Le notizie spiegate con i dati, spiegate bene
Dalla giornalista ed esperta di dati Donata Columbro, nel suo primo libro "Ti spiego il dato"
Chi ha raramente a che fare con i dati (o almeno è quello che crede) potrebbe pensare che per capirli meglio sia sufficiente un ripasso di matematica. Ovviamente la matematica è importante, ma non basta: dietro i numeri che leggiamo sui giornali, che sentiamo al telegiornale o che ci capitano sotto mano nella vita di tutti i giorni, ci sono contesti, punti di vista, distorsioni, errori e altri dati nascosti di cui bisogna imparare a tenere conto per comprendere davvero la realtà. Insomma, capire i dati è più complesso di quanto si pensi, ma può essere anche molto più affascinante.
Donata Columbro, giornalista e cofondatrice della scuola di Dataninja, ha scritto un libro che esce oggi e che spiega nel modo più comprensibile possibile (ci sono anche i disegni) come fare questa cosa nel modo giusto. S’intitola Ti spiego il dato, come l’hashtag che usa per le sue “lezioni di dati” su Instagram, e il 17 ottobre verrà presentato, tra gli altri, dal giornalista del Post Isaia Invernizzi al Salone del Libro di Torino. La casa editrice è Quinto Quarto, i disegni sono di Agnese Pagliarini e qui sotto pubblichiamo un estratto del secondo capitolo su come leggere i dati nelle notizie.
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Apri l’homepage di un quotidiano qualsiasi, di un giorno qualsiasi. Nei titoli e nei testi trovi frasi come «due su tre, una media di, sono centomila all’anno, il grafico ci dice». Ti scivolano addosso e a volte non riesci ad assorbirne il senso. I riferimenti ai dati sono ovunque, e durante la pandemia sono stati ancora più presenti nella nostra dose quotidiana di notizie. Accade lo stesso in occasione delle elezioni, ma sono onnipresenti anche nelle pagine economiche e nei servizi che parlano di occupazione e disoccupazione. Arrivano dati pure dalle associazioni dei consumatori, che ci raccontano quante colombe mangiamo a Pasqua o quanti turisti stranieri arriveranno in Italia nella prossima stagione estiva.
Nelle pagine che seguono impareremo a leggere le notizie che riportano dati, a dissezionarli, a non averne paura, e ci faremo aiutare dalle… tavolette di cioccolato. Prima però ricordiamo alcuni concetti.
I dati non bastano
Intanto, una cosa importante. Se tuo nipote, scoperto con le mani nel pacco dei biscotti, ti dice che ne ha mangiati solo 5, sottolineando quel numero preciso, non vuol dire che stia dicendo la verità. Lo stesso vale per le notizie: una notizia che contiene numeri non è per forza più veritiera di una che non ne contiene. Il dato porta con sé un’aura di chiarezza, di rigore, ma con i dati si può anche mentire o raccontare solo una parte della storia.
I dati non sono neutri
Ogni numero implica una scelta fatta a monte, quella di escluderne altri. Per esempio, io che amo molto Roma la racconterò dicendo che è la capitale più verde d’Europa, con i parchi e le riserve naturali che occupano il 67% del territorio comunale (85.000 ettari sui 129.000 totali, fonte: Sito Roma Capitale), ma eviterò di ricordare che è ultima in classifica per mobilità sostenibile e sicurezza stradale (fonte: Greenpeace).
Anche la costruzione di un dataset, ovvero un insieme di dati per analizzare una situazione o un fenomeno, si basa sulla storia e sulle esperienze di chi lo compila, sulle sue idee. I dati sono costrutti sociali, sono il prodotto di relazioni sociali influenzate da secoli di storia.
In più c’è un altro grosso problema: non solo chi ha costruito quell’insieme di dati può avere bias cognitivi (pregiudizi e interpretazioni del mondo distorte dalla propria esperienza), ma ce li ha chi li ha riportati nell’articolo di giornale e ce li hai anche tu che leggi.
La tua percezione dei dati
Siamo sempre condizionati dalle nostre reazioni emotive, dal nostro vissuto, da come ci hanno presentato alcune situazioni.
Come scrive Bobby Duffy, professore di Public Policy e direttore del Policy Institute presso il King’s College di Londra, nel libro I rischi della percezione, «le percezioni sbagliate sul mondo non dipendono solo da una conoscenza mediocre della statistica e delle probabilità, anzi. […] Prediligiamo le informazioni in grado di confermare le nostre credenze, ci concentriamo sulle informazioni negative e tendiamo ad affidarci agli stereotipi e a imitare la maggioranza».
Secondo uno studio condotto da Ipsos nel 2008 con più di 200.000 interviste in 40 paesi diversi, l’Italia è al primo posto per il Misperceptions Index, cioè è il paese in cui la percezione dei fatti è più lontana dalla realtà, seguito dagli Stati Uniti e dalla Francia. Crediamo che il 49% delle persone in età da lavoro sia disoccupata, quando invece è solo il 12%; che gli immigrati rappresentino il 30% della popolazione (è il 7%); che il 35% degli italiani soffrano di diabete, mentre la percentuale corretta è 5%.
Hans Rosling, medico e statistico svedese, chiamava queste credenze “istinti”, e ne aveva individuati dieci. Per raggiungere la serenità mentale suggeriva di curarli con il metodo della factfulness, ovvero usando i dati e interpretando i numeri in modo corretto. Rosling cercava di combattere soprattutto l’istinto della negatività, che alimenta una visione iperdrammatica del mondo: la lotta alla povertà estrema è fallita, la criminalità è in aumento, la maggior parte delle bambine non ha ancora accesso all’istruzione primaria, e così via. Rosling passò più di metà della sua vita a parlare con capi di Stato e responsabili di agenzie dell’Onu per aiutarli a riconoscere questi filtri interpretativi della realtà e ad affrontare i problemi mondiali guardando i dati.
Rosling era anche un instancabile divulgatore: durante le sue conferenze TED metteva in scena dei veri e propri data show, usando scatole di plastica e modellini per aiutare le persone a vedere i dati negli oggetti di uso comune. Nella TED sulla crescita della popolazione mondiale, che si trova facilmente online, usa una scatola di plastica blu per rappresentare un miliardo di persone che vivono nel mondo industrializzato e due scatole verdi che rappresentano due miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo. Nel 1960 la popolazione mondiale era infatti di circa tre miliardi di persone. Tra loro c’era un divario molto grande (nel video Rosling mette le scatole verdi e quella blu alle due estremità del tavolo, lontane tra loro): chi viveva nel mondo industrializzato poteva acquistare beni come un’automobile (che Rosling tira fuori dalla scatola blu), ma chi viveva nei paesi più poveri aspirava al massimo a comprare un paio di sandali (eccoli che escono dalle scatole verdi).
Non descriverò qui tutta la conferenza, ma sappiate che questa storia comincia nel 1960 e prosegue fino al 2050. Provate a immaginare quante scatole può aver tirato fuori il nostro Rosling da quelle esistenti, soprattutto da quelle verdi: è stata una lunga dimostrazione di come si è evoluta la popolazione globale e di come è distribuita nei vari Paesi.
Il medico svedese voleva in tutti i modi convincere il pubblico che i dati sono molto più semplici da interpretare di quello che pensiamo e che sono alla portata di tutti. Su questa idea ha costruito il sito Gapminder, ora portato avanti dai figli, un posto per informarsi e sperimentare con i dati attraverso grafici interattivi senza bisogno di nozioni statistiche (quelle si apprendono strada facendo).
Da Ti spiego il dato
© Donata Columbro – Quinto Quarto 2021
Illustrazioni di Agnese Pagliarini
Tutti i diritti riservati