Per cosa è stato condannato a oltre 13 anni Mimmo Lucano
La severità della pena all'ex sindaco di Riace ha stupito chi aveva seguito il controverso processo sul suo sistema di accoglienza
I 13 anni e 2 mesi di carcere a cui è stato condannato giovedì l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano sono una pena che ha stupito e contrariato per la sua severità molti politici, giornalisti e attivisti che avevano seguito la sua vicenda giudiziaria, che ruota intorno a una serie di controverse accuse legate al sistema di accoglienza dei migranti che aveva organizzato nel suo paese. Il sistema messo in piedi da Lucano era stato descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, ma secondo i giudici del tribunale di Locri nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La pena di Lucano, stabilita nel primo grado di giudizio, è stata addirittura quasi il doppio rispetto a quella richiesta dal procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio, e dal pubblico ministero Michele Permunian, che avevano chiesto 7 anni e 11 mesi di carcere. In tanti in queste ore l’hanno giudicata sproporzionata anche rispetto ad accuse che erano state estesamente criticate e considerate pretestuose.
In sostanza, i giudici del tribunale hanno ritenute fondate le accuse formulate in un’inchiesta cominciata nel 2018 e chiamata Xenia (dal greco antico xenos, straniero, ospite) secondo cui Lucano era il promotore di un’associazione a delinquere che commetteva delitti contro la pubblica amministrazione e il patrimonio, orientando l’operato del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria al fine di creare e consolidare un sistema di potere strumentalizzando l’integrazione degli stranieri.
Per i magistrati che hanno sostenuto l’accusa, con il modello Riace Lucano aveva architettato una serie di espedienti per aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia. In particolare, sulla base di intercettazioni telefoniche, la procura lo accusava di avere avuto un ruolo nell’organizzare matrimoni di convenienza tra cittadini del posto e donne straniere, per favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano.
Durante la requisitoria, il pubblico ministero Permunian ha detto: «A Riace comandava Lucano. Era lui il dominus assoluto, la vera finalità dei progetti di accoglienza a Riace era creare determinati sistemi clientelari. Lucano ha fatto tutto questo per un tornaconto politico-elettorale e lo si evince da diverse intercettazioni. Contava voti e persone. E chi non garantiva sostegno, veniva allontanato». Gli avvocati di Lucano, Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, avevano chiesto, nell’arringa difensiva, l’assoluzione:
«Estraneo alle accuse contestate, ontologicamente incapace di agire per guadagno anche solo politico, come dimostrano le numerose proposte di candidatura rifiutate. Anzi, ha agito come fedele rappresentante dello Stato e interprete della Costituzione quando lo Stato era assente e incapace di dare assistenza e riparo ai profughi che a centinaia sbarcavano sulle coste calabresi durante l’emergenza Mediterraneo. Se da sindaco è andato oltre le sue facoltà non è stato certo per il potere, ma perché ci credeva ed era giusto, perché lo chiede la nostra Costituzione».
La condanna di Lucano, che tra le altre cose è candidato alle regionali calabresi in una delle liste a sostegno di Luigi de Magistris, è stata subito celebrata dal segretario della Lega Matteo Salvini, secondo cui l’ex sindaco era un «paladino dei radical chic» che «guadagnava illecitamente sulla gestione degli immigrati». Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha invece espresso «vicinanza e solidarietà» a Lucano.
Vicinanza e solidarietà. #MimmoLucano.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) September 30, 2021
Riace è un paese di circa 2.000 abitanti a 125 chilometri da Reggio Calabria, che vent’anni fa rischiava di essere perlopiù abbandonato. L’idea di Lucano, prima come attivista poi come sindaco, fu quella di accogliere un determinato numero di migranti e di integrarli nella comunità locale. A Riace i primi stranieri arrivarono nel 1998 quando una nave proveniente dalla Turchia e con 66 uomini, 46 donne e 72 bambini curdi si avvicinò alle coste calabresi. Fu allora che a Lucano venne dato il soprannome “mimmo o curdu”.
In un libro di Tiziana Barillà, Mimì Capatosta, Mimmo Lucano e il modello Riace, l’ex sindaco ricordava così l’idea che gli venne in quella circostanza: «Mentre vedevamo Riace Marina affollata durante la stagione estiva, Riace Superiore, la parte alta del comune, era addormentata, svuotata dei suoi abitanti partiti a lavorare al nord. E se questi profughi ci aiutassero a svegliarla? Se grazie a loro le vie potessero tornare alla vita? Se si potesse ancora sentire la gente parlare e i ragazzi ridere?».
Un anno dopo nacque l’associazione Città Futura, per dare accoglienza agli immigrati. Nel 2004 arrivò la prima candidatura a sindaco: Lucano venne eletto con il 35,4% dei voti. Nel 2009 i consensi salirono al 51,7% e nel 2014 arrivano al 54%. Nel frattempo Riace era stato il primo comune italiano, assieme a Trieste, a partecipare al sistema per l’accoglienza che poi sarebbe diventato lo Sprar, (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati, poi smantellato da Salvini quando era ministro dell’Interno).
Il modello Riace, messo a punto da Lucano e dalla sua giunta, prevedeva innanzitutto che ai richiedenti asilo fossero assegnate in comodato d’uso le case abbandonate e recuperate del vecchio abitato e che i soldi dei progetti di accoglienza stanziati dal governo fossero usati per borse lavoro e per attività commerciali gestite dagli stessi richiedenti asilo insieme ai cittadini del paese. Il modello di integrazione seguito a Riace divenne presto famoso in tutta Europa. Nel 2016 Lucano fu citato dalla rivista Fortune tra le 50 personalità più influenti al mondo.
I guai seri iniziarono nel 2016 quando dalla Prefettura di Reggio Calabria venne inviato un ispettore, che dopo qualche giorno trascorso a Riace compilò una relazione negativa. L’ispettore evidenziava soprattutto «criticità per gli aspetti amministrativi e organizzativi». La stessa Prefettura cambiò poi il giudizio, quando in seguito arrivarono altre due relazioni, ma questa volta positive.
Nel 2017 però la Procura di Locri iscrisse Lucano nel registro degli indagati per abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata. Lo stesso anno il ministero dell’Interno (guidato da Marco Minniti del Partito Democratico, a cui dal primo giugno 2018 subentrò Salvini) escluse Riace dai finanziamenti statali per il mantenimento del sistema d’accoglienza. Lucano scrisse su Facebook:
«Riace è stata esclusa dal saldo luglio-dicembre 2017 (parliamo di circa 650mila euro non erogati) e per il 2018 il paese non è compreso tra gli enti beneficiari del finanziamento del primo semestre. Dal settembre 2016 il prefetto di Reggio Calabria con vari assurdi pretesti si è rifiutato e ancora si rifiuta di saldare il dovuto. Se l’esperienza Riace verrà affondata saranno messi in strada 165 rifugiati, almeno 50 bambini, circa 80 operatori e numerose attività commerciali chiuderanno».
Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano e noto attivista per i diritti umani, arrivò a Riace per sostenere Lucano. Disse in quell’occasione: «Questa è un’esperienza unica, non solo per l’Italia, ma pure per tutta l’Europa. È assurdo che il ministero abbia deciso di non finanziare questo progetto tagliando le gambe a Mimmo e a tutto questo. Noi digiuniamo perché non accettiamo tutto questo. Questa politica uccide soltanto quelle iniziative positive che nascono dal basso».
Lucano fu arrestato il 2 ottobre 2018 e messo agli arresti domiciliari. Dalle carte della Procura emerse che assieme ad altre 31 persone allora indagate era accusato di aver organizzato un matrimonio di comodo tra un’immigrata nigeriana e un cittadino italiano. Alla base dell’accusa c’era un’intercettazione telefonica in cui Lucano parlava della possibilità che una donna, a cui sarebbe stato negato l’asilo tre volte, venisse regolarizzata attraverso il matrimonio con un abitante di Riace. Nella conversazione registrata però non emergeva se il matrimonio fosse stato effettivamente celebrato.
L’altra accusa era l’affidamento diretto di appalti per la raccolta porta a porta e il trasporto dei rifiuti alle cooperative Eco-Riace e L’Arcobaleno, dall’ottobre 2012 fino all’aprile 2016, senza che fosse indetta una gara d’appalto e senza che le due cooperative fossero iscritte nell’albo regionale come previsto. Il gip di Locri che firmò la misura cautelare definì la richiesta della procura in più punti «laconica, congetturale, sfornita dei requisiti di chiarezza, univocità e concordanza». A giustificare l’arresto rimase però l’accusa di turbata libertà degli incanti (un reato che si riferisce al condizionamento illecito di una gara d’appalto) e quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nell’ordinanza del gip si parlava di due matrimoni di comodo: uno riguardava il fratello della compagna di Lucano (matrimonio che non avvenne) e l’altro una giovane del Ghana con un abitante di Riace.
Il 3 ottobre 2018 Lucano venne sospeso dalla carica di sindaco. Due settimane dopo il Tribunale del riesame annullò l’ordine di custodia ed emise il divieto di soggiorno a Riace, a sua volta annullato dalla Cassazione nel febbraio del 2019. Il Tribunale di Locri applicò la decisione soltanto sette mesi dopo. L’11 aprile 2019 l’ex sindaco venne rinviato a giudizio. Nello stesso anno Lucano ricevette anche un avviso di garanzia per aver rilasciato documenti d’identità a una donna eritrea e al figlio di pochi mesi senza che questi fossero in possesso di regolare permesso di soggiorno. Un altro avviso di garanzia arrivò a lui e altre otto persone in merito agli alloggi dove i migranti venivano ospitati a Riace.
Lucano venne accusato di truffa dal sostituto procuratore Ezio Arcadi, perché tre appartamenti erano «risultati privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, documenti indispensabili per come richiesto specificatamente sia dal manuale operativo Sprar che dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la Prefettura». A Lucano venne contestato di aver firmato una «falsa attestazione ove veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del Comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico sanitarie».
Uscendo dal Tribunale dopo la condanna, Mimmo Lucano ha detto:
«Questa è una vicenda inaudita. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso. Mi aspettavo un’assoluzione. Ho speso la mia vita per rincorrere ideali contro le mafie. Ho fatto il sindaco, mi sono schierato dalla parte degli ultimi, dei rifugiati che sono arrivati. Mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra ed è stata un’esperienza indimenticabile, fantastica. Però oggi devo prendere atto che è finito tutto».
Gli avvocati Pisapia e Daqua hanno scritto in una nota:
«Una sentenza lunare e una condanna esorbitante che contrastano totalmente con le evidenze processuali: oltre tredici anni di carcere per un uomo come Mimmo Lucano che vive in povertà e che non ha avuto alcun vantaggio patrimoniale e non patrimoniale dalla sua azione di sindaco di Riace e, come è emerso nel corso del processo si è sempre impegnato per la sua comunità e per l’accoglienza e l’integrazione di bambini, donne e uomini che sono arrivati nel nostro Paese per scappare dalle guerra, dalle torture e dalla fame.
È difficile comprendere come il Tribunale di Locri non abbia preso nella giusta considerazione quanto emerso nel corso del dibattimento, durato oltre due anni, che aveva evidenziato una realtà dei fatti ben diversa da quella prospettata dalla pubblica accusa. Per ora purtroppo possiamo solo sottolineare che non solo la condanna, ma anche l’entità della pena inflitta a Mimmo Lucano sono totalmente incomprensibili e ingiustificate e aspettare le motivazioni della sentenza per poter immediatamente ricorrere in appello nella convinzione che i successivi gradi di giudizio modificheranno una decisione che ci lascia attoniti».