Cosa sappiamo dell’omicidio di Buccinasco
È stato ucciso un uomo con noti legami criminali: secondo il sindaco potrebbe essere l'inizio di uno scontro tra famiglie della 'ndrangheta
Ieri a Buccinasco, a dieci chilometri dal centro di Milano, due uomini hanno ucciso Paolo Salvaggio, un noto pluripregiudicato che aveva legami con la criminalità organizzata: aveva 60 anni ed era malato di tumore ai polmoni. Erano le 9 del mattino e Salvaggio era in bicicletta in una strada piuttosto trafficata quando due persone, a bordo di uno scooter Honda, lo hanno affiancato. Hanno sparato quattro colpi, l’ultimo, in faccia, quando Salvaggio era già a terra.
Il sindaco di Buccinasco, Rino Pruiti, in carica dal 2017, ha detto di temere che possa iniziare nella zona uno scontro tra gruppi criminali legati alla ‘ndrangheta. Dice al Post: «Conosco questo territorio, ci vivo da sempre, il clan Barbaro Papalia qui controlla ancora tutto. I casi sono due: o questo omicidio è avvenuto con il via libera del gruppo dominante oppure si tratta di una sfida. E se è stata una sfida, temo, ci sarà una risposta».
Paolo Salvaggio era stato coinvolto in famosi fatti di cronaca negli scorsi decenni. Lo chiamavano “Dum Dum” (il nome di un tipo di proiettile) da quando, nemmeno diciottenne, aveva ucciso, la notte del 31 dicembre del 1978, il buttafuori di una discoteca di Bereguardo, nel pavese. Era minorenne, lo portarono al carcere minorile Beccaria: fuggì quasi subito. Lo riconobbero pochi giorni dopo due poliziotti in viale Fulvio Testi, al confine con Sesto San Giovanni, benché si fosse tinto i capelli di rosso.
Da allora è entrato e uscito più volte dal carcere: ha fatto rapine con ex membri della banda Vallanzasca e soprattutto ha collaborato con clan di ‘ndrangheta, mafia, e sacra corona unita (la mafia pugliese) nel traffico di stupefacenti. Salvaggio non era un boss: faceva il mediatore, una di quelle figure che sanno come eludere le dogane, che corrompono chi c’è da corrompere, che trattano a nome dei capi. Nel 2018 era uscito dal carcere per motivi di salute: era molto malato.
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Era da molti anni che a Buccinasco non si uccideva in strada. La ‘ndrangheta, che qui è molto presente come in tutto il milanese, aveva da tempo scelto di fare affari senza suscitare attenzione, cercando di evitare faide sanguinose e guerre tra clan, come ha evidenziato l’ultimo rapporto della Direzione Investigativa Antimafia sulla criminalità organizzata in Italia.
Non si conosce ancora il movente dell’omicidio di Salvaggio, ma molti osservatori informati, come appunto il sindaco Pruiti, temono che la sua uccisione possa essere legata alla grande presenza della ‘ndrangheta in queste zone del milanese, e possa essere considerata come il “messaggio” di un gruppo criminale a un altro.
Buccinasco è sempre stata una città simbolo: la chiamavano Platì 2, o Platì del Nord. Platì è un comune del reggino, in Calabria, ci abitano poco meno di 4.000 persone. Dice ancora Pruiti: «Ci sono quasi più cittadini qui a Buccinasco che nel comune in Calabria, quindi è una etichetta meritata dal punto di vista numerico. Qui, infatti, vivono oltre 2.200 famiglie provenienti da Platì, da San Luca, dall’Aspromonte. È una comunità che da anni non nasconde più la testa sotto la sabbia: la ‘ndrangheta in questa zona esiste, nessuno può negarlo. Sono finiti i tempi in cui politici o amministratori potevano dire che il fenomeno non riguardava il Nord Italia. Qui il fenomeno esiste, eccome. Solo che adesso lo combattiamo».
Il sindaco spiega che il comune di Buccinasco ha speso recentemente 250.000 euro nell’acquisto di telecamere molto evolute. «Sono 70, in grado riconoscere in maniera dettagliata volti e oggetti», dice ancora Pruiti, «grazie a quell’acquisto è stato risolto il caso di un incendio doloso provocato a luglio. Il problema è che non può essere solo la polizia locale a occuparsene […]. In parole povere, lo stato dovrebbe darci una mano, essere più presente. Non è possibile che a Buccinasco ci siano più agenti della polizia locale che carabinieri, che la caserma della locale chiuda a mezzanotte mentre quella dei carabinieri alle dieci. Non si possono ignorare i problemi di questo territorio».
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Secondo la Direzione Investigativa Antimafia solo nella provincia di Milano operano nove ‘ndrine, cioè nove gruppi affiliati alla ‘ndrangheta. A Buccinasco la criminalità è sempre stata comandata dal clan Barbaro Papalia, a lungo punto di riferimento della ‘ndrangheta lombarda. Due inchieste, la Nord Sud negli anni novanta, e la Cerberus nel 2008, mostrarono che gli affari del clan in Lombardia erano molto ampi e non riguardavano solo il traffico di stupefacenti. Anzi, la maggior parte degli introiti arrivava dall’edilizia, in special modo dal movimento terra.
Il Fatto Quotidiano riportò che nelle ordinanze di custodia cautelare in uno dei tronconi dell’inchiesta era scritto: «Il capo dell’ufficio tecnico di Buccinasco sa benissimo che l’attività di movimento terra nell’area di Buccinasco, Assago e Corsico è monopolio di alcune famiglie calabresi, indipendentemente dalle ditte alle quali viene formalmente assegnata». L’operazione Infinito, nel 2010, la più importante degli ultimi anni sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in regione, certificò che degli 81 indagati 35 si occupavano di edilizia.
Se a Buccinasco a comandare a livello criminale sono stati per anni i Barbaro Papalia, altre ‘ndrine si muovono nel milanese: i Morabito, i Coco-Trovato, i Pesce, i Mancuso, i Molluso. Rivali ma strette, fino ad ora, in un fragile patto di pace: l’importante è riuscire a fare affari. Vincenzo Mandalari, arrestato durante l’operazione Infinito, scrisse dal carcere una lettera al comune di Bollate, dove viveva: «Forse l’amministrazione ha dimenticato le azioni da me svolte a favore del territorio bollatese o quando mi acclamava come impresa bollatese e come persona sempre presente per la solidarietà». Mandalari divenne famoso anche perché, in un video dei carabinieri ripreso con una telecamera nascosta, durante una riunione di ‘ndranghetisti in un ristorante fece spostare i tavoli per non sedere sotto le fotografie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
A Buccinasco, da due anni, è tornato il boss più temuto, riconosciuto da tutti come il capo clan: Rocco Papalia, detenuto in regime di 41-bis dal 1992 al 2017, poi per due anni in carcere non in regime speciale e ora in libertà. Da quando è tornato a Buccinasco, vive nella villetta di famiglia assieme alla moglie. Una porzione della villa, di proprietà di un parente attualmente in carcere, è stata confiscata secondo le norme sul patrimonio di chi è accusato di associazione mafiosa. È stata assegnata all’associazione Villa Amantea che vi ha insediato un centro SPRAR (Sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) per minori non accompagnati. A Papalia la convivenza con l’associazione non piace. «Certo», dice il sindaco, «non vuole la presenza dello stato dentro casa».
È in corso anche una disputa sull’utilizzo del cortile della villa. La moglie di Papalia ha chiesto già da tre anni il diritto di usarlo, approfittando di un errore tecnico: al momento della confisca non furono considerate le parti comuni. In pratica, spiega Pruiti, «se la spuntasse in tribunale, Papalia in quel cortile potrebbe metterci l’auto, farci le grigliate, occuparlo come desidera. Noi invece quel cortile lo utilizziamo per le iniziative antimafia, da lì si passa per accedere all’associazione». Il Tribunale ha rimandato qualsiasi decisione al luglio 2022.
Nel maggio scorso Rocco Papalia aveva detto che Buccinasco gli doveva riconoscenza per aver costruito mezza città. E, parlando del sindaco, aveva detto che se ne sarebbe dovuto andare, perché continuava a parlare di mafia «ma qui la mafia non esiste». Pochi giorno dopo a Buccinasco sfilò un corteo di solidarietà al sindaco, guidato da 40 altri sindaci della zona.