Perché la Cina ce l’ha con la Lituania
Al piccolo paese europeo piace provocare la superpotenza mondiale, con qualche risultato
Il 20 luglio di quest’estate il ministro degli Esteri di Taiwan scriveva su Twitter: «Taiwan e la Lituania sono alleati affini, legati da un’incrollabile fede nel potere della libertà e della democrazia». Il governo lituano aveva appena deciso di aprire un “Ufficio di rappresentanza di Taiwan” (cioè un’ambasciata informale) nel proprio paese. Il ministro degli Esteri cinese accusò allora la Lituania di aver superato «una linea rossa» e avviò una serie di ritorsioni politiche e commerciali contro il piccolo paese che hanno generato, in questi mesi, uno dei più notevoli casi diplomatici tra Europa e Cina.
La Cina si era arrabbiata perché, normalmente, la maggior parte dei paesi del mondo concede l’apertura sul proprio territorio di un “Ufficio di rappresentanza di Taipei”: un espediente per evitare di fare riferimento diretto a Taiwan, su cui la Cina rivendica la propria sovranità. La Lituania, invece, ha citato direttamente Taiwan, trattandola in pratica come uno stato indipendente, sebbene l’isola non sia riconosciuta diplomaticamente dalla maggior parte dei paesi del mondo. Per la Cina, questa è una provocazione inaccettabile.
Non è stata l’unica. A maggio, la Lituania si è ritirata dal gruppo “17+1” (dal numero di paesi che ne fanno parte, più la Cina), un progetto di cooperazione per affari e investimenti tra la Cina e alcuni paesi dell’Europa centro-orientale, promosso dal ministero degli Esteri cinese e considerato come uno degli elementi fondanti dell’influenza cinese in Europa. Rimanere in quel gruppo, disse allora il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis, avrebbe significato indebolire l’Unione Europea.
Più di recente, si è parlato ancora dei dissidi tra Cina e Lituania quando il governo lituano ha consigliato ai propri cittadini di non acquistare o di smettere di utilizzare alcuni modelli di smartphone prodotti e venduti da aziende cinesi, dopo avere rilevato problemi per la tutela della privacy e sistemi di censura.
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Il Global Times, tabloid di proprietà del Partito comunista cinese che esprime posizioni nazionaliste, ha definito la Lituania «l’avanguardia anti-Cina dell’Europa».
Davanti a quelle che considera come gravi provocazioni, la Cina ha risposto con grande durezza: per la prima volta in un paese europeo, ha richiamato il suo ambasciatore dalla Lituania, ha chiesto all’ambasciatore lituano di lasciare Pechino, e ha sospeso i treni e le esportazioni di alcune merci dalla Lituania alla Cina, attuando al tempo stesso diverse altre forme di ritorsione economica e commerciale.
La reazione cinese potrebbe sembrare spropositata, dato che la Lituania è territorialmente ed economicamente minuscola rispetto alla Cina. In Lituania vivono meno di 3 milioni di persone, in Cina quasi un miliardo e mezzo, e l’economia lituana è 270 volte più piccola di quella cinese. Parlando di questo litigio, il New York Times ha definito la Lituania il «pesciolino baltico» che ha fatto arrabbiare la superpotenza mondiale cinese.
Eppure, pur essendo così piccola, la Lituania può rappresentare un problema per la Cina, se si rifiuta di riconoscerla e trattarla come una superpotenza globale.
Prima di tutto, la Lituania è un importante corridoio per il transito di merci dalla Cina all’Europa, soprattutto via treno: nel 2017 il governo lituano firmò perfino un memorandum d’intesa con la Cina per aderire all’iniziativa “Belt and Road” (BRI), spesso chiamata “nuova via della seta”, cioè l’enorme programma di investimenti cinesi per la costruzione di infrastrutture commerciali, fondamentale per l’espansione dell’influenza della Cina nel mondo. Da allora però le cose sono cambiate, come abbiamo visto.
In secondo luogo, la Cina teme che la decisione della Lituania di adottare una politica estera «basata sui valori» e sul sostegno ai princìpi democratici, come ha detto il ministro Landsbergis di recente, possa spingere altri paesi a fare lo stesso. Per questo, la reazione della Cina va letta anche su un piano più simbolico e dimostrativo. Il litigio con la Lituania serve alla Cina per far vedere agli altri paesi dell’Unione Europea che non trattare la Cina come una superpotenza ha conseguenze economiche e diplomatiche dirette. Commentando il caso un diplomatico europeo che vive in Cina ha detto a Politico: «È come il detto cinese “ammazza il pollo per spaventare la scimmia”: Pechino sta dicendo a tutti che chiunque osi sfidare la Cina affronterà pesanti conseguenze».
Al momento, però, la Lituania non sta prendendo troppo sul serio le ritorsioni e le minacce, soprattutto perché i suoi legami con la Cina sono sufficientemente laschi da non correre il rischio di gravi ripercussioni economiche.
Gli Stati Uniti hanno immediatamente mostrato il proprio sostegno nei confronti della Lituania: Landsbergis ha incontrato il segretario di Stato Anthony Blinken di recente; al contrario i paesi europei – che hanno importanti interessi economici da difendere in Cina – si sono mantenuti più neutri, senza assumere apertamente e in modo condiviso una posizione.
Per la Lituania, le ragioni per contrastare l’influenza cinese sono diverse, in parte ideologiche e in parte di convenienza. Anzitutto, l’inimicizia tra i due paesi è legata anche alla storia della Lituania, la prima repubblica sovietica a dichiarare la propria indipendenza da Mosca, nel 1990, e la cui identità si basa anche su una radicata antipatia per l’autoritarismo comunista. In secondo luogo, a un paese piccolo come la Lituania può convenire, secondo alcuni analisti, avvicinarsi a un paese politicamente isolato ma economicamente rilevante come Taiwan.
Secondo un’analisi di Politico, la Lituania può permettersi di provocare la Cina proprio in virtù delle sue piccole dimensioni. Paesi più importanti nell’Unione Europea, come la Francia e la Germania, hanno rilevanti connessioni economiche con la Cina e possono permettersi con meno facilità di assumere apertamente posizioni critiche nei confronti della Cina o di provocarla come ha fatto la Lituania con il riferimento a Taiwan. Altri paesi europei, come la Grecia o l’Ungheria, sono dipendenti dalla Cina e potrebbero farlo ancora meno. Gli investimenti economici della Cina in Lituania sono ancora pochi, e la Lituania, scrive Politico, non ha quindi «niente da perdere».