Capire la nomina della prima donna a capo di un governo in Tunisia
Najla Bouden Romdhane è stata scelta dal presidente per essere la nuova prima ministra, ma ci sono molti ma
Mercoledì Kais Saied, presidente della Tunisia dal 2019, ha dato l’incarico di formare un nuovo governo alla docente universitaria Najla Bouden Romdhane, che diventerà quasi certamente la prima donna a capo del governo nella storia della Tunisia e la prima in assoluto nel mondo arabo. Nonostante formalmente si parli della fase iniziale della nascita di un governo – quella dell’incarico – nei fatti la decisione di Saied sembra definitiva. In Tunisia, infatti, da alcuni mesi il parlamento è sospeso e da qualche giorno lo è pure la Costituzione, per volontà del presidente: non ci sarà quindi nessun voto di fiducia di fronte alle Camere, ma solo la conferma della nomina da parte di Saied.
Per questo l’importanza della nomina di Romdhane, pur rimanendo una notizia rilevante, deve essere ridimensionata: i poteri della nuova prima ministra saranno contenuti e molto limitati dal crescente autoritarismo del presidente.
La stessa nomina sembra più una manovra di Saied per riprendersi un po’ di legittimità internazionale dopo gli ultimi mesi di caos. Il primo obiettivo del presidente è quello di riavviare il dialogo con il Fondo monetario internazionale (FMI) per ottenere un prestito da 4 miliardi dollari. La richiesta era stata fatta lo scorso maggio, ma le trattative si erano interrotte a luglio dopo la sospensione del parlamento, anche perché per continuare avrebbero dovuto essere accompagnate da una serie di riforme mai attuate dal governo tunisino.
Romdhane, che ha 63 anni come Saied, non ha grandi esperienze politiche: è un’ingegnera specializzata in geofisica e ha un dottorato ottenuto a Parigi in ingegneria sismica. Fino alla nomina da parte di Saied era a capo di un progetto di riforma dell’istruzione superiore presso il ministero dell’Istruzione.
L’incarico dato a Romdhane non è stato accolto in modo unanime in Tunisia: è stato contestato per esempio da tutti i partiti del parlamento, non tanto per la scelta di una donna (in generale apprezzata), quanto per la situazione politica in cui è avvenuta.
Il partito Ennahda – islamista moderato, che ha dominato la scena politica tunisina negli ultimi dieci anni e che ha la maggioranza dei seggi in parlamento – è stato il più critico. Rached Ghannouchi, leader del partito e presidente del parlamento, ha dichiarato la nomina di Romdhane «illegittima» e ha chiesto a tutti gli altri partiti e ai cittadini di unirsi per opporsi a Saied e difendere i valori della Repubblica e della democrazia.
Sono arrivate anche altre critiche per la scelta di Saied. Alcuni, come il politologo tunisino Slaheddine Jourchi, si sono detti molto preoccupati per la scarsa esperienza politica della futura prima ministra: «Se guardiamo il curriculum di questa signora, che è una geologa senza altre specializzazioni o esperienza in ruoli delicati, non so se sia in grado di affrontare i problemi enormi e complessi del paese», ha detto all’agenzia AFP. Jourchi ha aggiunto di credere che Saied, evitando di dare l’incarico di primo ministro a un politico di professione, ha voluto evitare di avere rivali che possano mettere in discussione le sue future decisioni.
Fida Hamammi, attivista e ricercatrice tunisina che coordina nel Nordafrica e nel Medio Oriente la Lega internazionale delle donne per la pace e per la libertà, ha scritto su Twitter che non c’è nulla da festeggiare e che il caso di Romdhane dimostra come una donna possa diventare prima ministra solo quando questo ruolo «è svuotato completamente di qualsiasi potere, quando si limita a essere un volto e un’esecutrice di ordini dati da un uomo».
Ci sono state però anche reazioni molto positive all’incarico dato a Romdhane: l’Associazione tunisina per le donne democratiche, associazione femminista attiva dal 1989, ha accolto con favore la decisione del presidente, e lo stesso hanno fatto diversi politici tunisini. Tutti hanno però specificato che la nuova prima ministra sarà considerata legittima solo se il parlamento potrà tornare a riunirsi e votarle la fiducia.
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Da mesi in Tunisia è in corso la più grave crisi politica dalla rivoluzione del 2011, che diede inizio alla cosiddetta Primavera araba.
A fine luglio Saied aveva rimosso il primo ministro, il terzo nel giro di un anno, aveva sospeso i lavori del parlamento e l’immunità per i parlamentari. Le misure erano state giudicate un “colpo di stato” dai suoi oppositori. Lo scorso 22 settembre aveva firmato un decreto d’emergenza (il numero 117) che da allora gli ha permesso di governare per decreto, ignorando i limiti imposti dalla Costituzione e senza dover passare per il parlamento.
Nei suoi anni di presidenza, Saied aveva più volte manifestato la sua intenzione di cambiare radicalmente la struttura della democrazia tunisina: in particolare aveva detto di voler modificare la Costituzione entrata in vigore nel 2014 a seguito della Primavera araba, che in Tunisia aveva portato alla destituzione dell’allora presidente Ben Ali dopo 23 anni al potere.
Nel corso dell’ultimo anno, Saied aveva detto apertamente che la Tunisia aveva bisogno di una riforma costituzionale che desse più poteri al presidente e li togliesse al parlamento, accusato di essere eccessivamente frammentato e di non riuscire a portare a termine le riforme necessarie per il paese. Aveva inoltre rivendicato il controllo diretto dell’esercito e delle forze di sicurezza, quindi anche delle agenzie d’intelligence.
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