Come la mafia olandese è diventata una delle più potenti del mondo
La cosiddetta "mocro maffia", che compete e collabora con la 'ndrangheta, è sospettata dell'omicidio del giornalista Peter de Vries
di Stefano Nazzi
I servizi di sicurezza olandesi hanno alzato da alcuni giorni il livello di sorveglianza e protezione per il premier Mark Rutte. Il quotidiano De Telegraaf ha scritto che nei dintorni dell’abitazione del primo ministro le videocamere di sorveglianza avevano registrato la presenza di alcuni giovani “vedette” di organizzazioni criminali: per questo è stato deciso di aumentare la sorveglianza «visibile e non visibile», ha scritto il quotidiano.
Il pericolo per Mark Rutte viene, secondo la polizia e la stampa, dalla “mocro maffia”, l’organizzazione criminale olandese che, con la ‘ndrangheta calabrese, controlla gran parte del traffico di cocaina e di droghe sintetiche in Europa e che è sospettata di aver deciso e portato a termine, a luglio, l’omicidio del giornalista Peter de Vries.
In questi mesi nei Paesi Bassi si è parlato molto di “mocro maffia” anche perché è in corso il processo Marengo (i nomi di inchieste e processi nei Paesi Bassi vengono scelti casualmente da un computer come presto forse avverrà anche in Italia), i cui imputati sono 17 elementi dell’organizzazione criminale. Tra questi c’è il capo indiscusso dell’organizzazione, Ridouan Taghi, 43 anni, olandese di origini marocchine, arrestato a Dubai nel 2019 e ora detenuto nel carcere speciale di Nieuw Vosseveld a Vught. Gli imputati sono accusati di nove omicidi, commessi dal 2015 al 2019 e dell’enorme traffico di stupefacenti per cui vengono utilizzati i porti di Rotterdam, nei Paesi Bassi, e Anversa, in Belgio, come snodo per i carichi in arrivo da Sudamerica e Africa. La sentenza dovrebbe essere emessa l’anno prossimo.
“Mocro” indica, in maniera piuttosto dispregiativa, i cittadini olandesi di origine marocchina. La parola “maffia”, con due F, è una storpiatura comune, all’estero, della parola mafia. Il termine venne utilizzato nel 2014 da due giornalisti olandesi, Marijn Schrijver e Wouter Laumans, che raccontarono in un libro, Mocro Maffia, l’ascesa di un gruppo di giovani ladri di gioielli marocchini di Amsterdam che, partendo dai furti e dal traffico di hashish, riuscirono a creare una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo. L’inizio del libro descrive il furto, avvenuto nel 2012, di 200 chili di cocaina, fatto nel porto di Anversa da una banda criminale belga. Quella cocaina sarebbe stata destinata alla mocro maffia. Tra i due gruppi, quello belga e quello olandese, cominciò una guerra criminale che in pochi anni causò oltre 100 morti.
La mafia maghrebina-olandese ha dimostrato da allora grande potenza di fuoco e capacità operativa. Quella guerra criminale fece molte vittime innocenti e mise i Paesi Bassi di fronte a un fenomeno con cui non avevano mai avuto a che fare prima: la violenza e la capacità di infiltrazione all’interno del paese da parte della criminalità organizzata.
Nel 2019 un funzionario del ministero dell’Interno olandese definì il paese una “narco-nazione”. In una intervista pubblicata sul quotidiano NRC Handelsblad e in parte ripresa dal Corriere della Sera Roberto Saviano definiva i Paesi Bassi «uno dei paesi più criminali del mondo». Rivolgendosi direttamente ai lettori olandesi scrisse: «Siete diventati un territorio offshore; sì, lo so, non siete formalmente nell’elenco dei paradisi fiscali, ma lo siete di fatto». E, in un altro punto dell’articolo: «La mocro maffia si è trasformata da blanda organizzazione di spaccio di strada a holding finanziaria perché l’Olanda è un paradiso per i soldi della droga».
Non è un caso che proprio nei Paesi Bassi, all’Aia, la magistratura italiana abbia ordinato un’operazione di polizia che avrebbe dovuto portare all’arresto del boss mafioso di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Quell’operazione si concluse con un clamoroso errore di persona, ma ha reso evidente che polizia e magistratura italiane sono a conoscenza di probabili interessi criminali di Messina Denaro nei Paesi Bassi.
Nata negli anni Novanta, la mocro maffia è strutturata come mafia e ‘ndrangheta: diversi clan, che a volte si combattono tra loro ma che si sono federati sotto la guida di un “gruppo dirigente” al cui vertice c’è un capo. Sia i leader sia i soldati sono giovani, attorno ai 40 anni. E se all’inizio i membri erano solo olandesi di origine marocchina ora nell’organizzazione ci sono albanesi, serbi, olandesi delle ex colonie. La guida resta però saldamente nelle mani di capi di origine maghrebina. All’inizio l’organizzazione vendeva in Europa resina di cannabis: la importava nei Paesi Bassi dalla regione del Rif. A hashish e marijuana è seguita la cocaina: i leader della mafia dei Paesi Bassi sono riusciti a costruire una rete diretta con i cartelli colombiani e messicani, affiancandosi alla ‘ndrangheta calabrese con cui hanno stipulato una fragile alleanza (ma la mocro maffia ha rapporti anche con la mafia e la camorra).
Frédéric van Leeuw, procuratore federale del Belgio, ha detto che mocro maffia e ‘ndrangheta sono diventate «protagoniste a pieno titolo nel traffico di cocaina». In un’intervista a Le Monde van Leuuw ha spiegato che la capacità di violenza esercitata dalla mocro maffia è simile a quella del terrorismo.
A capo dell’organizzazione c’è Ridouan Taghi, olandese figlio di immigrati marocchini. Si è fatto strada nei vertici dell’organizzazione con metodi estremamente violenti ed è soprattutto lui che è riuscito a creare un canale privilegiato con i narcos colombiani e messicani. Taghi fu arrestato il 18 dicembre 2020 in una villa a Dubai, dove si era rifugiato circa quattro anni prima e da dove continuava a gestire l’organizzazione. Due mesi dopo, a Medellín, in Colombia, è stato catturato anche il suo braccio destro, Said Razzouki. Gli arresti dei due capi non hanno però a quanto pare indebolito l’organizzazione. Taghi e Razzouki continuano a esercitare la loro leadership anche dal carcere (Razzouki è a Medellín in attesa di estradizione). La polizia olandese è anche convinta che nuovi e giovani capi abbiano affiancato i leader incarcerati. Gli affari non sembrano aver subìto nessuna frenata.
L’Eurispes, magazine dell’istituto di ricerca Eurispes, ha pubblicato nel maggio 2020 un’intervista fatta da De Morgen, quotidiano belga di lingua olandese, a un boss colombiano del traffico di cocaina, William Rodriguez-Abadia, divenuto collaboratore di giustizia. L’ex narcotrafficante apparteneva al cartello colombiano di Cali che, dopo la sconfitta del cartello di Medellín comandato da Pablo Escobar, controllava l’80 per cento del traffico mondiale della cocaina.
Parlando del porto di Anversa, in Belgio, Rodriguez-Abadia ha detto al quotidiano belga: «Fin quando i controlli saranno disposti solo su una parte dei container, la droga continuerà ad arrivare a tonnellate in quel porto». Rispondendo a un’altra domanda del giornalista di De Morgen, ha detto: «È impossibile che una mafia che si occupa di importazione di cocaina di tali dimensioni continui a passare inosservata. Ciò indica che vi sono delle connessioni all’interno del mondo politico, delle forze di polizia, delle forze armate e di altri settori. Ciò che arriva ad Anversa è impressionante […]. Solo il 2 per cento dei container viene controllato per insufficienza degli strumenti di controllo e per l’impossibilità di aprire tutti i container che trasportano frutta».
Secondo il rapporto Cocaine Insights prodotto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) e da Europol, ad Anversa, nel 2020, i sequestri di cocaina hanno raggiunto le 65,6 tonnellate, oltre 5 volte la quantità sequestrata nei porti di Valencia o Gioia Tauro.
Anversa ha un’altra caratteristica fondamentale: è capitale mondiale della lavorazione dei diamanti, che possono diventare agile strumento di pagamento della droga acquistata in Sudamerica oppure bene di investimento per riciclare il denaro. La città si trova poi a 100 chilometri da Rotterdam, il porto più grande d’Europa (Anversa è il secondo). E come Anversa, Rotterdam è uno snodo fondamentale per l’arrivo di cocaina che poi da lì riparte, grazie alla collaborazione della mocro maffia con la ‘ndrangheta, verso il resto d’Europa, Italia compresa.
La quantità di stupefacenti che arriva nell’Unione Europea, sempre a quanto dice il rapporto Cocaine Insight, è tale da soddisfare 4,5 milioni di clienti. Secondo il rapporto, la frammentazione delle organizzazioni criminali in Colombia avrebbe favorito le reti di narcotrafficanti del Nord Europa. Questo è dovuto soprattutto alla smobilitazione dell’organizzazione paramilitare Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) i cui legami con l’Italia erano facilitati dalla discendenza italiana di uno dei suoi leader, Salvatore Mancuso Gomez, detto el mono, la scimmia. Detenuto negli Stati Uniti, Mancuso Gomez a fine agosto avrebbe dovuto essere espulso verso l’Italia, dove è coinvolto in varie inchieste sui rapporti tra narcos colombiani e ‘ndrangheta. Gli Stati Uniti hanno però per ora bloccato il procedimento, che lo stesso Gomez aveva più volte sollecitato attraverso i suoi avvocati, probabilmente per le proteste della Colombia che vorrebbe processarlo.
Sul quotidiano di Rotterdam Algemeen Dagblad, ripreso dal sito Strisciarossa, il giornalista investigativo Koen Voskuil ha raccontato che cosa emerse dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia italiano, Giuseppe Trintino, originario di Rosarno e affiliato alla ‘ndrangheta, che operava tra Calabria, Sudamerica e Paesi Bassi. L’uomo spiegò ai magistrati che ogni 90-100 giorni a Rotterdam arrivava un carico di cocaina da 2.000 chili, nascosto spesso in carichi di legname, che poteva fruttare tra i 45 e i 55 milioni di euro. Direttamente al porto i “magazzinieri” delle organizzazioni dividevano i 2.000 chili in dieci carichi da 200 che venivano trasportati e nascosti ad Amsterdam.
Da lì, la droga veniva smistata da ‘ndrangheta e mocro maffia nel resto d’Europa grazie anche ad accordi con la mafia turca, quella albanese e quella serba. «La cocaina è un affare talmente redditizio che ciascun gruppo può coesistere accanto all’altro e collaborare. Gli olandesi-marocchini hanno iniziato a diventare potenti all’inizio degli anni Duemila e nessuno sembrava notarlo. La polizia doveva combattere i criminali olandesi. Intanto i marocchini diventavano sempre più forti. Un po’ come è successo con la ’ndrangheta cresciuta all’ombra di Cosa nostra negli anni Novanta», ha scritto Koen Voskuli.
In un articolo del 2019 pubblicato sull’Espresso e ripreso da L’Eurispes, Roberto Saviano ha scritto che «l’Olanda è uno snodo importante nel narcotraffico perché è una delle porte europee della cocaina, è un hub per la droga che proviene dall’America Latina: qui arriva – in grandi quantità attraverso il porto di Rotterdam – e in piccola parte si ferma, ma tutto il resto prende la via per gli altri paesi europei. Il porto di Rotterdam è la ferita principale attraverso cui passa la droga che giunge in Olanda».
Se è con la ‘ndrangheta che la mocro maffia fa più stabilmente i suoi affari, è però dalla mafia, e soprattutto dal gruppo dei corleonesi di Totò Riina, che ha mutuato la strategia del terrore. I soldati della mocro maffia spesso si fanno tatuare questa scritta: «Chi parla muore». Martin Kok, un ex criminale olandese che, scontata la sua pena, aveva aperto un blog in cui commentava fatti della criminalità dei Paesi Bassi, venne ucciso perché in alcuni post aveva parlato male del boss Ridouan Taghi. Gli spararono nel 2015 ma sopravvisse, e un anno dopo fecero esplodere l’auto dove era appena salito.
Due anni dopo la redazione del giornale Panorama, ad Amsterdam, che aveva pubblicato un’inchiesta sul potere di Taghi, venne colpita da un razzo anticarro (non ci sono relazioni con l’omonimo settimanale italiano). L’anno successivo toccò alla redazione di De Telegraaf, contro cui venne scagliato un camion incendiato. Nel 2019 furono attribuite alla mocro maffia una serie di bombe piazzate ad Anversa. Sempre nel 2019 Taghi diede ordine di colpire le persone vicine a Nabil Bakkali, il primo pentito della mocro maffia.
L’uomo ammise con i giudici olandesi il suo coinvolgimento in alcuni omicidi dell’organizzazione ma soprattutto spiegò il funzionamento della struttura di comando del gruppo criminale. Dieci giorni dopo che Nabil Bakkali aveva reso la sua testimonianza, il fratello Riduan venne ucciso. Nel settembre 2019 toccò al suo avvocato Derk Wiersum, assassinato a colpi di pistola la mattina del 18 settembre 2019 mentre stava uscendo di casa assieme alla moglie. L’altro avvocato di Bakkali rinunciò all’incarico.
Uccidere e terrorizzare i collaboratori di giustizia o chiunque parli con la polizia è sempre stata un’ossessione di Taghi. Nel settembre del 2015 Ronald Bakker, titolare di un negozio specializzato nella vendita di microspie e telecamere, venne ucciso sulla porta di casa: secondo la mocro maffia era un confidente della polizia. Dalle intercettazione telefoniche emerse che Taghi aveva inizialmente pianificato un attacco in grande stile contro il suo negozio, con armi anticarro. Nel 2017 venne ucciso per errore Hakim Changachi: il sicario lo scambiò per Khalid “Imo” Hmidat, uno spacciatore che forniva informazioni alla polizia. Ad assassinare Changachi fu proprio Nabil Bakkali che a seguito di quell’episodio, convinto che Taghi e i suoi volessero ucciderlo, decise di costituirsi e collaborare con la magistratura.
Il 6 luglio scorso è stato ucciso un giornalista molto noto nei Paesi Bassi, Peter de Vries, 64 anni, ferito da cinque colpi di pistola all’uscita dalla sede della tv olandese Rtl. De Vries è morto nove giorni dopo l’agguato: in televisione, prima dell’attentato, aveva parlato della «grave situazione di Paesi Bassi e Belgio sequestrati dal narcotraffico maghrebino». De Vries, che si era occupato spesso di mocro maffia, era diventato da poco consulente dei nuovi legali di Nabil Bakkali. L’indagine è ancora in corso ma la polizia olandese sospetta che a ordinare l’omicidio sia stato Ridouan Taghi.
In questo contesto, è con lentezza e in un clima di tensione che prosegue, in un’aula bunker nel blindatissimo quartiere di Osdorp, il processo Marengo, il più grande mai svolto nei Paesi Bassi. Il sito in lingua italiana 31 Mag ha riportato le parole di Paul Vugts, giornalista esperto di mocro maffia del quotidiano Het Parool: «È chiaro che i Paesi Bassi non sono in grado di far fronte a Taghi e ai mega processi contro il suo gruppo». Ha scritto Roberto Saviano nell’articolo ripreso dal Corriere della Sera: «L’Italia avrebbe saputo gestire il processo Marengo, e l’Olanda avrebbe dovuto avere l’umiltà di chiedere aiuto a paesi con una più lunga esperienza di contrasto al crimine. Invece il processo contro il boss Ridouan Taghi procede a rilento, con risultati investigativi molto al di sotto di quelli che potevano essere ottenuti».