Come si scioglie Forza Nuova
Cosa dicono Costituzione e codici, quali sono le proposte e le posizioni dei partiti
Dopo il tentativo di alcuni gruppi legati a Forza Nuova di sfondare il cordone della polizia a protezione del parlamento e di Palazzo Chigi, e dopo l’attacco portato a termine alla sede romana della CGIL, il segretario generale del sindacato Maurizio Landini ha chiesto lo scioglimento delle formazioni politiche «che si richiamano al fascismo».
Lunedì mattina il presidente del Consiglio Mario Draghi, in visita alla sede della CGIL, ha promesso che «discuterà» della richiesta di Landini e i partiti di centrosinistra hanno presentato o sostenuto delle mozioni che vanno in questa direzione. Ma qual è la procedura per sciogliere Forza Nuova o altri movimenti simili?
La Costituzione
Il primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione dice che «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», il partito fondato da Benito Mussolini il 9 novembre del 1921 e sciolto il 2 agosto 1943 dal governo Badoglio.
La ratio e il significato della norma costituzionale, secondo le principali interpretazioni, stanno sia nel ripudio del ventennio fascista sia nella volontà di stabilire un requisito per la partecipazione futura alla vita politica del paese. In altre parole, la norma da una parte rappresenta un simbolo rivolto al passato, dall’altra un’esplicitazione del paradigma antifascista della Costituzione stessa, rivolto al futuro.
La legge Scelba
La legge che ha dato attuazione alla XII disposizione della Costituzione è la numero 645 del 20 giugno 1952, la cosiddetta “Legge Scelba”. È composta da dieci articoli, il primo dei quali stabilisce come e quando si può parlare di “riorganizzazione” del partito fascista. Quando, cioè:
«(…) una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista»
L’articolo 3 della legge Scelba stabilisce due possibilità per lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste: tramite il ministro degli Interni a seguito di una sentenza di tribunale che accerti «la riorganizzazione del disciolto partito fascista»; oppure «nei casi straordinari di necessità e di urgenza» tramite un decreto del governo e senza alcuna sentenza.
La prima ipotesi è stata applicata negli anni Settanta, quando vennero sciolti Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale.
Ordine Nuovo, gruppo politico di estrema destra extraparlamentare nato nel dicembre 1969, venne sciolto nel 1973 per l’intervento dell’allora ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, dopo che trenta suoi dirigenti furono accusati e condannati per il reato di ricostituzione del disciolto partito fascista. Avanguardia Nazionale, organizzazione neofascista e golpista fondata nel 1960, venne disciolta formalmente nel 1976 dopo la condanna del tribunale di Roma di alcuni suoi dirigenti e membri.
Finora, la seconda ipotesi prevista dalla legge Scelba, in assenza di sentenza, non è mai stata utilizzata: la prerogativa della «necessità e urgenza» citata nel testo, dunque, non è mai stata attivata, ma diversi giuristi sostengono che tale contesto di «necessità e urgenza» coincida con quello di pericolo imminente.
Il governo, valutati i presupposti stabiliti della legge Scelba – ricostituzione del partito fascista, obiettivi antidemocratici, metodo violento, pericolo imminente – potrebbe dunque prendere una decisione direttamente e per decreto legge. Va comunque precisato, come ha fatto nel suo editoriale di oggi sul Manifesto Norma Rangeri, che lo scioglimento avrebbe una valenza simbolica significativa, ma con «scarsa efficacia risolutiva rispetto al problema concreto dell’esistenza di questi gruppi».
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Le mozioni
In questi giorni, i senatori e i deputati del Partito Democratico hanno presentato in parlamento una mozione che invita il governo a dare seguito allo scioglimento, senza indicare però quale strada seguire: se quella dell’immediato scioglimento per decreto o se quella di una sentenza. La mozione chiede di «dare seguito al dettato costituzionale in materia di divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista e alla conseguente normativa vigente adottando i provvedimenti di sua competenza per procedere allo scioglimento di Forza Nuova e di tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista». Una mozione simile è stata presentata da Italia Viva e PSI.
Al momento, tra le forze di maggioranza la richiesta è stata sostenuta sia dal Movimento 5 Stelle che da Liberi e Uguali, oltre che da alcuni singoli parlamentari.
Alcuni partiti di centrodestra hanno invece deciso di non appoggiare la mozione del PD: Forza Italia ha rilanciato proponendo una mozione unitaria di tutte le forze politiche presenti in parlamento «contro tutti i totalitarismi» e la Lega ha chiesto di approvare un documento per sciogliere tutte le realtà che portano avanti la violenza, compresa quella «dei centri sociali».
Nelle ultime ore, Fratelli d’Italia sembra invece aver cambiato la propria posizione iniziale: prima ha fatto sapere tramite il suo capogruppo alla Camera di non volersi far «coinvolgere da iniziative che servono solo a fomentare la polemica politica», dopodiché, parlando a Radio24, il deputato di FdI Fabio Rampelli, vicepresidente alla Camera, ha dichiarato che il suo partito sosterrà la mozione del PD: «Noi siamo favorevoli, anche se bisogna fare attenzione. Penso che la magistratura abbia, come prevede la legge, tutti gli strumenti per stabilire se una formazione debba essere sciolta o no».
La mossa di presentare delle mozioni è comunque più politica che tecnica. Per prendere una decisione, come stabilisce la seconda ipotesi della legge Scelba, il governo potrebbe agire in autonomia e senza alcun bisogno di un sostegno da parte del parlamento. L’eventuale decreto dovrebbe essere approvato in Consiglio dei ministri dove comunque sei ministri sono espressione di Lega e Forza Italia, che fanno parte della maggioranza, e questo potrebbe avere delle conseguenze politiche sul governo stesso.