Mazzone sotto la curva
Vent'anni fa l'allenatore romano del Brescia fu protagonista di uno sfogo storico rivolto ai tifosi dell'Atalanta
di Pietro Cabrio
Nel 2001 la squadra di calcio del Brescia, allora di proprietà dell’imprenditore locale Gino Corioni, aveva raggiunto il punto più alto della sua storia. Nella stagione iniziata l’anno precedente, da neopromossa in Serie A, era riuscita a concludere il campionato all’ottavo posto e a qualificarsi per la Coppa Intertoto, poi persa in finale contro il Paris Saint-Germain di Ronaldinho, Anelka e Pochettino.
Ancora oggi quel Brescia è una delle squadre più ricordate di quel periodo del calcio italiano a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila. Soltanto in attacco aveva il futuro campione del mondo Luca Toni, l’attuale direttore sportivo della Lazio Igli Tare e soprattutto il Pallone d’Oro Roberto Baggio, che aveva scelto Brescia per concludere la carriera vicino casa.
Il resto della squadra non era da meno, a cominciare da Pep Guardiola, ex capitano del Barcellona campione d’Europa, che dopo un decennio da protagonista con la squadra catalana si era preso alcuni anni per fare nuove esperienze all’estero, anche per prepararsi a un futuro da allenatore.
Guardiola non aveva bisogno di presentazioni. Quando arrivò al ritiro estivo del Brescia venne accolto però da Carlo Mazzone, l’allenatore-simbolo di quella squadra: romano nato e cresciuto a Trastevere, nel mondo del calcio dagli anni Cinquanta. Era un allenatore d’altri tempi, generalmente ben voluto dai suoi giocatori ma anche schietto e agguerrito, uno che nel calcio le aveva viste tutte e che non badava troppo alle maniere.
Quando Guardiola arrivò in ritiro, una delle prime cose che gli disse Mazzone fu: «Pep, io non ti volevo. Non so cosa ci fai qui». Poi però aggiunse: «Io ho già acquistato Giunti, gli ho dato fiducia e ora devo pensare a come gestirvi nello stesso ruolo! Ma devo dirti una cosa: tu sei molto forte, ti vorrò bene e ti farò giocare».
Le cose tra i due andarono bene e Guardiola conserva ancora un bel ricordo del suo ex allenatore. Ma il 30 settembre del 2001, nei minuti finali di Brescia-Atalanta, dalla tribuna dello stadio Rigamonti Guardiola si trovò ancora a chiedersi: «Che cazzo ci faccio qua?».
Il campionato del Brescia era iniziato in modo altalenante. Dopo una sconfitta a Parma, quel 30 settembre fu il giorno del sentitissimo derby contro i rivali storici dell’Atalanta. L’anno prima era andata malissimo per il Brescia, che aveva perso 2-0 all’andata e 3-0 al ritorno. Oltre alle sconfitte, la tifoseria bergamasca si era accanita particolarmente su Mazzone, anche in quanto romano e tifoso della Roma, tra le grandi rivali della tifoseria atalantina.
Il derby iniziò subito male per il Brescia. Al gol del vantaggio segnato da Baggio, l’Atalanta aveva risposto nel giro di venti minuti con tre gol, uno dopo l’altro. Si andò all’intervallo con il Brescia sotto 3-1 e Mazzone furibondo, tanto che, come ricordò poi Igli Tare, entrò nello spogliatoio e con l’unica frase che pronunciò in un quarto d’ora invitò ironicamente i suoi giocatori a fare ancora peggio del primo tempo.
L’atteggiamento di Mazzone fece il suo effetto, perché il Brescia entrò in campo con piglio diverso e dopo mezzora di gioco, ancora con Baggio, ridusse lo svantaggio portandosi sul 2-3. Dopo il gol Mazzone, che oltre a essere ancora arrabbiato con i suoi giocatori aveva dovuto sopportare altri cori da parte dei tifosi bergamaschi, si rivolse proprio a loro promettendo più volte che in caso di pareggio sarebbe andato proprio sotto la loro curva.
Al novantesimo minuto Baggio segnò il 3-3 su un calcio di punizione deviato in area di rigore. I giocatori del Brescia non fecero neanche in tempo a esultare che Mazzone iniziò a correre verso il settore ospiti, paonazzo in volto, agitando in aria il pugno e urlando vari insulti, in particolare un celebre «li mortacci vostri». Fu inseguito dal suo vice, Leonardo Menichini, e dal team manager Edoardo Piovani, che però non riuscirono a fermarlo.
Quando Mazzone tornò indietro sapeva cosa lo aspettava. Pierluigi Collina, il miglior arbitro al mondo, scelto proprio per l’importanza di quella partita, non poté fare altro che espellerlo. Gli indicò gli spogliatoi, senza bisogno di dire nulla. Mazzone alzò pacificamente le braccia e fece un cenno di intesa, accettando la punizione.
Nei giorni seguenti, in attesa della squalifica, Mazzone disse in conferenza stampa: «Qualunque sia il numero delle giornate di squalifica che mi daranno, le accetterò. Sono già d’accordo con il presidente Corioni che non faremo ricorso. Accetto tutto senza replicare perché ho sbagliato». Domandò scusa all’Atalanta e al suo allenatore, Giovanni Vavassori, ma non ai tifosi né all’allora sindaco di Bergamo, Cesare Veneziani, che li aveva difesi nelle polemiche che erano seguite. Venne infine squalificato per cinque giornate.
Mazzone rimase a Brescia fino al 2003, anno in cui portò la squadra al nono posto in campionato. Ancora oggi è l’allenatore con più presenze in Serie A, avendo allenato anche Ascoli, Fiorentina, Catanzaro, Lecce, Cagliari, Roma, Napoli, Bologna, Perugia e Livorno per un totale di 792 partite tra il 1974 e il 2006.