La “miniera d’oro” su cui è seduta Trieste
I candidati sindaco hanno idee diverse sulla riqualificazione dell'enorme Porto Vecchio, ma tutte devono fare i conti col fatto che la città si sta svuotando
Osservando il mare da piazza Unità d’Italia a Trieste, a sinistra si intravede il Porto Nuovo, il primo in Italia per flusso di merci, e a destra il Porto Vecchio, un’area enorme andata via via in disuso e da anni al centro di molte idee di riqualificazione, in una città piuttosto piccola che in cinquant’anni ha perso oltre 70 mila abitanti, e in cui ci sono circa 12 mila appartamenti sfitti.
Cosa fare del Porto Vecchio è uno dei grandi temi della campagna elettorale in vista delle prossime amministrative del 3 e 4 ottobre. I due principali candidati, Francesco Russo del centrosinistra e il sindaco uscente Roberto Dipiazza, sostenuto dal centrodestra, hanno idee molto diverse in proposito: un progetto complessivo e unitario da una parte, e un approccio che è stato definito “spezzatino” – ossia fare una cosa alla volta – dall’altra.
Il Porto Vecchio sembra ricordare alla città la sua funzione commerciale e imprenditoriale dell’Ottocento e del primo Novecento. Fu costruito per volontà dell’Impero Austro-ungarico tra il 1868 e il 1887 e copre un’area di circa 617 mila metri quadrati, poco meno del porto di Genova e di quello di Amburgo, e più del doppio di quello di Marsiglia. Si sviluppa in un susseguirsi di grandi volumi edilizi, originariamente adibiti a magazzino o deposito.
Il Porto Vecchio comprende cinque moli, più di 3 mila metri di banchine, ventitré grandi edifici tra hangar, magazzini e altre strutture che sono disposti su tre assi paralleli e che sono racchiusi a nord dalla ferrovia e dal Viale Miramare. Con l’avvento di nuove modalità di trasporto delle merci, l’area diventò sempre meno adatta a rispondere alla nuove esigenze. Una volta persa la sua originaria funzione è stata, nel corso degli anni, abbandonata.
Oggi, il Porto Vecchio è del comune di Trieste. Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità portuale, racconta che dal 1 gennaio 2017 si è attuata la sdemanializzazione: «Prima, l’intera area era del demanio marittimo, quindi era di proprietà dello stato e in gestione all’Autorità portuale». Dopodiché, la maggior parte del Porto Vecchio è passata ad essere proprietà del comune, grazie a un emendamento inserito nella legge di stabilità del 2015 di Francesco Russo, allora senatore triestino del PD. Al governo c’era Matteo Renzi, alla presidenza della Regione Debora Serracchiani e il sindaco della città era Roberto Cosolini, che aveva vinto le primarie del centrosinistra.
Dopodiché, Cosolini lasciò il posto al nuovo sindaco Roberto Dipiazza, che oggi si ricandida sostenuto in modo compatto dal centrodestra, e Serracchiani fu sostituita in regione dal leghista Massimiliano Fedriga. A loro è dunque passata la responsabilità di gestire e coordinare lo sviluppo dell’area sdemanializzata. Da qualche mese è stato costituito anche un consorzio formato dai rappresentanti di Comune, Regione e Autorità portuale, proprio «per trasferire lo sviluppo, la visione e la pianificazione di quell’area, che di fatto non è un porto, ma è una parte della città, da un ente statale a un ente locale», conclude D’Agostino. La domanda, da quel punto in poi, è stata cosa farne.
Fino ad ora, all’interno del Porto Vecchio, e quando erano ancora proprietà del demanio, sono stati restaurati la centrale idrodinamica e la sottostazione elettrica di conversione ad essa collegata, che sono diventate dei musei di loro stesse. Dopo la sdemanializzazione, sono stati rifatti l’ingresso del Porto, un centro congressi inaugurato lo scorso anno ai Magazzini 27 e 28, ed è stata recuperata parte del Magazzino 26, il più grande di tutti quelli presenti nell’area. Secondo il sito del comune, il progetto di restauro «lo ha reso una location adatta per convention, serate di gala, sfilate di moda, concerti, produzioni televisive, eventi fieristici, spot pubblicitari, mostre d’arte» e in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia fu scelto da Vittorio Sgarbi per ospitare il Padiglione Friuli Venezia Giulia della 54a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.
Il sindaco uscente Dipiazza, ex consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia e già sindaco di Trieste per due volte, dal 2001 al 2011, si presenta ora per un quarto mandato. Negli ultimi sondaggi di qualche settimana fa risultava in vantaggio e forse vicino alla vittoria anche al primo turno. Nel sito creato per la campagna elettorale ha dedicato al Porto Vecchio non un paragrafo del programma, ma un’intera sezione.
Per una parte dei restauri già realizzati, spiega Dipiazza al Post, sono stati usati i 50 milioni di euro stanziati dal governo Renzi, e altri ancora sono stati assegnati dal Recovery Fund. Nel frattempo, è stata presentata, e proprio a ridosso delle amministrative, una delle opere su cui l’attuale amministrazione ha puntato di più: consiste nel creare un polo museale al Magazzino 26 con un belvedere sul golfo, terrazze e ristoranti. La progettazione è stata assegnata dopo una gara all’architetto di Siviglia Guillermo Consuegra e «le buste per la realizzazione dei lavori, che costeranno 33 milioni di euro, saranno aperte il 5 ottobre», dice Dipiazza.
Il sindaco elenca anche alcuni altri singoli progetti in cantiere per il Porto Vecchio: quello per portare la viabilità all’interno dell’area e per collegarla alla città («sono già in gara 10 milioni di euro»), quello per fare anche un’area residenziale, e quello per costruire una grande piscina terapeutica, in sostituzione di una in centro che dal 2019 non è più utilizzabile, dopo il crollo dell’intero tetto. Ed è stata presentata, racconta il sindaco, una proposta progettuale per gli spazi aperti del Porto Vecchio dall’architetto e paesaggista tedesco Andreas Kipar: si tratta di un “bosco urbano”, che prevede tetti ricoperti d’erba, una terrazza sul mare, piste ciclabili, una cabinovia e un treno turistico. Fedriga ha infine detto di voler spostare nel Porto Vecchio tutte le sedi triestine dell’amministrazione regionale, tranne quelle presenti in piazza dell’Unità d’Italia.
«I magazzini sono già costruiti, sono molto grandi e sono vincolati, ma è difficile pensare di non dividerli in sezioni per dare modo a diverse aziende di insediarsi», dice Dipiazza. «Non serve un masterplan, serve solo riempirli», e si devono valutare «caso per caso» tutte le offerte dei privati che stanno arrivando, e che sono molte, dice. Uno “spezzatino”, secondo il candidato sindaco del centrosinistra Francesco Russo, che è anche vicepresidente del consiglio regionale e che è considerato molto vicino al segretario del PD Enrico Letta: per lui il Porto Vecchio è «la miniera d’oro su cui è seduta Trieste».
Secondo Russo il progetto legato al Porto Vecchio è l’iniziativa più importante per lo sviluppo di Trieste. «L’operazione nasce grazie a un mio emendamento» dice, «ma in sette anni non è successo praticamente nulla». Secondo Russo l’attuale amministrazione ha fatto solo «una rotonda, un parcheggio e un centro congressi grazie a una cordata di privati, ma che è una grande incompiuta: non ci sono nemmeno le seggiole».
Russo critica Dipiazza per aver pensato «di poter risolvere le cose facendo un magazzino qua e uno là», invece di progettare la riqualificazione «all’interno di un’ottica complessiva, di una visione strategica per la città» che prevedesse adeguate analisi di fattibilità, costi e benefici, e coinvolgendo i cittadini. Anche gli investitori «che si sono presentati in questi ultimi anni e che si sono detti disponibili a portare quasi 2 miliardi di investimenti», dice Russo al Post, «vogliono poter ragionare su tutto il territorio e su una infrastrutturazione complessiva».
Russo è molto severo nel giudizio su Dipiazza: «Guarda al passato, ha una gestione molto provinciale» e anche il consorzio che si è da poco costituito per coordinare gli interventi al Porto Vecchio «oggi ha come unico organismo tre funzionari di regione, comune e Autorità portuale, tutte persone che hanno altro da fare, che non hanno nemmeno le risorse per acquisire competenze».
L’idea di Russo è che il Porto Vecchio diventi un insediamento equilibrato «di residenzialità, commercio, strutture ricettive, attività direzionali e di servizio»: una «calamita», dice, in grado di attrarre persone e «cose che ora a Trieste non ci sono: Trieste ha tra l’altro bisogno di far arrivare almeno 20 mila persone, per invertire il trend demografico negativo».
Il futuro del Porto Vecchio si collega inevitabilmente a un’altra questione centrale per la politica triestina: quella del calo demografico. La popolazione in Friuli Venezia Giulia continua a scendere, ed è attualmente sotto la quota di un milione e 200 mila abitanti. Trieste è a sua volta vicinissima a scendere sotto la soglia dei 200 mila abitanti, dopo averne persi oltre 70 mila negli ultimi 50 anni. I giornali locali scrivono che questo primato negativo è il risultato «di una perpetua emigrazione verso l’estero, dell’assenza di lavoro e del crollo delle nascite». Qualche giorno fa, il segretario della Lega Matteo Salvini ha partecipato a un breve comizio in sostegno di Dipiazza a Trieste, e ha dichiarato che la città «è giovane, dinamica». Trieste risulta in realtà tra le città più vecchie d’Italia secondo gli ultimi dati dell’ISTAT, e ci sono circa 13mila appartamenti sfitti e 1.800 negozi vuoti.
Giovanni Damiani, architetto che ha partecipato al restauro di due edifici nel Porto Vecchio, spiega che pur essendo convinto dell’opportunità e della bellezza dell’area, si deve partire dal dato che Trieste, di fatto, «non ha bisogno di nuovi spazi». «C’è questa enorme infrastruttura, lunga più o meno come gli Champs-Élysées che è troppo grande per essere qualcos’altro e che è sovradimensionata rispetto all’esistente e alle esigenze reali». Negli anni Settanta Trieste sviluppò le periferie dalla parte opposta rispetto a quella del Porto Vecchio, e secondo Damiani non ha bisogno di nuovi edifici. «Questo non deve essere incentivo a non fare, ci mancherebbe, ma è un dato fondamentale che deve essere alla base di ogni analisi».
I principali problemi che Damiani individua sul futuro del Porto Vecchio sono due: il primo è che le case a Trieste costano relativamente poco, circa 3 mila euro al metro quadrato in centro: «si può di conseguenza comprare un appartamento in un edificio di pregio, a un prezzo ancora sostenibile». Per questo ritiene poco efficace ragionare su progetti che prevedano la costruzione di residenze con la conseguente previsione che migliaia di persone arrivino o si spostino al Porto: «Il primo problema è dunque: chi ci va a stare? Visto che non c’è domanda, ogni idea passa per il fatto che venga gente da fuori».
C’è una seconda questione, dice: «Gli edifici del Porto Vecchio sono bellissimi, ma sono “sbagliati”: non sono cioè nati per essere trasformati in case. Sono larghissimi, ne risulterebbero case deboli, difficili da fare, con un solo affaccio, ci sono delle importanti questioni tipologiche che vanno considerate entrando nel merito delle cose».
Damiani ha una sua idea, che propone come provocazione: dice che occorrerebbe innanzitutto «smettere di dire che il Porto Vecchio è una miniera d’oro pronta» e che si cambi radicalmente l’idea dietro alla riqualificazione. Cedendo l’occupazione degli edifici a titolo gratuito, a imprese e organizzazioni in grado di creare sviluppo: «non in cambio di soldi, ma di servizi per la città, servizi di cui ci sarebbe bisogno. Credo davvero che ragionare in questo modo potrebbe attrarre soggetti importanti capaci di impegnarsi su grandi sfide».
Dipiazza è invece positivo sul futuro del Porto Vecchio: in una sorta di citazione del leader del partito a cui era iscritto, Forza Italia, dice che «le agenzie immobiliari stanno impazzendo in positivo perché stanno vendendo moltissimo» e che «c’è un sacco di gente che sta arrivando in città». Ipotizza che «succederà come ai tempi di Maria Teresa d’Austria che quella volta ha portato la città da 30 mila a 270 mila abitanti: il porto sta tirando, sono arrivati 400 milioni di euro dal Recovery Plan, il Porto Vecchio è una grande opportunità, per cui ci sarà arrivo di nuova gente, non nata qua. Ripeto: le agenzie immobiliari stanno vendendo moltissimo».