La mascherina quando gli altri non la usano
Fa lo stesso il suo lavoro, anche se il rischio di contagio è minore se la indossano tutti
Nonostante la presenza di annunci e cartelli che ricordano l’obbligo di indossare la mascherina sui trasporti pubblici e in molti luoghi al chiuso, talvolta può succedere di imbattersi in qualcuno che non la utilizza o che non la indossa coprendo adeguatamente naso e bocca. In casi come questo viene spesso da chiedersi se ci si possa considerare ugualmente protetti dalla propria mascherina, o se la scarsa attenzione del prossimo possa costituire qualche rischio in più per se stessi e la diffusione del coronavirus.
In linea generale, le mascherine funzionano al loro meglio in termini di protezione contro il contagio quando tutti le indossano. Come abbiamo imparato in oltre un anno e mezzo di pandemia, la loro principale funzione è di bloccare all’origine le particelle virali emesse da chi è inconsapevolmente contagioso.
Le mascherine offrono inoltre una protezione a tutti gli altri, rendendo meno probabile che eventuali particelle virali in circolazione nell’aria possano essere inalate, il primo passo verso il contagio. Nei luoghi ben ventilati i rischi sono ulteriormente più bassi rispetto a quelli dove non c’è una sufficiente aerazione.
Diversi studi hanno comunque raccolto prove convincenti sul fatto che le mascherine possano offrire una buona protezione a chi le indossa, anche nel caso in cui si abbiano intorno individui che non le utilizzano e che potrebbero essere contagiosi. La pandemia ha offerto l’opportunità ai ricercatori di approfondire le conoscenze che già si avevano sulla diffusione di alcuni virus tramite l’aria, anche se trovare risposte chiare e nette è molto difficile perché i rischi di contagio variano a seconda degli ambienti studiati, delle tipologie di mascherine indossate, dei comportamenti dei singoli e dei fattori che rendono alcuni individui più esposti all’infezione virale rispetto ad altri (siamo tutti diversi, anche da un punto di vista medico, del resto).
Il New York Times ha di recente messo insieme una raccolta di studi e ricerche sul livello di protezione offerto dalle mascherine a chi le indossa, anche quando ci si trova al chiuso con altri che non le utilizzano o che le indossano scorrettamente. Con risultati diversi, a causa delle variabili cui accennavamo prima, tutti gli studi evidenziano una riduzione del rischio.
Alcuni ricercatori dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC) degli Stati Uniti hanno sperimentato varie condizioni in cui una persona contagiosa, senza mascherina, tossisca in direzione di un’altra persona con mascherina chirurgica a circa due metri di distanza, in un ambiente al chiuso.
Hanno calcolato che la mascherina chirurgica protegge dal 7,5 per cento delle particelle virali prodotte nella simulazione, ma che si possa arrivare a circa il 65 per cento avendo l’accortezza di annodare i cordini, in modo che sia più aderente al viso. Nel caso dell’utilizzo di un ulteriore strato di stoffa al di sopra della mascherina chirurgica, si è ottenuta una riduzione dell’83 per cento nel rischio di esposizione.
Un altro studio realizzato presso il Virginia Tech (Stati Uniti), circolato tra fine inverno e inizio primavera, ha invece preso in considerazione la protezione offerta da diverse tipologie di mascherine. La maggior parte si è rivelata utile per bloccare le gocce di saliva più grandi, come quelle emesse durante uno starnuto, e che potrebbero contenere grandi quantità di particelle virali se prodotte da una persona contagiosa. Per le particelle più piccole e che possono rimanere a lungo in sospensione (aerosol) il livello di protezione si è rivelato più basso, con maggiori tutele nel caso in cui si utilizzino più strati di tessuto e un filtro per proteggere naso e bocca.
Per una ricerca condotta a Tokyo (Giappone) è stata invece indagata la protezione dal coronavirus offerta da diversi tipi di mascherine per chi le indossa. I ricercatori hanno rilevato che anche i modelli più semplici di cotone offrono un livello di protezione tra il 17 e il 27 per cento. I risultati migliori in termini di protezione sono stati comunque raggiunti con le mascherine chirurgiche e con le maschere del tipo FFP2, specialmente se fatte aderire molto bene al viso.
I livelli di protezione delle mascherine erano già stati studiati in passato, seppure con minore attenzione e interesse da parte del pubblico e delle istituzioni. Una ricerca condotta nel 2008 le aveva sperimentate su volontari veri e propri, invece che su manichini come avviene spesso per questo tipo di ricerche (per ridurre le variabili e per motivi di sicurezza). Lo studio aveva segnalato una riduzione dell’esposizione da virus respiratori fino al 60 per cento con le mascherine di tessuto, fino al 76 per cento con quelle chirurgiche e fino al 99 per cento con le FFP2.
In generale, la maggior parte degli studi di laboratorio indicano le FFP2 come il migliore sistema di protezione per chi le indossa, anche nelle circostanze in cui si condividano ambienti al chiuso con persone che non stanno utilizzando le mascherine. Il loro impiego è consigliato soprattutto nelle circostanze in cui non si possa mantenere il distanziamento fisico, nei luoghi affollati e in quelli in cui non c’è un adeguato ricambio di aria.
Le ricerche sono comunque ancora in corso ed è bene ricordare che ci possono essere differenze marcate tra le esperienze simulate in laboratorio e quelle nella vita reale, dove c’è un numero di variabili molto più alto.
La vaccinazione contro il coronavirus continua a essere la soluzione più indicata per ridurre i rischi di ammalarsi di COVID-19, soprattutto nelle sue forme più gravi. Il vaccino protegge dalla malattia, ma non esclude completamente i contagi e per questo è importante continuare a utilizzare le mascherine al chiuso indossandole correttamente coprendo sia il naso sia la bocca. Più persone le indossano, minori sono i rischi per tutti. Proprio come per il vaccino, è un gesto di premura verso gli altri e verso se stessi.