Ci sono centinaia di migliaia di assistenti familiari non vaccinati ed è un bel problema
Hanno l'obbligo del Green Pass, ma il loro lavoro non è come gli altri e tante famiglie non sanno come fare
Camila è una badante originaria dell’Ucraina, ha 45 anni e lavora in un comune vicino a Bergamo: assiste Maria, una donna di 90 anni non autosufficiente, con problemi motori dovuti all’età. Camila, come tante sue colleghe, non si è vaccinata. Non è “no vax”: non ha convinzioni antivacciniste come molte delle persone che hanno manifestato nelle piazze italiane negli ultimi giorni. Dice di avere una grande paura del vaccino dopo aver parlato con alcune sue connazionali e aver letto notizie sulle possibili conseguenze della vaccinazione nella chat condivisa con altri assistenti familiari originari dell’Ucraina.
Nel suo paese meno del 20 per cento delle persone è stato vaccinato: la diffidenza nei confronti del vaccino è piuttosto diffusa, anche perché il governo ucraino non ha organizzato campagne di comunicazione e sensibilizzazione, come è avvenuto in Europa e in molti altri paesi del mondo. Nella stessa situazione, con gli stessi dubbi e con il nuovo problema dell’obbligo del Green Pass per i lavoratori, ci sono migliaia di assistenti familiari, badanti e colf che non hanno aderito alla campagna vaccinale.
È difficile stimare quanti siano i non vaccinati perché in Italia non si sa quanti siano effettivamente gli assistenti familiari: alle liste dell’INPS sono iscritti 920mila tra badanti, colf e baby sitter, ma secondo le associazioni di categoria i regolari sono meno del 50 per cento del totale. Contando anche gli irregolari, senza un contratto, si stima che gli assistenti familiari siano circa 2 milioni in tutta Italia.
Secondo Andrea Zini, presidente di Assindatcolf, l’associazione nazionale dei datori di lavoro domestico, gli assistenti familiari non vaccinati sono tra il 20 e il 40 per cento del totale, quindi da 500mila a 800mila. Lui stesso ammette che le stime sono sommarie, anche se nelle ultime settimane sono state fatte alcune rilevazioni tra gli iscritti in molte regioni italiane. Stime simili sono state fatte da altre associazioni che rappresentano le famiglie, alle prese con notevoli difficoltà nell’interpretazione delle regole: nonostante l’obbligo sia entrato in vigore oggi, mancano ancora moltissime informazioni su come gestire i controlli e le conseguenze del mancato rispetto delle regole.
I risultati delle indagini, pur parziali, e le testimonianze raccolte nelle ultime settimane, dicono che l’alta percentuale di non vaccinati tra gli assistenti familiari si spiega con l’origine della maggior parte di questi professionisti.
Molti di loro provengono infatti da paesi dell’Est Europa, dove a essere scettici e timorosi nei confronti del vaccino non è solo la popolazione, ma anche i governi. «Purtroppo nella grande comunità di badanti e colf provenienti dall’Est Europa c’è più paura del vaccino che del coronavirus», spiega Filippo Breccia, vicepresidente di Nuova Collaborazione, un’associazione che riunisce i datori di lavoro. Molte persone sottovalutano che si tratta di lavoratori stranieri, spesso con problemi di lingua e con poca consapevolezza e conoscenza di come sia strutturato il sistema sanitario italiano, di quali documenti servano per essere vaccinati, dei rischi minimi che si corrono.
«Insomma, è tutto più complesso», dice Breccia. «Ma dobbiamo anche ricordare e sottolineare che la maggior parte di badanti, colf e assistenti familiari si è vaccinata».
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Tra i rappresentanti delle associazioni sentiti dal Post è opinione condivisa che il governo italiano, come era successo in passato, abbia pensato l’obbligo del Green Pass per le aziende trascurandone o sottovalutandone l’impatto in molti altri settori. Soprattutto i controlli sono pensati per chi ha un tipico rapporto di lavoro tra imprenditore e dipendente o dirigente dell’amministrazione pubblica e impiegato. Nel lavoro domestico, invece, le aziende sono le famiglie. Il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è molto più stretto: molte e molti badanti diventano parte della famiglia.
Il sistema dei controlli studiato dal governo, inoltre, non tiene conto delle caratteristiche di un settore in cui il datore di lavoro è spesso una persona anziana che ha bisogno di assistenza costante. Molti anziani non hanno familiarità con l’utilizzo dello smartphone, indispensabile per controllare ogni giorno il Green Pass nei casi in cui il lavoratore non sia vaccinato e quindi occorra verificare la validità dell’ultimo test negativo.
«Noi confidiamo che ci sia un’apertura verso il controllo visivo del Green Pass cartaceo, senza rischiare sanzioni», spiega Zini. «Molto pragmaticamente, noi abbiamo detto ai nostri associati di rispettare le istruzioni, quindi di controllare il Green Pass con l’app, se possibile, altrimenti di controllare il cartaceo. Se c’è un rapporto di fiducia reciproca, che è una delle basi di questo lavoro, non vedo grandi problemi. È molto probabile che le famiglie conoscano già la situazione vaccinale dei loro assistenti prima del 15 ottobre».
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Uno dei casi che non è stato considerato dal governo è la possibilità che il lavoratore straniero sia stato vaccinato con un vaccino non autorizzato dall’Unione Europea. Molti assistenti familiari provenienti dall’Est Europa, per esempio, hanno ricevuto il vaccino sviluppato da Sputnik V. Nonostante siano vaccinati, non possono ricevere il Green Pass. Associazioni e sindacati hanno chiesto una soluzione al governo, non ancora arrivata. La scorsa settimana il direttore della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha detto che sono in fase di studio due ipotesi: la prima è effettuare una dose addizionale con un vaccino a mRNA a tutte le persone vaccinate con vaccini non riconosciuti dall’EMA, l’altra è riconoscere questi vaccini come validi per il Green Pass.
Anche sulle conseguenze del mancato rispetto dell’obbligo non ci sono certezze. In una normale azienda il lavoratore rimane a casa senza stipendio, contributi e ferie. In molti casi, però, i lavoratori domestici abitano nella stessa casa delle persone che assistono. Hanno spostato lì la residenza e i loro effetti personali e vestiti, ed è evidente come in questi casi la gestione del rapporto segua dinamiche diverse e più personali di quello tradizionale in azienda. Anche volendo licenziare un collaboratore non vaccinato, insomma, farlo può essere complicato per motivi personali e logistici.
Ma a differenza degli altri settori, dove non è previsto il licenziamento se il lavoratore non ha il Green Pass, badanti e assistenti familiari possono essere licenziati in qualsiasi momento e senza un motivo particolare. Allo stesso tempo, il decreto sul Green Pass nei luoghi di lavori esclude la possibilità di licenziamento per chi non ce l’ha. C’è insomma un paradosso, per cui chi volesse licenziare un collaboratore perché non ha il Green Pass dovrebbe farlo senza indicarlo esplicitamente come motivo.
Licenziare è semplice ma trovare un altro lavoratore affidabile e in sintonia con la persona che assiste è molto complicato. «Non sempre c’è l’empatia, che è essenziale», dice Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, l’associazione nazionale delle famiglie dei datori di lavoro domestico. «Molti hanno una badante da quattro o cinque anni, magari assunta dopo molti tentativi andati male. Se c’è questo rapporto e l’assistente non si vuole vaccinare, è un bel problema».
Negli ultimi giorni ai centralini delle associazioni sono arrivate migliaia di telefonate di famiglie che hanno chiesto informazioni in vista dell’entrata in vigore dell’obbligo. Le modalità dei controlli e l’eventuale gestione dei licenziamenti sono i dubbi più diffusi. «Abbiamo chiesto al governo di attivare un numero verde per rispondere alle tantissime richieste», continua Gasparrini. «Noi non possiamo far altro che dare le informazioni che abbiamo e tranquillizzare le famiglie. Per il resto c’è solo grande confusione».