Il caso Kyrie Irving
Uno dei più talentuosi e indecifrabili giocatori in NBA non ne vuole sapere di vaccinarsi, anche a costo di perdere la stagione e svariati milioni di dollari
Tra i giocatori più enigmatici e controversi del miglior campionato di basket al mondo c’è sicuramente Kyrie Irving, campione NBA nel 2016 con i Cleveland Cavaliers di LeBron James e ora uno dei più importanti giocatori dei Brooklyn Nets, la squadra più attesa e chiacchierata da due anni a questa parte. Irving da qualche tempo è al centro di una notevole controversia, ultima di tante: rischia di non poter giocare gran parte della nuova stagione a causa delle sue posizioni equivoche a proposito del vaccino contro il coronavirus.
Irving è un playmaker in grado di fare cose strabilianti con la palla. A Brooklyn fa parte dei cosiddetti “Big Three” insieme ad altri due grandi campioni, Kevin Durant e James Harden. Questi tre giocatori, sostenuti da altri come Blake Griffin, Joe Harris e LaMarcus Aldridge, fanno di Brooklyn una delle grandi favorite al titolo, anche dopo l’eliminazione in semifinale di Conference subita nei playoff della scorsa stagione.
Negli ultimi tre anni i Nets sono stati rifondati e la squadra rinforzata con alcuni dei migliori giocatori in circolazione. Questo processo — oltre al tempo che richiede già di per sé — è stato però continuamente rallentato da una lunga serie di infortuni e assenze che non sembra finita neanche a pochi giorni dalla nuova stagione, che parte il 19 ottobre.
Il problema ora è Irving, in quanto apparentemente contrario alla vaccinazione contro il coronavirus. Senza vaccino rischia di compromettere la sua stagione, perché non può accedere alle partite al palazzetto dei Nets a Brooklyn, la Barclays Arena.
Benché l’NBA non obblighi i giocatori a vaccinarsi, in molte città, come appunto New York ma anche San Francisco, i regolamenti comunali vietano ai non vaccinati di accedere a certi luoghi, come per esempio le arene sportive. Irving dunque non potrebbe giocare le partite in casa e nemmeno quelle in trasferta in città che richiedono il vaccino. Pare invece che potrà allenarsi.
I Nets non sembrano per nulla ottimisti, perché Irving sembra proprio non volerne sapere di vaccinarsi: martedì non ha partecipato nemmeno al primo allenamento in casa della squadra. La dirigenza sta cercando di gestire il caso con prudenza, ma se la situazione dovesse rimanere così, la NBA ha dato facoltà ai Nets — così come a tutte le altre squadre ne avessero bisogno — di decurtare gran parte dello stipendio al giocatore non vaccinato: su 35 milioni di dollari annui, potrebbero arrivare a trattenerne almeno 17.
Alla tradizionale giornata aperta alla stampa organizzata a fine settembre alla Barclays Arena, Irving si era fatto vivo solamente in videoconferenza. Quando gli è stato chiesto se avesse intenzione di giocare le partite in casa in questa stagione non ha risposto e anzi, sulla questione del vaccino ha chiesto il rispetto della sua privacy, anche perché i giocatori di NBA non hanno l’obbligo di vaccinarsi per giocare.
Quest’ultima posizione è soltanto l’ultima delle tante controversie che hanno riguardato Irving negli ultimi anni, più o meno da quando nel 2017 decise di lasciare Cleveland — e forse l’ombra di LeBron James — per rilanciarsi ai Boston Celtics.
Il suo lato cospirazionista venne fuori poco prima del trasferimento, quando durante la registrazione di un podcast disse che per lui la terra era piatta, e che gran parte delle cose insegnate a scuola erano false. Circa un anno e mezzo dopo, da giocatore dei Celtics, si scusò dicendo di essere stato particolarmente in fissa con le teorie cospirazioniste in quel periodo, e di aver sottovalutato la risonanza dei suoi pensieri.
Tra equivoci e prestazioni deludenti, a Boston le cose non andarono per niente bene, tanto da spingerlo ad accettare senza pensarci troppo l’offerta della squadra per la quale tifava da bambino, essendo cresciuto in New Jersey. Da allora quando torna a giocare a Boston viene bersagliato dai tifosi locali: lo scorso maggio uno spettatore è stato arrestato per avergli tirato una bottiglia dagli spalti.
Il suo primo anno a Brooklyn è stato ostacolato dagli infortuni. La passata stagione è stata invece molto più costante, ma a gennaio Irving ha smesso di farsi vedere per due settimane per non specificati “problemi personali”. Durante la sua assenza era inoltre circolato un video in cui lo si vedeva violare il protocollo sanitario della NBA a una festa in famiglia: violazione per la quale è stato multato di quasi un milione di dollari.
La zia di Irving ha raccontato alla rivista Rolling Stone che non si è vaccinato per questioni “morali”, e non religiose come qualcuno aveva ipotizzato. Irving si è infatti convertito all’Islam da circa un anno e alcuni credevano che lo scetticismo tra i fedeli musulmani nei confronti dei vaccini lo avesse condizionato. Lui intanto continua a non dire nulla in pubblico: finora non ha mai detto esplicitamente di non essersi vaccinato.
Le posizioni di Irving stanno mettendo in difficoltà anche gli sponsor, timorosi che un tema così dibattuto come quello della vaccinazione contro il coronavirus possa essere associato alla loro immagine. Fra questi c’è Nike, lo sponsor principale di Irving, che il prossimo 8 novembre ha in programma il lancio delle scarpe a lui dedicate, le “Kyrie 8”. La sua esclusione dalla stagione potrebbe incidere profondamente sulla campagna, che già per l’ultima collezione non era andata bene: allora Irving aveva definito “spazzatura” le scarpe prodotte da Nike.