Cosa vuole il centrodestra dalle elezioni comunali
Perdere bene, in estrema sintesi, e sperare di ricomporre al più presto le tensioni interne ai partiti e alla coalizione
La coalizione di centrodestra si presenta alle imminenti elezioni comunali, che si terranno in oltre mille città italiane fra il 3 e il 4 ottobre, con una specie di paradosso. I sondaggi nazionali danno la somma di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia vicina al 50 per cento, diversi punti sopra il centrosinistra: eppure l’obiettivo minimo della coalizione in vista delle amministrative sembra quella di evitare sconfitte troppo pesanti, che potrebbero complicare ulteriormente i rapporti interni, cioè uno dei fattori che hanno reso così sfavorevole la situazione a livello locale.
Già da mesi le elezioni comunali del 2021 si presentavano come una sfida complicata. Soltanto uno fra i capoluoghi di regione in cui si voterà – Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli e Trieste – è attualmente governato dal centrodestra, Trieste. Ma oltre al sindaco triestino uscente Roberto Dipiazza, l’unico candidato che sembra avere qualche speranza concreta di diventare sindaco è l’imprenditore Paolo Damilano a Torino. Il centrodestra si aspetta poi di vincere in Calabria, dove si vota per le elezioni regionali.
In buona parte la colpa è della debolezza dei singoli candidati. Sul Corriere della Sera l’analista politico Massimo Franco ha notato che «degli esponenti nazionali, nessuno si è voluto assumere la responsabilità di presentarsi come sindaco o sindaca», e che in particolare i candidati della coalizione a Milano e Roma sembrano «scelte di compromesso, se non al ribasso».
Sia Luca Bernardo (Milano) sia Enrico Michetti (Roma) non hanno alcuna esperienza politica, erano semi-sconosciuti e hanno passato gran parte della campagna elettorale a difendersi da critiche e rimediare a gaffe e inciampi. I candidati scelti a Bologna e Napoli, Fabio Battistini e Catello Maresca, non sono mai riusciti a rappresentare una minaccia rispettivamente per Matteo Lepore e Gaetano Manfredi.
Franco, come molti altri analisti, attribuisce la debolezza dei candidati a tensioni fra la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni. Ormai da mesi la Lega sta perdendo consensi nei sondaggi e sembra lontana dal 33 per cento ottenuto alle elezioni europee del 2019, mentre Fratelli d’Italia è ormai il partito più popolare in Italia secondo diverse rilevazioni. Anche in diverse città si ritiene che Fratelli d’Italia possa superare la Lega; persino al Nord, dove storicamente la Lega è sempre stata più forte dei partiti della destra post fascista.
Forza Italia sta proseguendo il suo declino che sembra difficilmente arrestabile, e che nella sua ultima fase ha coinciso con l’aggravarsi delle condizioni di salute del suo leader Silvio Berlusconi. Eppure il suo peso parlamentare rimane piuttosto corposo, dato che alle elezioni del 2018 ottenne il 14 per cento: e il suo sostegno quasi incondizionato al governo Draghi, e le periodiche pressioni affinché la coalizione si diriga verso posizioni più moderate, sono ulteriori complicazioni per la serenità del centrodestra.
A questa tensione fra i partiti si aggiunge quella interna alla Lega. Da settimane i giornali raccontano di un divario sempre più ampio fra l’ala più radicale, scettica sul sostegno al governo di Mario Draghi e su posizioni vicine a quelle di Meloni, a cui con qualche ambiguità aderisce il segretario Matteo Salvini, e quella più moderata e governista, guidata dal ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Nei giorni scorsi lo ha lasciato intendere lo stesso Giorgetti, spiegando alla Stampa che all’interno del partito esistono «sensibilità diverse». Nell’intervista, molto commentata, Giorgetti ha dato per certa la vittoria del centrosinistra nelle principali città, provocando molti malumori tra i suoi alleati e attirandosi critiche di disfattismo.
Le varie tensioni del centrodestra hanno avuto conseguenze concrete anche sulla campagna elettorale. In nessuna grande città i leader di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno chiuso insieme la campagna elettorale, come avvenuto varie volte in occasione di una tornata di voto locale. Sabato 25 settembre Giorgia Meloni ha tenuto un comizio in Piazza del Duomo a Milano lasciando parlare Bernardo per pochi minuti prima del suo lungo intervento, incentrato soprattutto su temi nazionali come l’estensione del Green Pass e il presunto spostamento a sinistra del Partito Democratico.
Giovedì 30 settembre e venerdì 1 ottobre Salvini, Meloni e Antonio Tajani terranno una conferenza stampa rispettivamente a Milano e a Roma, ma verosimilmente sarà soltanto un’occasione per dimostrarsi uniti davanti a fotografi e giornalisti.
A prescindere da come andranno le elezioni comunali, nei prossimi mesi il centrodestra dovrà prendere una grossa decisione riguardo l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, a gennaio, e al momento non è chiaro se riuscirà a farlo in maniera condivisa e compatta. In questi giorni importanti dirigenti della coalizione, tra cui Giorgetti e il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta (Forza Italia), hanno sostenuto pubblicamente la candidatura di Draghi.
È un discorso un po’ intricato perché si porta dietro la questione delle prossime elezioni – se Draghi venisse eletto al Quirinale, cadrebbe l’attuale governo e si potrebbe andare al voto anticipato – e quella della candidatura di Silvio Berlusconi, che a quanto sembra è molto determinato e potrebbe pretendere che i suoi alleati almeno ci provino, a votarlo (non sembra ci siano reali possibilità, in ogni caso). Meloni e Salvini comunque potrebbero trovare un’ulteriore ragione di scontro nella strategia che sceglieranno riguardo all’elezione del presidente della Repubblica, che dipenderà in parte da quanto e quando i due partiti vorranno andare a votare.