L’incredibile giro politico di Muqtada al Sadr
Il religioso sciita probabile vincitore delle elezioni di domenica in Iraq è stato tante cose diverse, negli ultimi 15 anni, e oggi è più potente che mai
di Elena Zacchetti
Muqtada al Sadr è il religioso più importante e conosciuto in Iraq e all’estero. È sciita, ha 48 anni, è al centro delle vicende irachene da un paio di decenni e nel corso della sua vita è stato un po’ di tutto: da capo di una violentissima milizia che uccideva gli americani a Baghdad, a figura populista di riferimento per la classe operaia sciita, a potente leader nazionalista in grado di controllare ampi pezzi dello stato iracheno.
Al Sadr però non è stato rilevante solo in passato. È molto probabile che la sua fazione, il Movimento Sadrista, diventi la più votata alle elezioni parlamentari di domenica, e che la coalizione di cui il Movimento fa parte, Sairoon, emerga come la più decisiva e influente per la formazione del prossimo governo iracheno.
Quelle di domenica sono elezioni anticipate. Erano state convocate dopo le grandi proteste anti-governative che si erano tenute in diverse città irachene tra ottobre e novembre del 2019, e che avevano portato tra le altre cose alle dimissioni del precedente primo ministro, Adel Abdul Mahdi, e alla successiva nomina dell’attuale, Mustafa al Kadhimi. Sono le seste elezioni dall’invasione americana dell’Iraq del 2003, che destituì il regime sunnita di Saddam Hussein e introdusse un nuovo sistema politico che da allora ha sempre garantito il potere agli sciiti, che in Iraq sono la maggioranza.
Il 2003 è stato anche l’anno in cui Muqtada al Sadr divenne noto al mondo, a causa degli innumerevoli attacchi compiuti dalla sua milizia, l’Esercito del Mahdi, contro i militari americani che occupavano l’Iraq. In quel periodo al Sadr aveva legami strettissimi con l’Iran, paese anch’esso a maggioranza sciita e dalla fine degli anni Settanta nemico degli Stati Uniti.
L’esercito del Mahdi uccise migliaia di soldati americani e forze del governo iracheno e partecipò ad alcune delle più terribili violenze settarie (uccisioni, torture, rapimenti) compiute contro i sunniti nel corso degli anni Duemila. La sua base era a Sadr City, quartiere orientale di Baghdad molto povero e a stragrande maggioranza sciita, chiamato così dopo la caduta di Hussein in onore proprio della famiglia di Sadr. Già prima di quegli anni, infatti, Sadr era assai conosciuto in Iraq. Proveniva da una famiglia sciita molto nota e importante: un suo parente, il grande ayatollah Mohammed Baqir al Sadr, era stato ucciso dal regime di Hussein nel 1980, così come suo padre e due suoi fratelli, che erano stati uccisi nel 1999 nella città irachena di Najaf.
Per anni, quindi, Sadr fu associato inevitabilmente all’Iran, e considerato un terrorista dagli Stati Uniti. Ma col tempo la sua posizione cambiò.
Nella guerra che l’Iraq combatté contro l’ISIS, a partire dal 2014, Sadr cambiò nome alla sua milizia, che diversi anni prima aveva subìto una dura repressione ordinata dall’allora primo ministro iracheno Nuri al Maliki: dall’Esercito del Mahdi alle Brigate della Pace. Le Brigate parteciparono alla guerra contro lo Stato Islamico a fianco dell’esercito iracheno, ma diversamente da molte altre milizie sciite impegnate nel conflitto non ricevettero né grossi finanziamenti né un numero elevato di armi dall’Iran, e mantennero una catena di comando indipendente.
Come successe anche alle altre milizie sciite che combatterono contro l’ISIS, le Brigate della Pace riuscirono a trarre vantaggio dal conflitto e dalla successiva sconfitta dello Stato Islamico. I gruppi paramilitari riuscirono a farsi sempre più spazio nella politica irachena: furono di fatto integrati nell’esercito nazionale e diversi leader iniziarono ad acquisire sempre più potere politico. Sadr fu uno di loro.
L’intenzione di Sadr di cambiare la sua immagine, e distanziarsi almeno pubblicamente dall’Iran, si vide chiaramente nel luglio 2017, quando fece uno storico viaggio in Arabia Saudita (grande nemico dell’Iran). Lì incontrò il potente principe Mohammed bin Salman, che ancora oggi governa con pochi oppositori il suo paese: la foto dei due insieme finì sulle prime pagine di moltissimi giornali locali.
Nel 2018 Sadr si candidò alle elezioni all’interno della coalizione Sairoon, presentandosi come leader populista con l’obiettivo di sconfiggere la corruzione, uno dei problemi più grandi e apparentemente irrisolvibili dello stato iracheno. Si presentò parlando dell’importanza di ridurre l’influenza dei paesi stranieri nella politica nazionale, quindi sia Stati Uniti che Iran, entrambi alleati del governo iracheno. E si presentò come unica coalizione sciita dichiaratamente anti-Iran. La sua coalizione, Sairoon, fu la più votata: ottenne 54 seggi su 329, davanti a Fatah di Amiri (filo-iraniana, 48 seggi) e al partito dell’ex primo ministro Haider al Abadi (schierato sia con gli americani che con l’Iran, 42 seggi).
Negli ultimi anni l’influenza di Sadr nella politica irachena è cresciuta ancora di più.
Oggi i sadristi possono contare su una presenza massiccia all’interno del governo e nella pubblica amministrazione. Secondo il think tank britannico Chatham House, i sadristi e i loro alleati occupano buona parte delle posizioni intermedie, quelle che permettono loro di dirottare i soldi pubblici e usarli per le esigenze del Movimento. Per assicurarsi che questo flusso di denaro prosegua, ha scritto il Washington Post, i sadristi hanno anche appoggiato la nomina di ministri senza affiliazioni di partito, che di fatto non esercitano grande potere e hanno meno autorità rispetto ai funzionari che stanno sotto di loro.
Il Movimento Sadrista «è arrivato a dominare silenziosamente l’apparato statale», ha scritto Reuters, riferendosi ai ministeri dell’Interno, della Difesa, delle Comunicazioni, alle agenzie che si occupano di petrolio, elettricità e trasporti, e anche alla Banca centrale irachena. Secondo l’inchiesta di Reuters, Sadr sarebbe riuscito a sfruttare la debolezza in cui si trovava il governo iracheno dopo le dimissioni del primo ministro Mahdi, nel novembre 2019, e dopo la morte del potente generale iraniano Qassem Suleimani, ucciso due mesi dopo a Baghdad da un drone americano.
Sadr è anche riuscito infine a “normalizzare” la sua immagine di fronte ai governi occidentali. Lahib Higel, analista dell’International Crisis Group, ha detto al Washington Post che «Sadr ha cercato di vendere se stesso come un’opzione valida [agli occhi di americani ed europei], oltre che centrale all’interno della politica irachena». Questa normalizzazione non è passata solo dalla presa di distanza dall’Iran, o dall’incontro con Mohammed bin Salman in Arabia Saudita.
Negli ultimi mesi, Sadr ha assunto posizioni più moderate di altri partiti sciiti nel dibattito sul ritiro delle forze americane dall’Iraq: in sostanza ha detto di essere contrario alla presenza di truppe straniere nel paese, ma allo stesso tempo ha lasciato aperta la possibilità di proseguire una collaborazione di altro tipo, che includa l’addestramento di soldati iracheni, la fornitura di armi e la gestione dello spazio aereo.
– Leggi anche: La storia dietro all’uccisione di Qassem Suleimani
Nelle elezioni di domenica, il Movimento Sadrista aspira a ottenere un numero di consensi tale da permettergli di influenzare direttamente la scelta del prossimo primo ministro. Diversi politici iracheni pensano che oggi non sia possibile decidere un capo del governo senza il consenso dei sadristi, e dello stesso avviso è anche l’attuale primo ministro, Kadhimi.
Molto probabilmente i risultati del voto non porteranno alla rapida formazione di un nuovo governo. Il sistema politico iracheno e la legge elettorale del paese garantiscono un’ampia rappresentanza in parlamento, ma anche una grande frammentarietà. I negoziati tra partiti potrebbero essere molto lunghi ed è difficile immaginare cosa potrebbe succedere. Non è nemmeno chiaro se il Movimento Sadrista manterrà il suo appoggio per Kadhimi e sosterrà l’idea di un suo secondo mandato: molto dipenderà dal risultato delle elezioni, ma anche da quello che decideranno gli altri partiti, soprattutto quelli filo-iraniani e i gruppi politici curdi.