Cosa fu la “strategia della tensione”
Contesto e significati dell'espressione novecentesca usata da Giorgia Meloni riguardo alle proteste contro il Green Pass di Roma
Mercoledì c’è stato un question time alla Camera dei Deputati con la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese per parlare delle manifestazioni a Roma di sabato scorso, e delle violenze animate dal gruppo neofascista Forza Nuova. Se quasi tutti i partiti hanno espresso sgomento e preoccupazione, proponendo lo scioglimento di Forza Nuova, Fratelli d’Italia ha contestato invece le mancanze della polizia e del ministero dell’Interno, accusato di non aver saputo gestire l’ordine pubblico in città. La leader del partito Giorgia Meloni ha insistito su questo punto, andando oltre e accusando la ministra e tutto il governo di aver consapevolmente permesso le violenze, richiamando il concetto novecentesco di “strategia della tensione”.
Meloni in pratica ha sostenuto, senza addurre però prove, che le violenze neofasciste siano state volute perché «funzionali alla sinistra»:
«E se fino a ieri potevamo pensare che il problema fosse una sua sostanziale incapacità, oggi la tesi che lei ci viene a raccontare in quest’aula è un’altra ed è molto più grave, e cioè che quello che è accaduto sabato è stato volutamente permesso. E questo ci riporta agli anni più bui della storia italiana, siamo tornati alla “strategia della tensione”».
Per “strategia della tensione” si intende un progetto di attentati terroristici che risale agli anni Sessanta e che precede e concorre all’avvio dei cosiddetti “anni di piombo” del Novecento italiano, in cui le violenze con impostazioni e scopi politici divennero quasi quotidiane, e tra queste periodicamente si compirono stragi indiscriminate attuate dai gruppi terroristi di estrema destra e omicidi e rapimenti mirati da parte di organizzazioni armate di sinistra.
In sostanza, il termine descrive un esteso ed eterogeneo insieme di iniziative e interventi attuati da vari settori dello stato con modalità nascoste e ambigue, per alimentare il clima di paura e incertezza dovuto alle stragi fasciste e in questo modo scongiurare una trasformazione del contesto politico in senso progressista, o addirittura sostituire l’assetto istituzionale esistente con uno più reazionario. In particolare, è un’espressione che può sottolineare la connivenza di quei settori dello stato con i terroristi – che a seconda dei casi e delle interpretazioni si concretizzò in complicità esecutive o in protezioni successive – i cui attentati erano secondo questa tesi funzionali al progetto di uno stato più autoritario.
L’espressione è quindi riferita al contesto italiano, ma fu usata per la prima volta dal settimanale inglese Observer il giorno dopo la strage di Piazza Fontana a Milano, nel dicembre del 1969 (compiuta da gruppi neofascisti con estese e confermate protezioni e depistaggi nei servizi di sicurezza e nelle autorità di polizia), ispirandosi ad altre due categorie usate all’epoca: la “strategia dell’attenzione” usata da Aldo Moro per dialogare con i comunisti in Italia e la “politica della distensione” (détente) tra Stati Uniti e Unione Sovietica, avviata all’inizio degli anni Settanta.
L’accezione che l’Observer dava alla strategia della tensione si riferiva a certi settori di stampa e politica che, secondo il settimanale, avevano come obiettivo per fini politici quello di alimentare la tensione che si stava creando intorno alla strage.
Col tempo, poi, “strategia della tensione” ha assunto un significato più complesso e sfumato. Come racconta lo storico Mirco Dondi nel libro L’eco del boato, l’espressione entrò nell’uso comune dopo l’uscita nel 1970 del libro La strage di Stato, una celebre inchiesta sulla strage di Piazza Fontana a Milano, e da lì poi si diffuse anche nel linguaggio giuridico, utilizzata dai magistrati che stavano indagando sulle stragi di quegli anni compiute dai gruppi terroristi di estrema destra.
Generalmente, viene utilizzata per descrivere l’obiettivo di queste stragi: creare un clima di terrore e tensione (e suggerire responsabilità provenienti dai movimenti di sinistra) tale da giustificare l’introduzione di leggi autoritarie, il consolidamento del potere del centrodestra e – come obiettivo estremo – un rovesciamento del sistema democratico in Italia. Per questo motivo, il periodo a cui si riconduce la strategia della tensione va dal 1969, anno della strage di Piazza Fontana, al 1980, anno della bomba alla stazione di Bologna. Ma è una periodizzazione convenzionale e su cui non c’è concordanza tra gli storici, anche perché la violenza politica di estrema destra e le relazioni con responsabili delle istituzioni erano cominciate prima di quel periodo, e continuarono anche dopo (Dondi per esempio lega la strategia della tensione a un periodo diverso, che va dal 1965 al 1974: l’Italia repubblicana esisteva da appena vent’anni, preceduta dal regime fascista).
Inoltre, il significato del termine non si riferisce tanto all’attività autonoma dei gruppi terroristi ma indica anche quella di alcuni settori “deviati” (ma le deviazioni furono frequenti) dello Stato che con i terroristi condividevano – parzialmente e non sempre consapevolmente – gli obiettivi, in particolare scongiurare uno spostamento a sinistra del sistema politico e dell’elettorato del paese, che in quegli anni stava vivendo durissimi conflitti sociali.
I decenni in questione furono il periodo più drammatico della storia dell’Italia repubblicana. Dopo gli anni Cinquanta caratterizzati dal “centrismo” politico, durante i quali la Democrazia Cristiana – partito cattolico di grande consenso che comprendeva molte “anime”, ma in cui prevaleva un orientamento conservatore – governò praticamente da sola, all’inizio degli anni Sessanta si cercò di avviare un dialogo con il Partito Socialista e si crearono le premesse per governi quindi detti di centrosinistra. L’iniziativa però preoccupò molto l’intelligence americana – erano gli anni della Guerra Fredda e del contenimento del comunismo a ogni costo: e in Italia c’era il partito comunista più forte dell’Europa occidentale – e le parti più conservatrici della società italiana, dalla politica agli industriali, alle forze dell’ordine e ai servizi segreti.
È in questo periodo che si verificarono alcuni progetti o minacce di colpi di Stato in Italia: nel 1964 ci fu il “Piano Solo”, i cui contorni non furono mai del tutto chiariti e che fu organizzato dal generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo; nel 1970 ci fu il golpe Borghese, fallito poco prima prima di iniziare e organizzato da Junio Valerio Borghese, ex membro della X Flottiglia MAS fascista ed ex presidente del Movimento Sociale Italiano, partito che aggregava gran parte dei sostenitori del disciolto regime fascista.
L’iniziativa di un governo di centrosinistra doveva risolvere due problemi: il sistema politico bloccato al centro a causa della cosiddetta conventio ad excludendum, cioè la scelta dell’esclusione del Partito Comunista dal governo, e la necessità di soddisfare le richieste di ampie fasce sociali che chiedevano rappresentanza e maggiori diritti, soprattutto gli operai e più in generale i lavoratori. Nel 1969 ci fu il cosiddetto “Autunno caldo”, un periodo di forti rivendicazioni sindacali da parte degli operai e dei lavoratori, con scioperi generali e nazionali frequenti e molto partecipati, che alla fine ottennero l’obiettivo dell’entrata in vigore di uno Statuto dei lavoratori.
Il movimento dei lavoratori si unì a quello studentesco nato con il movimento del Sessantotto (dall’anno in cui iniziarono le proteste giovanili e operaie, che ebbero in Italia maggiore forza nel ’69), creando una situazione sociale particolarmente instabile. Le proteste di studenti e lavoratori spesso ebbero tratti violenti e ancora più spesso furono represse con maggiore violenza. Da una parte le rivendicazioni di lavoratori, sindacati e movimenti di sinistra e dall’altra le resistenze di industriali, politici conservatori e movimenti di destra portarono a un clima polarizzato ed estremamente conflittuale. La strategia della tensione si formò in questo contesto.
Ma anche se la definizione di strategia della tensione appare riferirsi a un fenomeno coerente, descrive realtà articolate e piuttosto diverse tra loro, che si muovevano in autonomia e che avevano una strategia coordinata solo in aspetti momentanei o limitati. Tuttavia, le numerose indagini da parte della magistratura e della politica hanno individuato sia un ruolo di alcuni settori dello Stato sia una parziale coincidenza di interessi e obiettivi tra questi e i gruppi terroristi. All’inizio del suo libro, Dondi scrive:
Gli oltre trent’anni di inchieste giudiziarie e i lavori della Commissione parlamentare hanno dimostrato che non esiste una centrale unica del terrorismo eversivo o un unico partito del “golpe”. Gli apparati dello Stato, collusi con gli attentati, si sono mossi con disegni divergenti anche in competizione tra loro […]. In comune c’è la volontà di condizionare lo scenario politico e, per gli attori più estremi, di modificarlo radicalmente.
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