Una strada che racconta Milano
Si chiama via Ripamonti, è la più lunga della città e percorrendola da nord a sud si incrociano i temi della campagna elettorale
di Luca Misculin
A Milano c’è una strada che parte dal centro e finisce al confine meridionale della città. Si chiama via Ripamonti e attraversa quartieri molto diversi fra loro e alcuni dei cantieri della città su cui ci sono più aspettative, fra cui il villaggio olimpico delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026. Ma percorrendo via Ripamonti dall’inizio alla fine – 6,5 chilometri: è la più lunga della città – si incrociano alcuni dei temi più grossi che Milano sta affrontando e affronterà nei prossimi anni, e che negli ultimi giorni sono al centro della campagna elettorale per le imminenti elezioni comunali del 3 e 4 ottobre.
Via Ripamonti inizia al confine dell’Area C, la zona a traffico limitato che racchiude le vie più centrali di Milano. Fino a due secoli fa in questo punto sorgeva uno dei principali punti di ingresso alla città, Porta Vigentina, oggi scomparsa. I palazzi in stile Liberty che si vedono a destra e a sinistra, scendendo verso sud, ospitano negozi curati al pianterreno, e facciate opportunamente stuccate ai piani più alti. Il panorama non cambia fino quasi all’incrocio con la cosiddetta circonvallazione, che per i milanesi segna il confine fra il centro vero e proprio e il resto della città. Dal pavè, la caratteristica pavimentazione a cubetti in pietra, si passa a una lunga colata di asfalto.
Le differenze fra centro e periferia sono da tempo uno dei temi più frequentati nelle campagne elettorali di Milano. Nel 2016 il sindaco uscente Beppe Sala, sostenuto dal centrosinistra, si era detto «ossessionato» dal divario socio-economico sempre più ampio fra il centro e il resto di Milano, un problema comune a moltissime città europee. La sua giunta ha avviato progetti di riqualificazione in alcune zone periferiche, come per esempio l’ex quartiere popolare del Giambellino, ma non ha avuto risorse, tempo e volontà politica per intervenire ovunque.
Il centrodestra lo sa bene e sta cercando da tempo di battere su questo tasto, facendo leva sulle tensioni etniche e gli episodi di microcriminalità nei quartieri più problematici. «Dobbiamo andare nelle periferie e ascoltare le persone. Costruire una città migliore, bella da vivere e da vedere, dove c’è sicurezza», ha detto il candidato sindaco del centrodestra, il pediatra Luca Bernardo, nel giorno della sua presentazione: «Oggi c’è gente che dorme in macchina, anziani che hanno paura di uscire di casa».
Le zone a cui si riferisce Bernardo non sono esattamente quelle a ridosso della circonvallazione, che invece vivono un grande fermento che caratterizza anche via Ripamonti, la quale superata la circonvallazione prosegue su un cavalcavia che passa sopra un’enorme distesa di binari, ruspe ed erbacce.
È il vecchio scalo ferroviario di Porta Romana, che nei prossimi anni insieme ad altre sei vecchie stazioni a ridosso del centro verrà completamente ricostruito in quello che è stato definito uno dei più grandi interventi di riqualificazione urbana in Europa: in tutto riguarderà una superficie di un milione e 250mila metri quadrati, cioè quanto 170 campi da calcio.
Lo scalo di Porta Romana, in particolare, ospiterà il villaggio olimpico delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026, oltre a un enorme parco, centri commerciali e una rinnovata stazione della ferrovia suburbana. Al momento però non c’è traccia di tutto questo: Ferrovie ha iniziato i lavori preliminari per la futura bonifica, e il Comune conta di terminare il progetto appena in tempo per le Olimpiadi. Negli altri scali le scadenze sono ancora più dilatate: al momento si parla di riqualificarli tutti e sette entro il 2030. Nel suo programma, Bernardo accusa Sala di non avere avviato ancora «nessun cantiere», mentre dal centrosinistra spiegano che per progetti del genere ci vuole tempo.
Una volta concluse le Olimpiadi, il villaggio olimpico dovrebbe diventare un alloggio studentesco da 700 posti, pensato soprattutto per la vicinanza con le sedi dell’università Statale e quella della Bocconi. Altri 700 posti saranno ricavati dall’ex mercato agricolo, sempre nei pressi dello scalo di Porta Romana, che si affaccia proprio su via Ripamonti. La sensazione, però, è che Milano si sia accorta soltanto di recente di essere diventata una città universitaria, la seconda in Italia per numero di atenei dopo Roma.
Sul tema degli alloggi per studenti la giunta Sala si è attivata, ed entro il 2026 dovrebbe mettere a disposizione 5mila nuovi posti, oltre ai circa 12mila di oggi. Numeri modesti, se si pensa che secondo l’ISTAT nel 2016 Milano contava 109mila studenti fuorisede, più che in ogni altra città italiana, e che nelle principali università di paesi come il Regno Unito e la Danimarca gli studentati ospitano in media uno studente su quattro, fuorisede e non fuorisede.
Oggi che gli studentati di via Ripamonti e dello scalo di Porta Romana non esistono ancora, per la maggioranza degli studenti è impossibile permettersi di vivere in questa zona, nonostante i prezzi degli affitti siano calati a causa della pandemia. Secondo le stime di Immobiliare.it, nei quartieri che si sviluppano intorno a via Ripamonti fino al confine comunale un trilocale di media grandezza (80 metri quadri) per due persone costa circa 1.300 euro al mese, escluse le spese condominiali e le bollette.
Non è un problema che riguarda solo via Ripamonti, né soltanto gli studenti universitari. Acquistare lo stesso trilocale dell’esempio di prima costerebbe circa 320mila euro, ma per i prezzi di Milano sarebbe quasi un affare. Mentre i quartieri centrali sono inaccessibili ai più praticamente da sempre, negli ultimi anni sono molto aumentati i prezzi di diversi quartieri nella fascia appena fuori dal centro, proprio come via Ripamonti.
Secondo un’analisi di Immobiliare.it per il Post, «analizzando l’aumento dei prezzi nel quinquennio 2015-2020, le aree in cui si sono registrate le rivalutazioni più forti non sono solo quelle centrali, ma quelle oggetto di importanti interventi, progetti e iniziative di riqualificazione. Al primo posto Istria, seguita dalla zona di Isola, insieme a quelle di Centrale-Repubblica e di Pasteur-Rovereto (Nolo), hanno visto aumentare di oltre il 40 per cento i valori immobiliari in cinque anni». Anche in Ripamonti, di conseguenza, i prezzi sono destinati ad aumentare una volta conclusi tutti i progetti di riqualificazione in ballo.
Anche su questo tema la giunta di Sala rivendica di avere aumentato la quota di costruzioni a prezzo calmierato rispetto alle amministrazioni precedenti, ma anche a causa dei tempi dilatati per i nuovi cantieri gli addetti ai lavori ritengono che i prezzi rimarranno alti almeno fino alle Olimpiadi.
Una volta superato il cavalcavia dello scalo di Porta Romana, e proseguendo verso sud, si incrocia un altro cantiere, a fianco del supermercato Esselunga. Ospiterà lo Smart City Lab, un edificio di 1.000 metri quadri che nelle intenzioni del Comune e del ministero dello Sviluppo Economico sarà la sede di un incubatore di start up che si occupano di sviluppo della città digitale. Il Comune ha appena chiuso un bando esplorativo per aziende interessate a gestire il nuovo edificio. Ci vorrà ancora qualche anno per vederlo attivo e popolato.
Nel frattempo, come in molte altre zone della città, la pandemia ha spazzato via decine di negozi storici di quartiere. A pochi metri dal cantiere dello Smart City Lab, prima dell’estate ha chiuso lo storico Ripamonti Gomme, un gommista il cui anziano proprietario si poteva trovare ogni giorno davanti al negozio, in qualsiasi condizione meteo. Dopo l’estate ha chiuso invece uno dei pochi parrucchieri per donne in via Rutilia, la prima traversa sulla destra dopo Ripamonti Gomme. La chiusura è stata annunciata da un giorno all’altro con un laconico foglietto accanto alla serranda.
Secondo una stima di Movimprese su dati della Camera di Commercio, dalla fine del 2019 alla fine del 2020 nella provincia di Milano hanno chiuso 579 negozi, praticamente uno su 100. Non esistono dati più aggiornati. La giunta Sala ha provato a mettere una pezza liberalizzando l’occupazione di pezzi di marciapiede da parte di bar e ristoranti, fra i più colpiti dalla crisi; il centrodestra ribatte che le misure non sono state sufficienti e ha promesso un ulteriore dimezzamento della TARI anche nel 2022 per tutte le attività danneggiate, oltre a diverse altre agevolazioni fiscali.
Ma il vero tema di questa campagna elettorale sono state, forse un po’ a sorpresa, le piste ciclabili. Durante la pandemia la giunta Sala ne ha create un po’ in tutta la città, seguendo il modello della cosiddetta “urbanistica tattica”: cioè delimitando con la vernice colorata parte della carreggiata alle biciclette. Da mesi il centrodestra si è schierato contro le ciclabili realizzate negli ultimi mesi, sostenendo senza molte prove che siano rischiose e controproducenti per la sostenibilità ambientale: nel programma di Bernardo è prevista la cancellazione delle due più controverse, realizzate in corso Buenos Aires e viale Monza (e osteggiate soprattutto dai commercianti).
Ma il vero problema delle ciclabili, a sentire gli esperti, è che ce ne sono ancora troppo poche e scarsamente inserite in un sistema che favorisca pedoni e biciclette.
In linea teorica spostarsi in bici a Milano sarebbe facile, dato che la città è pianeggiante e non particolarmente ampia: ma è reso assai complicato dalla presenza di molte strade centrali piastrellate con il pavè, dalle onnipresenti rotaie del tram, e soprattutto da strade intasate di automobili. A Milano ce n’è più o meno una ogni due abitanti, mentre Sala in un recente incontro con alcune associazioni di ciclisti ha indicato una media di 4 ogni 10 «per le più virtuose città europee, che vogliamo imitare».
Oltre alle nuove piste ciclabili la giunta Sala, soprattutto negli ultimi due anni, ha cercato di scoraggiare sempre di più l’uso dell’auto, ha creato nuove zone 30, in cui le auto possono circolare a una velocità massima di 30 chilometri all’ora, e pedonalizzato varie piazze col progetto Piazze Aperte, anche questo portato avanti attraverso l’urbanistica tattica.
Ma via Ripamonti ha un problema diverso: è un buco nero delle piste ciclabili. Come molte altre lunghe vie storiche che vanno dal centro in periferia, sono attraversate da un tram e sono importanti da secoli – tradotto: non si possono allargare –, pedalare in via Ripamonti è piuttosto pericoloso. Secondo Matteo Dondé, architetto e fra i principali esperti di piste ciclabili in Italia, nel prossimo mandato l’amministrazione Sala dovrebbe prendere più coraggio e istituire lunghe zone 30 in vie come Ripamonti, «spostando il traffico in una strada parallela come via Ferrari, cosa che permetterebbe di destinare la via principalmente alle biciclette e al trasporto pubblico. All’inizio si congestionerebbe di più, ma col tempo le persone apprezzeranno e si abitueranno alla nuova realtà».
«Ci vogliono piste sicure e realizzate in accordo con residenti e commercianti», ha detto di recente Bernardo in un’intervista al Corriere della Sera. Non è una frase a caso: da settimane il centrodestra sta cercando di intercettare sia il voto dei negozianti delle principali vie commerciali – i più contrari alle piste ciclabili, perché convinti che scoraggino i clienti che arrivano in auto – sia delle persone moderatamente scettiche sulle piste ciclabili realizzate con la vernice, che invece sono molte di più.
L’opposizione alle biciclette e alle piste ciclabili è diventata a tal punto un simbolo del centrodestra che per settimane in Corso Buenos Aires è stato appeso un manifesto di Forza Italia contro le piste realizzate dalla giunta Sala. E proprio nelle liste di Forza Italia si sono presentati i membri di MuoverMi, un movimento pro automobili.
Nei mesi precedenti alla campagna elettorale il tema delle ciclabili era diventato talmente dibattuto che in vari punti della città, fra cui via Ripamonti, erano spuntate misteriose scritte sui muri contro i membri della giunta Sala più coinvolti nella realizzazione delle ciclabili dai toni aggressivamente pro automobili. Le scritte erano firmate R.M.V., una sigla che non dice nulla nemmeno agli esperti dell’estrema destra milanese.
Torniamo in via Ripamonti. Proseguendo ancora più a sud si costeggiano complessi residenziali, negozi e fermate del tram ben tenute. Ma se ci si addentra a sinistra in via Gallura, si entra in uno dei quartieri più problematici della zona, quello che si sviluppa in Largo Caccia Dominioni. Composto quasi soltanto da case popolari tozze e squadrate costruite negli anni Cinquanta, una leggenda metropolitana racconta che a un certo punto ci visse anche la famiglia Berlusconi.
Nel 2010 il quartiere finì per settimane sulle cronache locali perché un tassista, Luca Massari, venne linciato e ucciso per aver investito un cane che aveva attraversato la strada. La proprietaria del cane, Stefania Citterio, apparteneva a una famiglia molto potente nel quartiere.
In un articolo pubblicato nel suo blog sul Post nel 2012, Stefano Nazzi raccontò che al processo per l’omicidio di Massari «furono convocati 17 testimoni. Se ne sono presentati quattro, in 13 hanno inviato certificati a giustificare l’assenza. Ha detto un testimone: “Se il quartiere mi indica come un collaborante, me la paga lei la macchina che potrebbero bruciarmi?”». Oggi il quartiere si presenta meglio – in quattro palazzine sono in corso lavori di restauro delle facciate – e da allora non ha più fatto parlare particolarmente di sé nella cronaca locale.
Rimane una zona ad estrazione fortemente popolare in mezzo a un quartiere perlopiù residenziale: una condizione comune a molte altre zone della città come il famigerato piazzale Selinunte, a due passi dalle case dei calciatori di Milan e Inter. Una delle soluzioni del centrodestra per questi quartieri è aumentare la sicurezza percepita: gli attivisti locali della Lega e di Fratelli d’Italia invocano da anni una presenza più visibile della polizia municipale. Il programma di Bernardo prevede l’assunzione di 600 nuovi membri della polizia e «la reintroduzione del vigile di quartiere».
La soluzione di Sala è invece un modello di città «a 15 minuti», dove tutti i servizi essenziali come trasporti, scuole, negozi e parchi siano raggiungibili in un quarto d’ora a piedi o in bicicletta: di qui, anche, lo sviluppo di piazze pedonali e piste ciclabili, oltre alla colonizzazione dei marciapiedi da parte di bar e ristoranti. L’auspicio di Sala è che in questo modo si attivino dei circoli virtuosi per rivitalizzare quartieri problematici come quello di Largo Caccia Dominioni, schiacciati in mezzo a zone residenziali o riqualificate.
È un approccio che ha anche alcune controindicazioni. Alcuni quartieri, soprattutto quelli più ricchi e centrali, potrebbero ripiegarsi su se stessi diventando ancora più lontani e irraggiungibili dalle persone che abitano nelle periferie più isolate, alimentando le disuguaglianze.
L’ADI Design Museum, inaugurato a maggio nei pressi del Cimitero Monumentale, applica un biglietto leggermente scontato per le persone che abitano in un raggio di 15 minuti a piedi e in bicicletta dal museo, calcolato a partire dal CAP. La riduzione è stata giustificata esplicitamente con l’approccio della città a 15 minuti, ma c’è una stortura evidente: le persone che abitano nel Bosco Verticale – il prestigioso e premiato grattacielo di lusso in zona Porta Nuova – pagano un biglietto di ingresso più economico rispetto a chi vive a Quarto Oggiaro, uno dei quartieri storicamente più periferici e isolati della città.
Tornando su via Ripamonti e proseguendo verso il confine comunale, troviamo altri cantieri, a destra e a sinistra. Nel 2008 è iniziato un grande progetto di riqualificazione di via Monte Sabini, uno squarcio di terreni incolti fra il tracciato del tram 24 e via Ferrari, solo parzialmente completato. Sulla destra, invece, la parrocchia del quartiere sta ristrutturando il frequentato oratorio. Ancora qualche centinaio di metri e poi si aprono i campi del Parco Agricolo Sud Milano: per chilometri e chilometri non si vede nessun edificio alto più di un paio di piani.
A un certo punto, girando a sinistra a una rotonda, in una terra di nessuno fra Milano e il paese di Opera, si intravedono un lago, una chiesetta del Seicento e il rudere di un piccolo castello. Sono le tracce del vecchio borgo di Macconago, che ha almeno un migliaio di anni ma oggi è ridotto a un gruppo di case. Il castello è privato, al lago si può fare un picnic nelle belle giornate. La chiesa è diroccata, ma da un paio d’anni c’è un progetto che riguarda l’intera Macconago che prevede la conversione di alcune vecchie cascine in appartamenti, e la ristrutturazione della chiesetta. Qualcuno, però, teme che sia l’inizio di una speculazione edilizia. Se ne saprà fra qualche anno: una considerazione che vale per tutta via Ripamonti, e forse anche per Milano.