Il ragazzo che fece causa a Pepsi perché voleva un jet militare
Nel 1996 l'americano John Leonard prese molto sul serio la pubblicità di un concorso a premi
Nei primi mesi del 1996, la Pepsi lanciò negli Stati Uniti Pepsi Stuff, una raccolta a punti come ce n’erano e ce ne sono ancora tante. Tra le altre cose il concorso fu promosso con uno spot televisivo, che prima di essere mostrato in tutto il paese fu testato solo in alcune zone. Pensato e realizzato dall’agenzia pubblicitaria BBDO, lo spot mostrava un ragazzo e, una dopo l’altra, alcune cose che si potevano vincere grazie a Pepsi Stuff: una maglietta, una giacca di pelle, un paio d’occhiali.
Nello spot, dopo una voce fuori campo che diceva «più Pepsi bevi, più grande diventa quel che puoi vincere», il ragazzo protagonista faceva un plateale atterraggio a scuola a bordo di un jet militare. «È senz’altro meglio dell’autobus», diceva prima che una scritta in sovraimpressione indicasse i punti necessari per vincere il jet: 7 milioni. Per la maglietta ne bastavano invece 75.
Il jet era un aereo da guerra Harrier, di quelli ad atterraggio verticale, che l’esercito statunitense aveva usato qualche anno prima nella Guerra del Golfo. Non era davvero stato usato per le riprese della pubblicità, ma era stato ricostruito al computer.
Tra i primi a vederla, in quei primi mesi del 1996, ci fu John Leonard, 21enne studente di economia di Seattle, nello stato di Washington. Che per i successivi tre anni dedicò molte energie per raccogliere quei 7 milioni di punti e vincere così il suo jet.
Pepsi Stuff, definita dal New York Times «la più grande campagna promozionale nella storia dell’azienda», prevedeva costi per circa 200 milioni di dollari (circa metà dei quali dedicati alla produzione e alla consegna dei premi) ed era piuttosto semplice. Comprando prodotti Pepsi si accumulavano punti (per esempio 2 per ogni bottiglia da due litri) che – se consegnati nei termini previsti – avrebbero dato diritto ad alcuni premi. Qualora i punti non fossero stati sufficienti, il regolamento prevedeva che ne potessero essere comprati altri per 10 centesimi l’uno.
Secondo le regole della campagna, il premio di maggior valore, per il quale servivano oltre tremila punti, era una bicicletta. Per Pepsi, era chiaro che il jet della pubblicità non era davvero in palio. Per Leonard invece no. Per lui, scrisse il Seattle Times, «una promessa era una promessa». Il giornale spiegò inoltre che Leonard era appassionato di aerei, che «una volta aveva pilotato un Cessna con un istruttore di volo» e che «aveva preso in considerazione l’ipotesi di diventare pilota».
Intervistato dal giornale, Leonard spiegò di aver fatto qualche conto. Raccogliere 7 milioni di punti voleva dire comprare 16,8 milioni di lattine di Pepsi. Troppe, anche senza volerle bere tutte. Ma visto che si potevano comprare i punti senza dover per forza di cose comprare Pepsi, Leonard stimò che gli sarebbero bastati 700mila dollari per avere un jet che valeva diverse decine di milioni di dollari. Ritenne perciò che fosse un ottimo investimento.
Leonard si dedicò alla questione con intensità e rigore. «Si è fatto davvero prendere dalla cosa» scrisse il Seattle Times nel luglio 1996 «e per un paio di mesi ha dedicato tra le 40 e le 60 ore settimanali alla ricerca di precedenti legali di aziende obbligate a mantenere fede alle loro offerte, facendosi fare una copia della pubblicità e spiegando il suo piano a possibili investitori. Leonard, infatti, non aveva 700mila dollari.
Non volendo acquistare decine di migliaia di litri di Pepsi, Leonard cercò qualcuno disponibile a finanziare il suo progetto. Come ha scritto il sito The Hustle, «l’intraprendente studente riuscì infine a convincere alcune persone (clienti facoltosi che aveva incontrato mentre lavorava come guida escursionistica) a investirci». Potè quindi mandare a Pepsi, largamente entro i termini necessari, i 15 punti richiesti come minimo per partecipare e un assegno di un po’ più di 700mila dollari, chiedendo con gentilezza di poter avere in cambio il jet.
Pepsi rispose diverse settimane dopo, sostenendo che la pubblicità fosse “fantasiosa”: prova ne era il fatto che il jet non fosse presente nel catalogo o in nessun altro documento ufficiale. La mail finiva così: «Ci scusiamo per ogni incomprensione o confusione che potremmo aver causato e alleghiamo i buoni per alcuni prodotti omaggio».
Leonard però non si diede per vinto e, stavolta aiutato da un avvocato, mandò una nuova lettera, più perentoria, in cui si diceva pronto a portare in tribunale Pepsi. Mentre i giornali si interessavano alla faccenda, Leonard – che non ottenne la risposta desiderata – fece quindi causa a Pepsi.
«Non voglio farmi pubblicità o altro» disse «non voglio farne una questione di principio. Non cerco qualche tipo di accordo con Pepsi. Voglio solo un aereo».
Pepsi nel frattempo aveva comunque deciso di mostrare la pubblicità su scala nazionale, e un portavoce disse a CBS News: «decine di milioni di statunitensi, così come altre persone nel mondo, hanno visto la pubblicità, hanno capito lo scherzo e hanno riso». «Il signor Leonard ha visto la pubblicità, ha assoldato consulenti e avvocati e ha deciso di intraprendere un’azione legale».
In realtà, negli spot trasmessi in seguito Pepsi fece due modifiche rispetto alla prima versione che Leonard aveva visto e registrato. I 7 milioni di punti necessari per il jet diventarono 700 milioni, e alla fine della pubblicità compariva la scritta “just kidding”, “è uno scherzo”.
Sulla questione si espresse anche Kenneth Bacon, portavoce del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Spiegò che, prima di poter anche solo essere venduto al pubblico, un aereo dell’aeronautica militare statunitense doveva essere anzitutto «demilitarizzato» (cosa che, tra le altre, gli avrebbe impedito di volare). Aggiunse inoltre che quegli specifici aerei venivano venduti solo a gruppi di 12. Ci tenne anche a far sapere che consumavano tra i 30 e i 40 litri di carburante al minuto.
– Leggi anche: La peggior campagna promozionale di sempre
Nel 1999 arrivò la sentenza, a favore di Pepsi. Perché, ritenne la corte, una pubblicità non poteva avere valore legale e perché era chiaro che Pepsi scherzasse. Aggiunse anche che «il giovane ragazzo della pubblicità era un pilota alquanto improbabile». Leonard provò a insistere ancora un po’, ma alla fine dovette demordere, anche perché Pepsi non aveva mai incassato quei 700mila dollari che lui le aveva mandato (cosa che avrebbe ovviamente aperto la strada a una causa per truffa).
Secondo The Hustle, Leonard si trasferì in Alaska, a fare la guida escursionistica del parco nazionale Denali; oggi lavora per l’ente che si occupa di parchi nazionali nel District of Columbia.
– Leggi anche: Un concorso a premi finito malissimo