Quando pensammo che il pomodoro fosse velenoso
La diffusione di uno degli alimenti più popolari al mondo fu inizialmente ostacolata da equivoci e classificazioni controverse
Il pomodoro è uno degli alimenti vegetali più consumati al mondo: nel 2019 ne sono stati prodotti complessivamente 181 milioni di tonnellate, più di qualsiasi altro frutto. È coltivato in moltissimi paesi, dalla Cina all’Egitto agli Stati Uniti, ed è considerato un ingrediente essenziale in diverse cucine del mondo. Molti dei più conosciuti e apprezzati piatti tipici italiani e di altri paesi europei, senza pomodoro, semplicemente non esisterebbero.
Ma non è sempre stato così, e anzi all’epoca dell’introduzione del pomodoro in Europa la sua diffusione fu inizialmente ostacolata da una certa diffidenza. Oltre che essere scambiato per il frutto non commestibile di altre piante, il pomodoro fu erroneamente associato a piante tradizionalmente legate alla stregoneria e in seguito ritenuto responsabile di presunti avvelenamenti che una leggenda collega all’interazione del succo acido con i materiali delle stoviglie utilizzate tra le classi benestanti della popolazione e poi gradualmente finite in disuso.
Sebbene le origini storiche siano ancora oggetto di studi, si ritiene che la pianta del pomodoro provenga dal Sudamerica, probabilmente da una specie selvatica presente nel Perù settentrionale e nell’Ecuador meridionale, i cui pomodori hanno più o meno le dimensioni dei piselli. Altre specie – resistenti a climi abbastanza vari – crescevano spontaneamente in altre parti del Sudamerica occidentale e non erano state domesticate dagli abitanti di quella regione, quando i semi furono trasportati nella zona dell’attuale Messico meridionale.
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Furono i residenti precolombiani di quell’area dell’America centrale i primi a piantarli e coltivarli, selezionando via via i frutti più grandi e gustosi, e incrociando piante diverse per ottenere più varietà. I pomodori – che gli aztechi chiamavano xitomatl o tomatl, a seconda delle varietà – furono successivamente introdotti in America del Nord e in Europa, tra il XV e il XVI secolo, insieme a molte altre piante e spezie. Una delle prime varietà introdotte in Europa fu una pianta probabilmente trasportata dai conquistatori spagnoli guidati da Hernán Cortés e con frutti maturi di colore giallo, da cui il nome italiano “pomi d’oro”, riportato in un trattato del 1544 del medico e botanico Pietro Andrea Mattioli.
Alcune varietà di pomodoro furono consumate in Spagna come alimento già poco tempo dopo l’introduzione, mentre per altre varietà e in altri paesi, inclusa l’Italia, la diffusione fu più lenta. Come racconta il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini nel libro La scienza delle verdure, il pomodoro non assomigliava a nessun altro vegetale noto e utilizzato in cucina, sia per sapore che per consistenza: da acerbo era troppo acido e da maturo era molliccio e simile a un frutto andato a male. A queste difficoltà se ne aggiunsero altre legate al sospetto che i frutti di quelle piante non fossero commestibili.
Almeno inizialmente, alcune varietà trasportate dai conquistatori europei furono considerate soltanto piante da ornamento, e questo contribuì a rafforzare i dubbi di alcuni botanici che le scambiarono per piante di belladonna, una pianta a fiore del genere Atropa e della stessa famiglia dei pomodori (Solanaceae) ma le cui bacche sono velenose, nonostante l’aspetto invitante. Le somiglianze con piante pericolose note in Europa erano evidenti, e la provenienza di quelle nuove piante dall’America accresceva la diffidenza anche tra i botanici più esperti.
Lo stesso Mattioli, descrivendo il pomodoro nel suo trattato, paragonò la pianta a quella della mandragola, notoriamente tossica, rafforzando involontariamente alcuni pregiudizi. All’epoca sia la belladonna che la mandragola, parenti stretti del pomodoro, erano associate alla stregoneria, come raccontato in un articolo del sito Atlas Obscura. I botanici, che si rifacevano d’altronde a un sistema di catalogazione millenario risalente al medico greco Galeno di Pergamo e dominante fino al Rinascimento, cercarono di integrare quelle nuove importazioni nei sistemi in uso.
Nei frammenti degli scritti di Galeno erano peraltro presenti nomi di piante mai unanimemente attribuiti dai botanici a piante esistenti, condizione che favorì l’attitudine di quei botanici a utilizzare le nuove piante per completare le conoscenze consolidate. Uno di quei nomi, “lycopersion”, a cui il pomodoro fu associato inizialmente, era utilizzato da Galeno per descrivere una pianta velenosa dell’Egitto dal succo giallo, con un odore molto forte e un gambo simile a quello del sedano.
Ancora alla fine del Settecento, a causa di molte diffidenze e nonostante venisse già coltivato da tempo in diversi paesi, il pomodoro in Europa e specialmente in Inghilterra era considerato ornamentale e inadatto al consumo – o persino velenoso – da una parte considerevole della popolazione. Uno dei soprannomi inglesi con cui era conosciuto, poison apple (“mela velenosa”), era legato in particolare alla cattiva reputazione del pomodoro tra le classi aristocratiche che per prime avevano avuto l’opportunità e la possibilità di acquistare e maneggiare le piante trasportate in Europa dai conquistatori.
Ai pomodori fu associata una leggenda secondo cui alcune persone benestanti si ammalavano e morivano dopo averli mangiati. Come raccontato dallo Smithsonian Magazine, una possibile spiegazione di quei presunti avvelenamenti sarebbe da ricondurre al materiale all’epoca prezioso – il peltro, una lega di stagno e piombo – di cui erano fatti fin dal medioevo molti arredi da tavola e utensili di cucina nelle famiglie aristocratiche.
Secondo questa ipotesi, il contatto prolungato tra i pomodori e il peltro delle posate e dei contenitori in cui i pomodori venivano conservati, lasciati a maturare e infine serviti avrebbe favorito l’interazione tra i succhi molto acidi dell’alimento e il piombo, causando il progressivo indebolimento dei legami chimici del peltro e l’ingestione accidentale del materiale tossico. A rendere meno solida questa ipotesi, secondo Atlas Obscura, contribuisce il fatto che l’avvelenamento da piombo avrebbe comunque richiesto tempi troppo prolungati per permettere che la morte di una persona potesse essere univocamente attribuita all’ingestione di uno specifico alimento. L’utilizzo di stoviglie in peltro fu ad ogni modo progressivamente abbandonato, e oggi il piombo è pressoché assente nella produzione di materiali per utensili di cucina.
A rafforzare indirettamente le diffidenze contribuì inoltre in Inghilterra anche uno dei primi coltivatori di pomodori, il chirurgo e appassionato di giardinaggio John Gerard. In un suo popolare libro illustrato, stampato nel 1597 e basato in parte su altre pubblicazioni consultate frettolosamente, Gerard descrisse il pomodoro come il frutto di una pianta ornamentale velenosa, desumendo che anche le bacche lo fossero, sebbene lui stesso fosse a conoscenza del fatto che alcune varietà di pomodori fossero da molti consumate come alimento in diversi paesi del Mediterraneo.
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Le nozioni imprecise contenute nel testo di Gerard, racconta lo Smithsonian, ebbero per lungo tempo un’estesa influenza sia in Inghilterra che nelle colonie britanniche nordamericane, dove nelle zone con i climi più freschi i pomodori all’inizio dell’Ottocento erano ancora coltivati nei giardini quasi esclusivamente a scopo ornamentale.
Le diffidenze e la paura di mangiare un cibo forse velenoso furono infine progressivamente superate grazie anche alla crescente diffusione e alla popolarità di molte ricette – come il gazpacho o la pizza – provenienti dai paesi europei che prima e meglio degli altri avevano cominciato a utilizzare stabilmente il pomodoro in cucina e a valorizzarlo.