I Chicago Bulls vogliono tornare a contare
Dopo vent'anni di declino hanno scommesso tutto sulla prossima stagione per dare inizio a un nuovo ciclo, con qualche rischio
Il declino dei Chicago Bulls dopo l’ultimo dei sei titoli NBA vinti negli anni Novanta fu senza precedenti nella storia della lega. Nel giro di pochi mesi, la rifondazione iniziata nel 1998 dal proprietario Jerry Reinsdorf e dal general manager Jerry Krause privò la squadra dell’allenatore, Phil Jackson, e del celebre trio formato da Michael Jordan, Scottie Pippen e Dennis Rodman. Senza di loro i Bulls passarono dall’83 per cento di vittorie mantenuto nelle stagioni regolari tra il 1995 e il 1998 a un misero 21 per cento che la rese una delle peggiori squadre del campionato per quasi un decennio.
A vent’anni di distanza, si può dire che i Bulls non si siano più ripresi dalla fine di quella squadra, ricordata di recente dal successo della serie The Last Dance. Salvo alcune buone stagioni tra il 2010 e il 2014, non sono più riusciti a costruire dei progetti solidi e quindi dei cicli vincenti, nonostante rimangano una delle squadre più ricche e riconoscibili nel mondo dello sport professionistico.
Le scorse quattro stagioni sono state ancora più deludenti delle precedenti, con due undicesimi e due tredicesimi posti. Quest’estate però la squadra sembra aver deciso di non aspettare ancora per tornare competitiva, anche a costo di prendersi dei rischi non da poco.
In questi ultimi mesi i Bulls sono stati fra le squadre più attive sul mercato, tanto da cambiare completamente aspetto. Hanno preso Lonzo Ball, playmaker di New Orleans, in cambio di due giocatori (Tomas Satoransky e Garrett Temple), una scelta al secondo giro nel draft del 2024 e poco più di un milione di dollari, a cui andranno aggiunti i circa 80 milioni che Ball potrà ricevere nei prossimi quattro anni.
Hanno poi ceduto altri due giocatori (Thaddeus Young e Al-Farouq Aminu) e tre scelte ai draft del 2022 e del 2025 ai San Antonio Spurs in cambio dell’esperta guardia DeMar DeRozan, che 80 milioni di dollari li riceverà in tre stagioni.
Si sono inoltre privati del ventiquattrenne Lauri Markkanen — settima scelta al draft del 2017 — per l’ala piccola Derrick Jones e alcune scelte di rinforzo ai prossimi draft in uno scambio a tre con Portland e Denver (il draft è l’evento in cui le trenta squadre del campionato selezionano i migliori giocatori provenienti dai college o dall’estero).
Tra i giocatori andati in scadenza di contratto al termine dell’ultima stagione, i Bulls hanno ingaggiato Alex Caruso, playmaker tuttofare inaspettatamente protagonista con i Los Angeles Lakers di LeBron James — a cui è stato dato un contratto di quattro stagioni a oltre 36 milioni di dollari — e la guardia Javonte Green, in uscita dai Boston Celtics dopo aver giocato anche in Italia, qualche anno fa con Trieste.
Tutti questi investimenti si sono aggiunti ai due punti di forza già in squadra: la guardia Zach LaVine, che a 26 anni è tra i migliori realizzatori del campionato, e il centro montenergino Nikola Vucevic, l’anno scorso tra i selezionati per l’All-Star Game, l’annuale partita di esibizione che riunisce i migliori giocatori del campionato.
I nuovi Bulls si sono quindi assicurati un trio titolare ritenuto di ottimo livello e soprattutto con caratteristiche offensive complementari: Ball crea gioco e fornisce assist, DeRozan ha come specialità inventiva e tiro dalla media distanza, mentre LaVine è efficace sia sulla linea da tre punti che sotto canestro, e grazie ai primi due il peso dell’attacco non sarà completamente sulle sue spalle come lo è stato finora. La presenza di Vucevic, con i suoi 2 metri e 13 centimetri, potrà essere inoltre una garanzia per il riciclo dei tiri sotto canestro.
Così come gli altri grandi campionati nordamericani, la NBA è famosa per il continuo ricambio tra squadre vincenti e non. Anche solo tra una stagione e l’altra, le regole finanziarie e le opportunità date alle squadre più deboli attraverso i draft possono cambiare quasi completamente i rapporti di forza. È successo ai Los Angels Lakers, per esempio, che con l’arrivo di LeBron James nel 2018 hanno rifondato la squadra arrivando a vincere il titolo nel 2020 dopo che nelle precedenti sei stagioni non erano arrivati nemmeno ai playoff.
Ma c’è anche chi questo ricambio non lo vede mai, né da una parte ne dall’altra. Sono le squadre che si fermano nel mezzo, e che anche quando finiscono tra le ultime non riescono a sfruttare le occasioni che hanno per rilanciarsi.
Quello dei Bulls è stato il caso più emblematico. Negli anni Novanta furono la squadra che trainò l’espansione mondiale del basket NBA, e forse proprio i successi irripetibili di quel periodo sono stati la ragione dietro il declino degli ultimi vent’anni, segnato come se non bastasse da episodi specifici che ne hanno impedito la ripresa, come il grave infortunio di Derrick Rose proprio nella stagione in cui era stato nominato miglior giocatore del campionato, a soli 22 anni.
I mesi di preparazione alla stagione che inizia il 19 ottobre hanno mostrato come i Bulls vogliano provare a tornare competitivi accelerando i tempi, con tutti i rischi del caso.
Per rifondare la squadra si sono infatti privati di alcuni giovani con cui stavano costruendo qualcosa, come Markannen, e di gran parte delle loro scelte ai prossimi draft. Hanno costruito in breve tempo una squadra più forte per cercare di trattenere e far raggiungere il potenziale a LaVine, un giocatore da cui ci si aspetta tanto ma che il prossimo anno potrebbe liberarsi dal contratto, in scadenza a fine stagione.
Il gruppo però è stato formato in pochi mesi e potrebbe aver bisogno di tempo per funzionare insieme, a maggior ragione considerando la sua impostazione offensiva. Se questa stagione non dovesse andare come previsto, LaVine potrebbe anche decidere di non aspettare oltre e accettare altre offerte. A quel punto i Bulls si ritroverebbero da capo, per giunta con margini di investimento limitati, dopo tutti i soldi spesi in questa finestra di mercato.
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