C’è un problema con le firme per il referendum sulla cannabis
Centinaia di comuni non le hanno ancora certificate, a pochi giorni dalla scadenza entro la quale andranno depositate in Cassazione
Il 30 settembre sarà l’ultimo giorno utile per presentare alla Corte di Cassazione i registri con le firme delle centinaia di migliaia di persone che hanno aderito alla proposta di un referendum sulla legalizzazione della cannabis, ma circa 1.400 comuni non hanno ancora inviato al comitato promotore i certificati elettorali necessari per validare le firme raccolte digitalmente tramite il sistema dello Spid. A tre giorni dalla data di scadenza per la presentazione delle firme in Cassazione, sono arrivati solo circa 125.000 certificati, un quarto di quelli necessari.
Lo scorso 18 settembre i promotori, tra cui l’associazione Luca Coscioni, avevano annunciato di aver raccolto nel giro di una sola settimana le 500mila firme previste dalla Costituzione per indire un referendum. La raccolta firme era stata agevolata dalla recente possibilità di utilizzare firme digitali per sottoscrivere una proposta referendaria.
Per convalidare le firme raccolte digitalmente è però necessario che le amministrazioni comunali le “certifichino”, ovvero che confermino che chi ha firmato è iscritto nelle liste elettorali e che può quindi partecipare al referendum. Il 21 settembre i promotori del referendum avevano inviato ai comuni interessati la richiesta di certificazione delle firme tramite PEC (posta elettronica certificata), con obbligo di risposta entro 48 ore.
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Avevano inviato 37.300 email, ognuna delle quali contenente dai 2 ai 20 nominativi di firmatari, richiedendo i relativi certificati. Venerdì 24 settembre, però, era arrivata solo la risposta a 28.600 email, per un totale di circa 125.000 certificati. Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni ha spiegato che se le certificazioni non dovessero arrivare per il 30 settembre, e se il governo non concederà una proroga della scadenza, il referendum non potrebbe svolgersi perché il comitato promotore non potrebbe consegnare le firme alla Corte di Cassazione.
Rischio SABOTAGGIO del #referendumcannabis: i Comuni ci hanno inviato i certificati di 1/4 dei firmatari, nonostante gli obblighi. Dunque se il Governo #Draghi non proroga i termini, lo Stato potrebbe cancellare il referendum a causa di illegalità..dello Stato stesso. #Cartabia
— Marco Cappato (@marcocappato) September 24, 2021
Cappato ha accusato i comuni di «sabotaggio» del referendum, e ha indetto uno sciopero della fame per protestare e un presidio davanti a Palazzo Chigi e davanti ai comuni inadempienti per il 28 settembre. Lunedì ha detto che, anche grazie alle pressioni ricevute, molti comuni inadempienti stanno provvedendo a inviare i certificati. Il sito dell’associazione ha rimosso una lista dei comuni coinvolti pubblicata in precedenza, per dare tempo alle amministrazioni di rispondere alla richiesta dei promotori.
Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’ANCI, l’associazione dei comuni italiani, ha sollecitato i suoi colleghi sindaci a velocizzare le pratiche e a inviare quanto prima le certificazioni delle firme per il referendum sulla cannabis. Allo stesso tempo ha però sottolineato che verificherà «con il ministero dell’Interno e il ministero della Giustizia possibili soluzioni per fronteggiare questa “emergenza democratica” che non può ricadere solo sulle spalle dei sindaci».
Il cosiddetto “decreto semplificazioni bis” dello scorso luglio, lo stesso che aveva reso possibile la raccolta delle firme per via digitale, aveva posticipato la data ultima per la presentazione di queste ultime in Cassazione al 31 ottobre, invece che al 30 settembre, a causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da coronavirus.
La proroga vale però solo per i quesiti referendari depositati in Cassazione entro il 15 giugno (come il referendum sull’eutanasia, ad esempio). Il referendum sulla cannabis legale è invece stato depositato in Cassazione solo a settembre, e quindi è di fatto escluso dalla proroga. I promotori del referendum hanno quindi chiesto alla ministra della Giustizia Marta Cartabia di intervenire per estendere la proroga.