All’università di Ferrara la DAD non è mai finita
Le lezioni sono registrate e gli incontri con i docenti rari: finora le proteste delle associazioni studentesche non sono state ascoltate
In quasi tutte le università italiane sono riprese le lezioni in presenza dopo un anno e mezzo di didattica a distanza a causa dell’emergenza coronavirus, ma non a Ferrara, dove l’università ha deciso di confermare la DAD in molte facoltà fino alla fine del primo semestre.
Le videolezioni registrate e i limitati incontri di gruppo con i docenti, chiamati “focus group”, sono state iniziative molto criticate dagli studenti, che nelle ultime settimane hanno chiesto più volte l’introduzione della didattica “mista”, in presenza e lasciando la possibilità di seguire i corsi anche da casa. La notevole prudenza di Unife, il nome con cui è conosciuta l’università di Ferrara, è considerata un’anomalia, soprattutto in seguito all’obbligo del Green Pass per gli universitari introdotto dal governo che ha permesso di riprendere ovunque le lezioni in sicurezza.
Con il decreto legge approvato il 6 agosto, il governo aveva stabilito che la ripresa delle lezioni sarebbe stata «prioritariamente in presenza» grazie a nuovi piani di organizzazione della didattica e all’obbligo del Green Pass anche per studenti e studentesse, oltre che per il personale scolastico. Non era stata una decisione inaspettata: già alla fine dello scorso anno accademico moltissime università avevano deciso di riorganizzarsi in vista della ripresa delle lezioni in presenza, senza aspettare il decreto del governo.
«La didattica a distanza è stata un grande salvagente in un mare in tempesta», ha detto Ferruccio Resta, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane. «Però fare università vuol dire essere in presenza, vuol dire confronto, relazione e anche scontro, in qualche maniera». Al momento solo poche università hanno corsi solo online. Le ultime restano la Sapienza a Roma, ma solo per alcuni corsi, e appunto Ferrara.
Unife ha scelto una modalità inusuale rispetto all’orientamento degli altri atenei: nelle facoltà di Medicina, Biotecnologie, Professioni sanitarie, Lettere, nella triennale di Economia, Scienze motorie e Farmacia le lezioni sono online, ma videoregistrate dai professori senza la possibilità di intervenire in diretta.
Per dubbi o chiarimenti vengono organizzati incontri tra professori e studenti a cadenza quasi settimanale: sono stati chiamati “focus group”.
Secondo il rettore Giorgio Zauli, l’organizzazione di questi incontri è sufficiente per definire la didattica “mista”, mentre secondo molte associazioni di universitari non è una definizione appropriata perché questa impostazione ha diversi limiti. Alcuni problemi causati dalla videoregistrazione sono concreti: molte delle lezioni sono state registrate nei mesi scorsi e per questo non sono aggiornate. Di recente, per esempio, gli studenti hanno assistito a una videolezione registrata nel 2020 in cui una professoressa spiegava come fosse complicato fermare la diffusione del coronavirus perché non esisteva un vaccino.
In una lettera inviata al rettore, le studentesse e gli studenti di Medicina e Chirurgia hanno spiegato che a causa di questa organizzazione si sono ridotte le possibilità di confronto, dialogo e interazione con i professori e i compagni, ritenute «imprescindibili per la formazione sociale, professionale e prima di ogni altra cosa umana». Hanno lamentato anche la mancanza di una revisione degli esami come momento di apprendimento degli errori e la scarsa efficacia dei “focus group”, che spesso non seguono il programma delle lezioni e per questo risultano «dispersivi».
La richiesta è molto semplice e ricalca le modalità previste nelle altre università: l’attivazione di una vera didattica mista, con la possibilità di seguire le lezioni in presenza e allo stesso tempo in live streaming, mantenendole comunque in archivio, così da poterle consultare in qualsiasi momento. Nella lettera di studentesse e studenti si suggerisce anche di utilizzare un’app per la prenotazione delle lezioni in presenza, oppure la divisione in gruppi per evitare assembramenti.
Una «vera didattica mista» è anche la principale richiesta di una petizione promossa dall’associazione studentesca Link e che ha raccolto oltre 1.200 adesioni.
«Chiediamo di tornare a vivere gli spazi e ridare un senso vero all’università», dice Virginia Mancarella, coordinatrice dell’associazione Link, che il 29 settembre era stata tra le promotrici di una manifestazione per chiedere il ritorno delle lezioni in presenza. «Fuori dagli schermi», «Studiamo Medicina on line, vi cureremo in smart working» e «Se non torniamo in classe, perché pagare le tasse?» si leggeva sui cartelli sorretti dagli studenti durante la protesta.
Il rettore Giorgio Zauli, che tra poche settimane lascerà il posto alla nuova rettrice Laura Ramaciotti, sostiene che le critiche siano ingiuste e strumentali perché considera innovativo il metodo adottato dalla sua università.
Zauli rivendica l’autonomia decisionale dell’ateneo in merito alla scelta del modello organizzativo e ricorda che lo stato di emergenza non è finito, nonostante le riaperture. «La modalità mista che abbiamo adottato per l’erogazione dell’attività didattica è l’unica strada percorribile», ha detto in un’intervista al Resto del Carlino. «I laboratori e i tirocini vengono svolti completamente in presenza» e le lezioni videoregistrate sono «un’opportunità per i ragazzi proprio perché sono fruibili in momenti diversi. Non solo: per i docenti si tratta di un aggravio di lavoro notevole».
La prorettrice della facoltà di Medicina e delegata alla didattica, Tiziana Bellini, ha detto che entro gennaio è previsto un graduale ritorno in presenza fino al 100 per cento sempre con l’utilizzo delle videoregistrazioni, considerate parte di un metodo innovativo seguito anche all’estero e di grande utilità per gli studenti, perché consente di non perdere nessuna lezione ovunque ci si trovi.
Bellini ha aggiunto che si può parlare di effettiva didattica mista, nonostante i dubbi degli studenti, perché tutta l’attività pratica – come i laboratori – viene fatta in presenza. In merito alle videolezioni, il compito di aggiornarle è affidato ai docenti. «È chiaro che come quando si va in presenza uno può fare la stessa lezione che faceva gli anni precedenti se l’argomento è lo stesso», ha detto Bellini.
Una delle iniziative più criticate dagli studenti è stata la promozione di un sondaggio interno, organizzato dalla facoltà di Medicina, per chiedere quale fosse la modalità migliore tra il modello attuale, con le videoregistrazioni, e un modello alternativo che prevede le lezioni in presenza «senza la necessità di prenotazione, di streaming e di videoregistrazioni» e con l’obbligo del 75 per cento della frequenza. Insomma, o tutto online o niente. «Un sintomo gravissimo di un totale inascolto da parte dell’ateneo», ha detto Mancarella, coordinatrice dell’associazione Link.
Al di là delle conseguenze dovute all’epidemia, all’università di Ferrara i problemi legati alla gestione degli spazi c’erano già prima dell’arrivo del coronavirus e sono aumentati con la significativa crescita del numero di iscritti, passati da 16mila a oltre 25mila in pochi anni.
A differenza di molte altre città, dove una politica aggressiva di espansione è solitamente preceduta da investimenti sugli spazi per le lezioni e le residenze universitarie, a Ferrara è avvenuto il contrario. I posti a sedere sono 16.057, gli iscritti oltre 25mila (i dati delle ultime immatricolazioni non sono stati ancora diffusi): lo squilibrio è piuttosto evidente e potrebbe avere conseguenze anche nei prossimi anni, se non si interverrà.
Durante un incontro pubblico a cui ha partecipato anche il sindaco di Ferrara Alan Fabbri, la futura rettrice Laura Ramaciotti ha messo l’aumento degli spazi in cima alle priorità. Nell’elenco ha citato «il consolidamento dell’apparato infrastrutturale, l’aumento degli spazi come sale studio e alloggi, il rinnovamento dei laboratori, l’irrobustimento dal punto di vista didattico di alcuni corsi di laurea, nuove iniziative di dialogo e confronto anche con il mondo delle imprese» e l’ipotesi di aprire «nuovi corsi di laurea, interpretando i cambiamenti culturali, sociali, economici».