“Squid Game” non l’aveva prevista nessuno
La serie sudcoreana su un gioco di sopravvivenza è la più vista al mondo su Netflix, ma per anni nessuno aveva voluto produrla
Da un paio di settimane la serie sudcoreana Squid Game è probabilmente il contenuto in streaming più visto e discusso al mondo. Disponibile dal 17 settembre, la serie ci ha messo infatti davvero poco per diventare la più vista (secondo i dati forniti da Netflix stessa) in decine di paesi, e in molti continua a esserlo. «Sarà senz’altro la nostra serie non in inglese di maggior successo» ha detto di recente Ted Sarandos, co-amministratore delegato di Netflix «e ci sono buone possibilità che diventi la nostra più grande serie di sempre». Minyoung Kim, che si occupa delle “attività creative” di Netflix nell’area asiatico-pacifica, ha detto ancor più di recente che la serie «sta ancora crescendo» e che a Netflix non avevano mai visto «qualcosa crescere con questa velocità e in modo così aggressivo».
Nessuno, a Netflix, aveva infatti previsto che Squid Game sarebbe diventata così grande così in fretta: prova ne è il fatto che ancora non è disponibile con doppiaggio italiano. Anzi, Hwang Dong-hyuk – che ha pensato, scritto e diretto ognuno dei suoi nove episodi – ha passato quasi un decennio a trovare qualcuno disponibile a produrgliela.
Nei suoi primi minuti Squid Game mostra alcuni dettagli della vita di Seong Gi-hun, un uomo qualunque con una vita difficile, un evidente problema di ludopatia e molti debiti. Una serie di vicende portano Gi-hun a firmare una sorta di contratto di “rinuncia ai diritti fisici” sul suo stesso corpo e ad accettare di partecipare con altre 455 persone, anche loro schiacciate da debiti che non possono ripagare, a una serie di “giochi” inizialmente non meglio definiti.
I giochi, viene spiegato dopo circa mezz’ora del primo episodio, sono sei e per il vincitore finale è previsto un rilevante premio in denaro. Si capisce ben presto che saranno tutti una sorta di rielaborazione di popolari giochi da bambini. Alcuni popolari solo in Corea del Sud, altri anche altrove: il primo, per esempio, è “un, due, tre, stella”. I giocatori non sanno chi e perché ha organizzato il tutto, ma sono così disperati che scelgono di partecipare, e rinunciando a ogni loro diritto finiscono per accettare di obbedire a una serie di individui mascherati.
Il dettaglio più importante, palesato fin dal trailer della serie, è però che i giochi sono mortali: essere eliminati vuol dire morire. Spesso in modo parecchio cruento.
Hwang Dong-hyuk – il creatore, regista e sceneggiatore di Squid Game – ha 50 anni, non ha ancora una pagina italiana su Wikipedia, e il suo primo film dopo una serie di cortometraggi fu il drammatico My Father, seguito nel 2013 da Dogani (su una vera storia di abusi sessuali in una scuola per sordi), nel 2014 dalla commedia musicale Miss Granny e nel 2017 dal film storico The Fortress. Tre film apprezzati e di successo: soprattutto Miss Granny, di cui sono state realizzati molti adattamenti esteri.
Già dal 2008, però, Hwang aveva iniziato a lavorare alla sceneggiatura di quello che poi è diventato Squid Game. Ha raccontato che l’idea gli venne mentre viveva con la madre e la nonna, e che a un certo punto dovette interrompere la scrittura perché non avendo soldi decise di vendere per poco più di 500 euro il suo computer portatile.
Una volta che la sceneggiatura fu terminata, e mentre nel frattempo Hwang era diventato un regista conosciuto e di buon successo, passarono anni senza che nessuno volesse produrre quella storia, che all’inizio era stata pensata per essere un film. La storia era infatti ritenuta eccessiva, grottesca, implausibile e troppo violenta.
Hwang, invece, ha raccontato a Variety che la riteneva «un’allegoria sulla società capitalistica moderna», però «nella forma di un gioco di sopravvivenza», con «giochi di semplicità estrema, facili da capire, che permettano agli spettatori di concentrarsi sui personaggi senza essere distratti dalle regole». Solo per scrivere i primi due episodi gli ci vollero sei mesi, ha detto.
È facile, guardando Squid Game, farsi venire in mente i film certi film o videogiochi di lotta uno contro l’altro per la sopravvivenza, per esempio Hunger Games o tutti i videogiochi che si basano sulle premesse della modalità nota come “Battle Royale” (il cui nome deriva da un film giapponese del 2000, a sua volta tratto da un libro).
A questo proposito, Hwang ci tiene comunque a sottolineare che ebbe la sua idea prima che arrivassero i film di Hunger Games e anche prima che nel 2014 uscisse il film giapponese As the Gods Will, che tra le altre cose inizia con una partita mortale a un gioco molto simile a “un, due, tre, stella”. Ammette però di aver tratto «grande ispirazione dai fumetti e dall’animazione giapponese» e di aver pensato come si sarebbe sentito se a giocare a uno di quei giochi mortali fosse stato lui o qualcuno come lui.
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Netflix decise di puntare sulla serie nel 2019, come parte di una strategia di estesi investimenti nelle produzioni in lingue diverse dall’inglese. In Corea del Sud, per esempio, Netflix ha investito solo quest’anno circa mezzo miliardo di dollari (una parte non indifferente dei 17 miliardi di suoi investimenti per le sue produzioni mondiali).
Come ha scritto il Wall Street Journal, dopo l’arrivo di Netflix e nell’idea che la serie sarebbe stata vista anche fuori dalla Corea del Sud, si scelse di accentuare certe caratteristiche visive ed estetiche della serie e di semplificare ancora di più le regole di certi giochi. In generale, però, sembra che la sceneggiatura di Hwang non abbia subito drastici cambiamenti. E come ha raccontato Vulture, Netflix si aspettava che la serie potesse andare bene, anche molto bene, in Corea del Sud e che magari potesse avere risultati soddisfacenti anche altrove.
Di certo, però, non si aspettava che potesse diventare la sua serie più vista di sempre. Invece, come detto da Sarandos, ci sono buone possibilità che succeda. Anche senza questo traguardo, ci sono comunque diversi parametri ed esempi per misurare il successo globale della serie: uno sono i 14 miliardi di brevi video con hashtag #SquidGame presenti su TikTok, un altro il fatto che già esiste, grazie a Roblox, una sorta di versione videoludica della serie. Un altro ancora, con ogni probabilità, si vedrà a fine mese, quando ad Halloween i costumi legati alla serie potrebbero essere piuttosto diffusi.
Dal punto di vista di Netflix, un successo di questo tipo è quanto di meglio potesse capitare. Perché si inserisce nella scia di altri successi globali di produzioni locali e lontane da Hollywood (come per esempio La casa di carta, Lupin e Dark), perché è qualcosa di nuovo, che non trae spunto (perlomeno non direttamente, non a livello di diritti d’autore e proprietà intellettuali) da qualcosa di precedente. A suo modo, Squid Game crea un nuovo contesto narrativo, che si può aprire a più di un seguito (anche se al momento non ci sono conferme ufficiali su una possibile seconda serie).
In questo senso, Squid Game – con il suo successo grande, improvviso e imprevisto – è un tipo di contenuto che ogni piattaforma di streaming vorrebbe, ma che fin qui solo Netflix sta riuscendo a produrre. E che tra l’altro sta anche ricevendo critiche generalmente positive. Variety, per esempio, ne ha scritto: «è sia universale che tipicamente coreana, è ben scritta, ben impacchettata e capace di creare la giusta empatia verso il suo protagonista».
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