Cosa c’è dietro l’aumento dei contagi nel Regno Unito
Limitazioni più blande o rimosse troppo presto sembrano essere le cause principali, per ora non c'è un'emergenza negli ospedali
Negli ultimi due mesi i nuovi casi giornalieri positivi al coronavirus rilevati nel Regno Unito per milione di abitanti sono stati decine di volte quelli registrati in altri paesi europei, come Italia, Francia, Germania e Spagna. Da inizio ottobre le cose sono ulteriormente peggiorate, con un tasso di decessi nel Regno Unito fino a tre volte superiore rispetto a quello degli altri paesi e un notevole aumento dei ricoveri per COVID-19. La situazione è vista con preoccupazione, soprattutto per quanto riguarda l’Inghilterra, anche se al momento il sistema sanitario non è in una fase di emergenza comparabile a quella di inizio pandemia nel 2020.
Le notizie sul peggioramento dell’epidemia nel Regno Unito sono state ampiamente riprese dai giornali in Italia, talvolta con titolazioni molto forti e qualche conclusione affrettata soprattutto per quanto riguarda la pressione sugli ospedali. Benché ci siano stati singoli casi di inefficienze, nel complesso l’assistenza sanitaria sembra essere meno in affanno rispetto ad altri periodi della pandemia, soprattutto grazie ai vaccini che riducono i rischi di sviluppare sintomi gravi legati alla COVID-19.
Stabilire con certezza quali siano state le cause dell’aumento di casi positivi, ricoveri e decessi non è semplice, considerato l’alto numero di variabili e le diverse politiche seguite in Scozia, Galles e Inghilterra. Soprattutto l’Inghilterra è interessata da un sensibile peggioramento dei dati, che si è registrato dopo l’allentamento di varie limitazioni.
In buona parte delle circostanze in Inghilterra non è più obbligatorio indossare la mascherina, a differenza dell’Italia e di diversi altri paesi europei, dove l’obbligo è stato mantenuto per lo meno all’interno dei locali o dove non sia possibile garantire il distanziamento fisico. Il governo britannico non ha inoltre adottato l’obbligo di mostrare certificazioni vaccinali (come il Green Pass) per accedere ai locali al chiuso o per lavorare.
Nella settimana terminata il 9 ottobre, per la quale ci sono i dati consolidati più recenti, in Inghilterra la quantità di positivi rilevata è stata di 890mila, pari a circa un infetto ogni 60 individui; in Italia nello stesso periodo sono stati meno di 19mila. In tutto il Regno Unito i casi rilevati sono stati più di un milione, il livello più alto dalla fine di gennaio, quando era in corso un’altra ondata della pandemia.
Esperti e osservatori hanno criticato il governo britannico per la prematura rimozione di alcune limitazioni e per i ritardi nella vaccinazione dei più giovani.
Una delle percentuali più alte dei casi positivi nell’ultima settimana di riferimento ha interessato bambini e adolescenti. Nella fascia di età 12-19 anni in Inghilterra i vaccinati sono circa il 30 per cento, contro il 67 per cento in Italia. A differenza dell’Inghilterra, in diversi paesi europei, compreso il nostro, è stato inoltre mantenuto l’obbligo di mascherina per gli studenti a scuola, che insieme ad altre buone pratiche (distanziamento, aerare i locali) può contribuire a ridurre il rischio di nuovi contagi.
Da metà luglio in Inghilterra non è inoltre più richiesto l’uso della mascherina nei locali notturni. Altri paesi sono stati molto più cauti: in Italia sono state previste limitazioni all’accesso per i soli possessori di Green Pass, oltre ad altre precauzioni.
In generale, i ripetuti annunci del governo di Boris Johnson sul superamento della pandemia e sulla possibilità di tornare a una vita normale sembrano avere influito sui comportamenti, specialmente per quanto riguarda la percezione dei rischi.
Secondo un recente sondaggio realizzato da YouGov, nel Regno Unito il 15 per cento delle persone adulte dice di non indossare mai la mascherina in pubblico, contro il 2 per cento in Spagna e Italia, e il 4 per cento in Francia. I cittadini britannici dicono inoltre di non prendere molte precauzioni quando salgono sui mezzi pubblici, partecipano a eventi con molte persone o si trovano in situazioni in cui è difficile mantenere il distanziamento fisico.
Il governo britannico è stato inoltre accusato di avere fatto troppo affidamento sul vaccino, sottovalutando il fatto che il suo impiego consenta sì di ridurre i rischi di avere forme gravi di COVID-19, ma non permetta di escludere completamente il rischio di nuovi contagi, specialmente in presenza della più contagiosa variante delta e delle sue recenti mutazioni.
Nel Regno Unito i completamente vaccinati sono il 66,5 per cento della popolazione, contro il 74 per cento dell’Italia e il 78 per cento della Spagna. Mentre buona parte dei paesi europei ha utilizzato soprattutto i vaccini a mRNA (Pfizer/BioNTech e Moderna), il Regno Unito ha fatto maggiore affidamento sul vaccino di AstraZeneca, che si è rivelato meno efficace nel contrastare la variante delta.
Per questo motivo virologi ed epidemiologi insistono sulla necessità di procedere velocemente con la somministrazione di una terza dose del vaccino, per ridurre la scomparsa della memoria immunitaria. Il Regno Unito era stato inoltre uno dei primi paesi ad avviare la campagna vaccinale, quindi per molti è passato più tempo dall’immunizzazione rispetto agli abitanti di altri paesi europei.
Una rapida somministrazione di una dose aggiuntiva potrebbe rendere meno necessaria l’adozione di nuove limitazioni nel Regno Unito, e in particolare in Inghilterra dove il 41 per cento dei completamente vaccinati da più di sei mesi ha già ricevuto la terza dose. Il dato è più o meno in linea con il 45 per cento della Francia, mentre è più alto del 23 per cento della Germania e del 12 per cento circa di Spagna e Italia. In questi paesi è però stato impiegato soprattutto il vaccino di Pfizer/BioNTech, che ha mostrato di far mantenere più a lungo la memoria immunitaria.
In Italia il ministero della Salute ha di recente consigliato la somministrazione di un’ulteriore dose per tutte le persone con più di 60 anni vaccinate almeno sei mesi fa.
La maggiore circolazione del coronavirus nel periodo autunnale nel Regno Unito potrebbe comunque contribuire a far accrescere i livelli di immunizzazione, soprattutto tra i più giovani con minori rischi di soffrire di forme gravi di COVID-19. È però una eventualità che era già stata sollevata nei mesi scorsi in concomitanza con altre ondate, ma che comporta non pochi rischi sia per i singoli individui sia per la tenuta dei sistemi sanitari. L’immunità ottenuta tramite il vaccino non solo è meno rischiosa, perché consente di essere protetti senza subire un’infezione da coronavirus vera e propria, ma consente anche di tenere meglio sotto controllo la diffusione dei contagi.