Vent’anni fa a Linate ci fu il peggior disastro aereo della storia d’Italia
Un aereo di linea si scontrò contro un Cessna a causa di una serie di errori umani: morirono 118 persone
L’8 ottobre 2001, poco dopo le 8 del mattino, all’aeroporto di Linate, nella periferia est di Milano, ci fu l’incidente aereo con il più alto numero di morti della storia d’Italia. Un aereo di linea McDonnell Douglas MD-87 della Scandinavian Airlines (SAS) entrò in collisione con un Cessna Citation CJ2, un piccolo aereo privato. Morirono 118 persone: 110, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, erano a bordo dell’aereo di linea; quattro, due piloti e due passeggeri, erano a bordo del Cessna; e quattro erano addetti al lavoro in un capannone dove avveniva lo smistamento bagagli contro cui si schiantò il McDonnell Douglas.
Quel giorno, vent’anni fa, a Linate c’era una nebbia consistente: le operazioni si svolgevano con una visibilità (RVR cioè Runway Visual Range) 3/B, inferiore ai 200 metri ma superiore ai 75 (secondo alcune fonti la visibilità era di 100 metri circa). Proprio a causa della nebbia, l’aereo delle linee aeree scandinave, il volo SK686 diretto a Copenaghen, era rimasto in attesa sul piazzale nord e aveva ricevuto il permesso al decollo con 41 minuti di ritardo. Alle 7.54 dalla torre di controllo arrivò il permesso al rullaggio (cioè allo spostamento via terra) fino al punto d’attesa Cat 3, uno dei punti in cui gli aerei in rullaggio devono fermarsi e attendere l’autorizzazione a proseguire.
Poco distante, sul piazzale ovest, un Cessna Citation CJ2 aveva appena ricevuto un nuovo orario di decollo, spostato dalle 7.45 alle 8.19. A bordo del volo della compagnia Air Evex c’erano due piloti tedeschi e due industriali italiani, Giovanni Fossati, presidente dell’azienda alimentare Star, e Stefano Romanello, dirigente della Cessna. Fossati era salito a bordo del velivolo in vista di un possibile acquisto. L’aereo era diretto a Parigi.
Alle 8.01 il volo SAS ricevette dalla torre di controllo l’ok e un «arrivederci». Il pilota si diresse quindi verso la pista principale con il muso rivolto a nord. Nel frattempo, nel piazzale ovest il Cessna ricevette l’ok al rullaggio verso il piazzale nord: avrebbe dovuto seguire lo stesso allineamento del volo di linea. Ma invece di imboccare il raccordo che era stato indicato, l’R5, e andare a sinistra prese il raccordo R6 e andò a destra. La causa fu in parte la nebbia ma anche e soprattutto, come stabilirono le indagini e poi i processi, le indicazioni sull’asfalto che risultarono fuori norma. Il Cessna si avviò così in direzione sud, e si infilò contromano nella pista dalla quale stava decollando il volo di linea della SAS.
Alle 8.10 il volo della SAS si stava staccando dal suolo, il muso era già alzato, quando andò a scontrarsi in pieno con l’aereo privato. La velocità del volo di linea era in quel momento di 146 nodi, circa 270 km orari. Il Cessna fu spezzato in tre parti, le quattro persone a bordo morirono immediatamente. Nell’impatto l’aereo di linea perse il motore destro e la parte destra del carrello principale. Il pilota, Joakim Gustafsson, accelerò al massimo per cercare di portare in quota l’aereo: con i serbatoi completamente pieni e a quella velocità non aveva alternativa.
L’obiettivo era probabilmente quello di svuotare i serbatoi e provare poi ad atterrare. Quel tentativo venne poi giudicato dalle commissioni d’inchiesta il più appropriato possibile tanto che fu poi inserito nei manuali tecnici della SAS in merito alle procedure che devono essere seguite in caso di collisione a terra.
L’aereo Scandinavian volò però solo per pochi secondi a 12 metri dal suolo. Tornò violentemente a terra a causa del motore mancante e della perdita di potenza dell’altro motore che aveva risucchiato detriti del Cessna distrutto. L’aereo a quel punto poggiava sulla pista su una parte sola del carrello mentre l’ala destra strusciava sull’erba attorno alla pista. L’unica possibilità era cercare di governare il velivolo azionando i freni ma l’impianto idraulico era gravemente danneggiato, l’aereo era ormai ingovernabile.
A 250 km all’ora l’MD-87, che misurava 45 metri di lunghezza e aveva un’apertura alare di 35 metri, andò a schiantarsi contro un capannone dove si trovavano in quel momento alcuni addetti allo smistamento dei bagagli. Quattro delle persone presenti nel capannone morirono, una quinta, Pasquale Padovano, riportò ustioni sull’85 per cento del corpo: da allora ha subìto un centinaio di interventi chirurgici.
Dopo l’impatto ci fu un grosso incendio. Per passeggeri e membri dell’equipaggio del volo Scandinavian non ci fu nessuna possibilità di salvezza. Sul volo c’erano 58 italiani, 16 danesi, 17 svedesi, 6 finlandesi, 3 norvegesi, un rumeno, un sudafricano, un inglese, uno statunitense. I membri dell’equipaggio erano danesi, finlandesi e svedesi.
«Sono passati vent’anni, i ricordi si sono dilatati ma l’incidente accaduto l’altro giorno a San Donato Milanese, quando un aereo privato è precipitato su una casa, ci ha fatto rivivere un’angoscia terribile. Troppe coincidenze: l’aereo partito da Linate, lo schianto vicino alla via intitolata al disastro dell’8 ottobre 2001 proprio a pochi giorni dell’anniversario», ha detto al Post Adele Pesapane Scarani, presidente del Comitato 8 ottobre e moglie di una delle persone morte quel giorno.
Dopo l’incidente, apparve subito chiaro che si era verificata una serie di errori umani.
Innanzitutto i piloti del Cessna avrebbero dovuto imboccare il raccordo a sinistra R5 che prevedeva un giro a nord dell’aeroporto costeggiando la pista di decollo senza mai intersecarla. Questo giro avrebbe comportato diversi minuti in più rispetto al percorso dell’altro raccordo, l’R6, che invece tagliava la via di decollo, ma è proprio verso l’R6 che il piccolo aereo si diresse.
Appena lasciata l’area di parcheggio, i piloti incontrarono il bivio dei raccordi, con le sigle R5 a sinistra ed R6 a destra. Entrambe le sigle erano deteriorate e realizzate con caratteri fuori dagli standard internazionali (ICAO). Inoltre erano posizionate in modo obliquo rispetto alla direzione di avvicinamento dell’aeromobile, difficili da identificare in particolare con aerei di piccole dimensioni come il Cessna, e in condizioni di scarsa visibilità, come quel giorno a Linate. Le luci verdi del raccordo R6 erano accese e visibili a circa 80 metri, mentre quelle del raccordo R5 erano molto più distanti, a più di 300 metri e non potevano in quel momento essere viste a causa della nebbia. I piloti vedendo le luci verdi del raccordo R6 si convinsero che fosse quella la strada autorizzata e proseguirono lungo quel percorso, a destra.
La nebbia ebbe sicuramente un ruolo ma, come venne poi appurato dall’inchiesta, su tutto il percorso del raccordo R6, una volta superato il bivio, non c’era nessuna indicazione che avrebbe potuto indurre i due piloti a capire che si trovavano nel luogo sbagliato. L’errore era stato commesso ma loro non avevano modo di accorgersene.
Furono molti gli errori e le leggerezze che portarono all’incidente. Da tempo i sensori di eventuali presenze anomale in pista, cioè quelli che avrebbero dovuto mandare un allarme acustico agli addetti della torre di controllo nel caso un aereo non autorizzato fosse entrato in pista, erano stati disattivati. La ragione era che si attivavano spesso senza motivo, o meglio, a causa del passaggio di lepri sulla pista. Inoltre il cosiddetto radar di terra era disattivato. Un nuovo radar era stato acquistato ma non era ancora attivo perché avrebbe dovuto essere installata un’antenna tra la pista principale e quella secondaria. L’ENAC, l’ente nazionale per l’aviazione civile, che allora si chiamava DGAC (Direzione Nazionale Aviazione Civile) aveva bloccato l’installazione perché il traliccio avrebbe potuto creare un problema ai piloti durante le operazioni in caso di scarsa visibilità.
Il controllore che avrebbe potuto accorgersi dell’errore del Cessna si dovette basare solo sulle parole dei piloti perché a causa della nebbia non aveva modo di controllare visivamente ciò che stava accadendo. A un certo punto il pilota del Cessna disse di aver attraversato il punto S4. Ma il punto S4 sulle mappe in mano agli operatori aeroportuali non esisteva: era, come fu stabilito in seguito, una vecchia segnaletica orizzontale che era rimasta da lavori effettuati anni prima. L’indicazione del punto S4 arrivò inoltre nella cuffia dell’operatore in maniera molto disturbata, di fatto non fu presa in considerazione e i piloti del Cessna continuarono nelle loro operazioni.
Altro punto fondamentale rilevato dall’inchiesta fu che né i piloti né il Cessna avrebbero potuto atterrare e decollare a Linate quel giorno: non erano infatti autorizzati a operare con una visibilità inferiore a 550 metri. Ci furono anche polemiche sulla tempestività dei soccorsi: secondo i protocolli internazionali devono arrivare sul luogo dell’incidente entro due minuti, quel giorno a Linate ne impiegarono otto.
Dice Adele Pesapane Scarani: «Da quando è nato il Comitato 8 ottobre ci siamo impegnati perché fossero migliorati i protocolli di sicurezza negli aeroporti. Molti obiettivi li abbiamo raggiunti, siamo conosciuti a livello internazionale. Quanto al processo che seguì alla tragedia, penso che le pene siano state eccessivamente lievi. Ma è una cosa che ci aspettavamo».
L’ANSV, Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo, pubblicò il suo rapporto nel gennaio del 2004. Secondo la relazione, l’immissione del Cessna in pista fu la causa dell’incidente ma la colpa non poteva essere attribuita solo ai piloti perché a quell’errore contribuirono carenze nelle infrastrutture ed errori nelle procedure.
Il 13 marzo 2003 venne deciso il rinvio a giudizio di 11 persone con le accuse di disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Il processo iniziò il 4 giugno di quell’anno e l’ultima sentenza, in Cassazione, arrivò il 20 febbraio 2008. Le condanne andarono dai 6 anni e 6 mesi di Sandro Gualano, ex amministratore delegato di ENAV (Ente Nazionale Assistenza Volo) ai 3 anni di altri funzionari. Ci furono due assoluzioni: Francesco Federico, direttore del sistema aeroportuale di Milano (Linate e Malpensa) e Vincenzo Fusco, direttore dello scalo di Linate. Un indulto approvato dal Parlamento nel 2008 ridusse di tre anni la pena a tutti i condannati.