Comincia il processo per l’omicidio di Giulio Regeni
Dopo anni di indagini e vari depistaggi: i quattro imputati dei servizi di sicurezza egiziani non saranno in aula
Oggi, giovedì 14 ottobre, comincerà a Roma il processo contro i quattro membri dei servizi di sicurezza egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni, il ricercatore italiano dell’università di Cambridge scomparso il 25 gennaio del 2016 al Cairo, in Egitto, e trovato morto pochi giorni dopo. Mercoledì la presidenza del Consiglio dei ministri italiana ha fatto sapere che si costituirà parte civile nel processo, assieme alla famiglia di Regeni.
Il processo è importante sia dal punto di vista giuridico sia per i rapporti diplomatici tra Italia ed Egitto: a più di cinque anni e mezzo dai fatti, la Giustizia italiana cercherà di accertare le responsabilità delle autorità egiziane, che si sono rifiutate di collaborare con l’Italia nel processo e che secondo la procura di Roma sono state responsabili di una lunga sequenza di tentativi di depistaggio.
Le persone per cui la Procura di Roma aveva chiesto il rinvio a giudizio sono il generale Tareq, i colonnelli Helmy e Kamal e il maggiore Magdi Sharif, accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.
I quattro imputati non saranno presenti in aula a Roma e proprio la loro assenza (e la possibilità di processarli in contumacia) sarà la prima questione da valutare nell’udienza di giovedì. Le autorità egiziane, infatti, per evitare che i quattro fossero giudicati non hanno comunicato gli indirizzi degli imputati per la notifica degli atti, necessaria al proseguimento del processo. Questo potrebbe costituire un problema, che sarà affrontato nella prima udienza: secondo l’ordinamento italiano, infatti, non è possibile giudicare un imputato che non sia a conoscenza delle sue accuse.
Questo ostacolo era stato superato dal giudice per l’udienza preliminare, Pierluigi Balestrieri, secondo il quale la notorietà del caso potrebbe considerarsi già di per sé una notifica, perché «la copertura mediatica capillare e straordinaria fa assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio». Ma se il tribunale di Roma dovesse stabilire che devono essere fatti nuovi sforzi per raggiungere gli imputati, il processo sarà sospeso.
Saranno invece presenti nel corso delle varie fasi del procedimento tutti i presidenti del Consiglio italiani che sono stati a capo del governo in questi anni – Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi – assieme a tutti i ministri degli Esteri, i sottosegretari con delega ai Servizi segreti e i più alti funzionari di intelligence, che sono stati chiamati come testimoni dall’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini. L’avvocata ha chiesto la presenza in aula anche del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, del figlio Mahmoud, e del ministro dell’Interno all’epoca dei fatti, Magdy Abdel Ghaffar.
La Procura di Roma ha chiesto di interrogare tutti i testimoni che hanno raccontato di aver visto Regeni nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte: tra questi ci sono anche il leader del sindacato indipendente dei venditori di strada, Mohamed Abdallah, accusato di aver denunciato il ricercatore alle autorità, e alcune persone che hanno raccontato di averlo visto dopo la sua scomparsa, la cui identità è stata mantenuta segreta finora.
– Leggi anche: La scomparsa di Giulio Regeni, nel 2016
Regeni fu ucciso a 28 anni mentre stava lavorando alla sua tesi di dottorato al Cairo. In particolare, stava svolgendo una “ricerca partecipata” sui sindacati indipendenti dei venditori ambulanti, lavorando a stretto contatto con molti di loro. Quello dei sindacati indipendenti in Egitto è un tema molto delicato soprattutto per il governo, che ha tra i sindacati alcuni dei suoi più decisi oppositori politici.
Nell’ottobre del 2015 Regeni aveva parlato delle suo ricerche con Abdallah, che secondo un’informativa depositata tra gli atti dell’inchiesta di Roma decise di denunciare le attività del ricercatore alle autorità. Accompagnato dal colonnello Kamal, ufficiale della polizia investigativa, Abdallah incontrò nella sede del servizio segreto civile egiziano il colonnello Helmy e il maggiore Sharif. Secondo la Procura, nei mesi successivi i servizi di sicurezza iniziarono quindi a tenere sotto controllo Regeni, che la sera del 25 gennaio del 2016 scomparve nel tragitto da casa sua al posto in cui era stata organizzata una festa con amici. Il suo corpo, con i segni di innumerevoli torture, venne trovato nove giorni dopo, il 3 febbraio, abbandonato al lato di una strada.
Secondo la Procura di Roma le autorità egiziane avrebbero mentito e ostacolato la ricerca della verità sulla morte del ricercatore italiano già dal giorno del ritrovamento del suo corpo. Tra le altre cose, inizialmente la procura egiziana disse che Regeni era morto in un incidente stradale, e le autorità non permisero agli investigatori italiani di interrogare i testimoni, se non in presenza della polizia egiziana e per pochi minuti. Nel marzo del 2016, poi, il governo egiziano disse di aver trovato e ucciso i colpevoli del sequestro del ricercatore, sostenendo che fossero quattro membri di una banda criminale «specializzata nel fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi»: una ricostruzione che fu smentita dopo pochi giorni per varie incongruenze.
A settembre del 2017 le autorità egiziane ammisero che Regeni era stato indagato, ma solo nel gennaio 2016 e solo per tre giorni. A dicembre del 2020, dopo che la procura di Roma aveva chiuso le indagini sulla morte di Regeni, l’Egitto fece sapere che non avrebbe collaborato con l’Italia nel processo e che avrebbe processato per furto, e non per omicidio, una presunta banda di truffatori che aggrediva cittadini stranieri, fingendo di appartenere alla polizia egiziana con documenti contraffatti. La Procura di Roma giudicò questa ricostruzione «priva di ogni attendibilità».