Il ministero degli Esteri si è accanito per sette anni contro Michael Giffoni?
Fu primo ambasciatore italiano del Kosovo tra il 2008 e il 2013, ora è stato assolto dalle accuse che gli avevano distrutto la carriera
Lunedì 27 settembre Michael Giffoni, primo ambasciatore italiano in Kosovo tra il 2008 e il 2013, è stato assolto dal tribunale penale di Roma dai reati di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di cui era stato accusato per la prima volta più di sette anni fa e che avevano causato la fine della carriera. La vicenda di Giffoni, oltre che notevole dal punto di vista giudiziario, ha un importante risvolto amministrativo e diplomatico. Contro di lui, il ministero degli Esteri ha applicato un provvedimento straordinario raramente usato prima nei confronti di un ambasciatore: Giffoni è stato destituito, cioè radiato dal corpo diplomatico, prima ancora che fossero formalizzate accuse penali.
Contro la destituzione di Giffoni, nel corso degli anni, si erano espressi diversi esponenti della politica e del giornalismo, ma il ministero degli Esteri aveva sempre difeso la sua posizione, sostenendo che le accuse contro l’ambasciatore fossero fondate e «inequivocabili». Lunedì invece Giffoni è stato assolto nel processo penale e le gravi accuse contro di lui sono cadute, ma anche così non è chiaro cosa farà il ministero: non è ancora detto che l’ex ambasciatore sarà reintegrato, nonostante l’assoluzione.
Giffoni è un diplomatico con grande esperienza soprattutto nei Balcani, dove lavorò fin dagli anni Novanta, ricoprendo diversi ruoli sia nella diplomazia italiana sia europea. Tra le altre cose, partecipò come consigliere agli accordi di pace di Dayton del 1995, che misero fine alla guerra in Bosnia, e fu capo della task force per i Balcani dell’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione Europea, che allora era Javier Solana.
A partire dal 2008, Giffoni fu nominato primo ambasciatore italiano nel Kosovo indipendente. Rimase ambasciatore in Kosovo per cinque anni e tornò a Roma alla fine del 2013, per ricoprire l’incarico di direzione dell’unità per il Nord Africa del ministero degli Esteri.
Nel febbraio del 2014 si aprì in Kosovo un’inchiesta su un traffico di visti falsi rilasciati dall’ambasciata italiana tra il 2012 e il 2013, mentre Giffoni era ambasciatore. L’inchiesta era gestita da Eulex, la missione dell’Unione Europea che ha il compito di sostenere le istituzioni kosovare e far rispettare lo stato di diritto, e dunque ha funzioni anche di polizia e giudiziarie. Secondo l’inchiesta, un gruppo di criminali (a cui apparteneva tra le altre cose Ukë Rugova, il figlio del “padre” dell’indipendenza kosovara) vendeva per migliaia di euro visti illegali per l’area Schengen approvati dall’ambasciata italiana. Furono detenute 9 persone, tra cui un dipendente a contratto dell’ambasciata italiana, di origine albanese.
Nelle ambasciate, la gestione dei visti è responsabilità ultima dell’ambasciatore, ma la gestione delle pratiche viene sempre affidata a collaboratori o a impiegati esterni, specie in ambasciate con poco personale e impegnative come quella del Kosovo, un paese che al tempo era di fatto ancora in costruzione.
Il 7 febbraio del 2014, appena tornato da una missione in Libia, Giffoni fu convocato dal ministero degli Esteri e senza preavviso gli fu annunciato che si trovava in stato di sospensione cautelare: un provvedimento in un certo senso comprensibile, considerato il coinvolgimento dell’ambasciatore in una faccenda piuttosto grave. Gli sviluppi straordinari avvennero però qualche mese dopo, a giugno, quando il ministero, dopo aver affidato la questione a un comitato disciplinare, decise di destituire Giffoni, cioè in pratica di radiarlo dalla carriera diplomatica. La destituzione, prevista da una legge del 1957, è un provvedimento eccezionalmente grave, mai utilizzato contro un ambasciatore quanto meno negli ultimi trent’anni.
Come per tutti i dipendenti pubblici, anche gli ambasciatori e i diplomatici possono subire diverse sanzioni nel caso in cui commettano violazioni: dalla sanzione scritta alla sospensione dello stipendio alla retrocessione del grado. Nei casi gravissimi, è già capitato in passato che ambasciatori si dimettessero volontariamente (e trovassero poi nuovi impieghi spesso remunerativi in centri studi, in altre istituzioni o nel settore privato).
Nel caso di Giffoni, invece, il ministero degli Esteri applicò la sanzione più grave e straordinaria, «per atti in grave contrasto con i doveri di fedeltà dell’impiegato e per dolosa violazione dei doveri di ufficio che abbia portato grave pregiudizio allo Stato», come disse il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli rispondendo a un’interrogazione parlamentare a dicembre 2014.
Il fatto, tuttavia, è che Giffoni al momento della destituzione non era indagato né da Eulex né dalla giustizia kosovara, che si era concentrata piuttosto sul gruppo dei criminali. Né Eulex né i procuratori del Kosovo hanno mai nemmeno sentito Giffoni come persona informata sui fatti. Nel frattempo la procura di Roma aveva aperto un’inchiesta e inserito Giffoni nel registro degli indagati, ma l’aveva fatto come atto dovuto: l’ex ambasciatore non fu mai sottoposto nemmeno a interrogatorio di garanzia.
Non è del tutto chiaro perché il ministero degli Esteri abbia agito così duramente contro Giffoni, in assenza di vere indagini contro di lui. Diversi osservatori hanno parlato di “accanimento” nei suoi confronti, come fece per esempio il senatore Luigi Manconi in un’interrogazione parlamentare del 2015. Un’altra supposizione circolata ha sostenuto che il ministero sia stato spinto a una punizione esemplare dal fatto che le accuse contro l’ambasciatore siano state fatte inizialmente da Eulex, un organismo sovranazionale. Sul Corriere della Sera, Francesco Battistini ha ipotizzato che ci siano state pressioni da parte degli Stati Uniti. Non ci sono però conferme.
Come hanno detto i funzionari del ministero degli Esteri rispondendo a varie interrogazioni parlamentari nel corso degli anni, la decisione di destituire Giffoni fu basata su «gravissime irregolarità a carico del funzionario sulla base di prove documentali rinvenute presso l’ambasciata». È impossibile sapere quali siano queste prove, che vengono conservate dal ministero degli Esteri, e se le accuse differiscano dai reati di cui Giffoni è stato ritenuto innocente. Il tribunale di Roma ha comunque escluso la presenza di reati.
Ad ogni modo, subito dopo la sua destituzione Giffoni iniziò un lungo percorso con la giustizia amministrativa per ottenere il suo reintegro.
Il TAR del Lazio sospese due volte il provvedimento disciplinare contro di lui e ne ordinò il reintegro, prima nel 2015 e poi nel 2016, ma entrambe le volte il ministero impugnò e ignorò la sentenza, sostenendo che il TAR non avesse emesso un giudizio sul merito della vicenda, ma soltanto su vizi procedurali. Nel 2017, invece, il Consiglio di Stato annullò la sospensione decisa dal TAR, augurandosi però che la vicenda di Giffoni fosse trattata anche dalla giustizia penale.
Poco dopo si aprì il processo, con Giffoni rinviato a giudizio e accusato di due reati: associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il processo è durato quattro anni e si è concluso lunedì con l’assoluzione. Per i giudici del tribunale di Roma, il reato di associazione a delinquere “non sussiste”, mentre per quanto riguarda il favoreggiamento dell’immigrazione “il fatto non costituisce reato”.
«Ora mi aspetto che prevalga il buon senso di dire: lasciamoci alle spalle quello che è successo», dice Giffoni, che ovviamente spera di poter essere reintegrato. «Spero che dopo sette anni mi sia restituita la mia anima».
Il reintegro però non è automatico, anche se negli ultimi giorni è stato invocato sui giornali e da molte personalità influenti. Il processo penale ha stabilito che Giffoni non ha commesso reati, ma non influisce direttamente sulle decisioni del ministero degli Esteri, che ha la completa facoltà di mantenere attiva la destituzione di Giffoni, come ha fatto in tutti questi anni nonostante due sentenze del TAR, e benché nel frattempo siano cambiati vari governi.
Davanti alla mancanza di reati, però, la severità della sanzione contro Giffoni appare eccessiva: come ha scritto il Foglio, nella vicenda dei visti falsi all’ex ambasciatore può essere attribuita probabilmente una negligenza dei controlli. Altri diplomatici hanno subìto sanzioni meno severe per colpe più gravi.