C’è stato “l’effetto Green Pass”?
Il governo sperava di osservarlo dopo l'annuncio dell'obbligo di certificato per tutti i lavoratori, ma finora la crescita delle prime dosi è stata minima
Da quando il governo ha annunciato l’obbligo del Green Pass per tutti i lavoratori a partire dal 15 ottobre, il numero delle somministrazioni giornaliere del vaccino contro il coronavirus è cresciuto, ma di poco: “l’effetto Green Pass”, come è stato definito, si è visto solo nella terza settimana di settembre. Poi la curva delle prime dosi si è abbassata, e dall’inizio di ottobre è tornata ai livelli di febbraio 2021, la prima fase della campagna vaccinale.
Mancano pochi giorni all’inizio delle misure previste dal decreto. Dal 15 ottobre in Italia gran parte dei lavoratori – 23 milioni quelli coinvolti, secondo le stime citate dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta – dovranno o essere vaccinati o guariti dal COVID-19 entro sei mesi, o aver fatto da poco un tampone risultato negativo. Tutti i lavoratori sprovvisti di Green Pass saranno considerati assenti ingiustificati e non riceveranno lo stipendio per ogni giorno di assenza, ma non verranno sospesi. Ai dipendenti che entreranno in azienda senza il Green Pass, invece, verrà data una sanzione da 600 a 1.500 euro oltre a eventuali provvedimenti disciplinari, anche se sarà escluso il licenziamento.
Il governo aveva chiaramente spiegato che la misura, una delle più rigide al mondo, sarebbe servita ad aumentare ulteriormente la percentuale di popolazione vaccinata. L’obiettivo sembra essere stato raggiunto solo parzialmente: al momento 45,8 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose del vaccino, pari al 77,3 per cento della popolazione e all’84,8 per cento delle persone vaccinabili, con più di 12 anni. Oltre otto milioni di persone, di cui moltissime in età lavorativa, non sono state vaccinate.
A metà settembre, dopo l’annuncio dell’estensione dell’obbligo di Green Pass per i lavoratori, molte regioni avevano segnalato un aumento delle prenotazioni. Domenica 19 settembre il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus, Francesco Figliuolo, aveva detto che «a livello nazionale si è verificato un incremento generalizzato delle prenotazioni di prime dosi tra il 20 e il 40 per cento» rispetto alla settimana precedente, senza però dare dati precisi.
Monitorare l’andamento delle prenotazioni è il modo più immediato per verificare il cosiddetto “effetto Green Pass”, anche se i dati non sempre sono disponibili perché vengono diffusi solo saltuariamente dalle regioni e non dalla struttura commissariale. Gli aumenti delle prenotazioni erano stati comunicati da molte regioni, come la Lombardia e il Lazio, ma a un mese di distanza dagli annunci gli effetti sembrano essere stati poco significativi.
Nella terza settimana di settembre il numero delle prime dosi giornaliere è aumentato da 50mila a 70mila per arrivare a circa 80mila nella settimana tra il 20 e il 26. La crescita si è interrotta poco dopo: le vaccinazioni sono rimaste stabili per qualche giorno, per poi ritornare alle 50mila somministrazioni giornaliere, la scorsa settimana.
L’aumento delle vaccinazioni ha coinvolto soprattutto le persone in età lavorativa, tra 20 e 60 anni, le più interessate dall’obbligo del Green Pass. È questo, pur limitato, l’effetto che si può attribuire all’introduzione dell’obbligo.
Tra gli anziani, invece, le persone più a rischio di gravi conseguenze in caso di contagio, l’andamento è stato stabile nelle ultime settimane. Va detto che la situazione è molto diversa tra le diverse fasce d’età. Le persone con più di 80 anni sono state quasi tutte vaccinate: solo il 4,9 per cento non ha ricevuto nemmeno una dose. Mancano ancora molti giovani, invece: il 19,6 per cento delle persone tra 30 e 39 anni non è stato ancora vaccinato. La percentuale è leggermente inferiore, al 18,8 per cento, tra 40 e 49 anni, mentre scende al 14,6 per cento tra 20 e 29 anni.
Nonostante sia un’informazione molto importante in vista del 15 ottobre, è più complicato stimare quanti lavoratori non siano vaccinati.
Secondo un documento riservato del governo, pubblicato dal Foglio, fino al 10 ottobre sono stati rilasciati 12,4 milioni di Green Pass sul totale di 14,6 milioni di lavoratori del settore privato. Nella pubblica amministrazione i lavoratori non vaccinati sarebbero il 7,8 per cento: circa 250mila persone su 3,2 milioni. Secondo il documento, in totale i lavoratori non vaccinati sarebbero circa 2,5 milioni. Tra i disoccupati (2,3 milioni di persone) e gli inattivi, l’85 per cento avrebbe il Green Pass. I pensionati in possesso del certificato, di cui la maggior parte rientra nelle prime fasce d’età vaccinate, sarebbero l’88 per cento.
Se vorranno continuare a lavorare e ricevere lo stipendio, i lavoratori non vaccinati dovranno ottenere il Green Pass sottoponendosi a un tampone. Considerando le 48 ore di validità del certificato, il calcolo è semplice: serviranno circa 7,5 milioni di tamponi ogni settimana. Un numero molto alto, al momento non alla portata delle aziende sanitarie, dei medici di base e delle farmacie. Nelle ultime settimane, infatti, sono stati eseguiti circa 2 milioni di tamponi ogni settimana: triplicare la disponibilità non sarà semplice.
Silvestro Scotti, segretario generale della FIMMG, il principale sindacato dei medici di famiglia, ha detto che i medici dovrebbero evitare di fare tamponi a chi chiede il Green Pass e che l’attenzione dovrebbe essere riservata alle persone sintomatiche. «I medici di famiglia non hanno difficoltà a fare il tampone in ambulatorio, perché sono nel nostro contratto», ha spiegato nel suo intervento durante la trasmissione Agorà. «Ma è giusto farlo al paziente che ha sintomi, per capire se ha il COVID o l’influenza, o al paziente che è stato a contatto con un positivo».
Negli ultimi giorni si è discusso della possibilità di estendere la validità del Green Pass a 72 ore, invece che 48. Lo ha proposto anche il segretario della Lega, Matteo Salvini. L’ipotesi è stata sconsigliata dal comitato tecnico scientifico, perché estendere la validità del Green Pass porterebbe a controlli più laschi e a un aumento del rischio di diffusione del contagio.