quest’ultima era considerata l’opzione più dura, ma anche quella più efficace nel breve termine; la Polonia, come molti altri paesi dell’Europa orientale, ha un’economia piuttosto arretrata che dipende in buona parte dai fondi europei.
Nei giorni scorsi il primo ministro olandese Mark Rutte aveva lasciato intendere che avrebbe chiesto al Consiglio di attivare il nuovo meccanismo sul rispetto dello stato di diritto. Rutte inoltre aveva ribadito la necessità di continuare a bloccare i fondi del cosiddetto Recovery Fund a paesi a guida autoritaria come Polonia e Ungheria, cosa che la Commissione sta facendo ormai da diverse settimane, «fino a quando la questione di quale diritto ha la priorità non sarà risolta».
Rutte ha ribadito la sua posizione anche durante la riunione, a cui hanno preso la parola quasi tutti i leader presenti. Alcuni paesi si sono detti d’accordo con Rutte, come Irlanda e Belgio. Soltanto due leader hanno difeso la Polonia: il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha parlato di una «caccia alle streghe» contro il governo polacco, e quello sloveno Janez Janša, entrambi di estrema destra.
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Il primo ministro Morawiecki ha difeso il proprio governo usando gli stessi argomenti di un dibattito tenuto martedì al Parlamento Europeo: in sostanza ha spiegato che si tratta di un grande equivoco e che in realtà la Corte Costituzionale polacca si è limitata a constatare che la Corte di Giustizia europea, cioè il principale tribunale dell’Unione, sta cercando di ampliare la propria sfera di competenza. Il Financial Times ha notato che secondo alcune fonti interne al Consiglio, Morawiecki «ha parlato con un tono molto più conciliante rispetto al suo combattivo discorso al Parlamento Europeo di martedì».
La maggior parte dei paesi ha condiviso la linea di Merkel, il cui obiettivo sostanzialmente era quello di non arrivare a una conclusione divisiva. «Non si tratta di una questione che riguarda soltanto la Polonia, ma anche diversi altri stati membri», aveva avvertito Merkel appena prima della riunione.
In estrema sintesi Merkel sostiene che su temi come lo stato di diritto sia meglio trovare compromessi politici con i paesi semi-autoritari, anche se temporanei e traballanti, piuttosto che alimentare divisioni e rischiare che i paesi in questione si allontanino sempre più dall’Unione. Cosa che avrebbe conseguenze sia politiche – i paesi dell’Est sono da sempre compresi nella sfera di influenza della Russia – sia economiche, dato che rappresentano un mercato guardato con interesse dai principali paesi dell’Europa occidentale.
Giovedì sera diversi altri leader tradizionalmente più intransigenti sul rispetto dello stato di diritto hanno appoggiato la linea di Merkel, probabilmente per non dover affrontare un problema strutturale dell’Unione Europea durante una pandemia e un periodo di instabilità del mercato europeo dell’energia (l’altro grosso tema affrontato durante il Consiglio).
Il Foglio scrive che Merkel è stata appoggiata sia dal presidente francese Emmanuel Macron sia dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, oltre che dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Il Financial Times nota che anche il primo ministro socialista spagnolo, Pedro Sánchez, ha sostenuto una linea prudente.
Nonostante l’idea della Commissione fosse quella di trovare una soluzione nel breve termine, delle prime due opzioni elencate da Von der Leyen non si è sostanzialmente parlato, mentre Politico nota che riguardo al meccanismo che lega i fondi del bilancio pluriennale allo stato di diritto «sta emergendo un approccio comune secondo cui il meccanismo non dovrà essere attivato prima che la Corte di Giustizia europea si esprima sulla sua legittimità».
Per diversi analisti però ci potrebbero volere mesi per arrivare a una sentenza, forse addirittura un anno. Nel frattempo è improbabile che il Consiglio prenda decisioni più nette, a meno di ulteriori sviluppi.