Gli schermi «con un’auto costruita attorno»
Sono sempre più evoluti e soprattutto sempre più grandi: riducono l'uso di smartphone alla guida, ma presentano nuovi rischi
«Ti faremo vedere uno schermo diverso da tutto quello che hai visto prima», dice l’amministratore delegato vestito in modo informale, con una polo a maniche lunghe: «ne siamo così orgogliosi che i nostri non troppo modesti ingegneri l’hanno chiamato MBUX Hyperscreen». L’amministratore delegato, che parla in video con un rilassante e anonimo paesaggio sullo sfondo, dice poi che MBUX Hyperscreen «è il centro dell’attenzione, del controllo e, ovviamente, dell’intrattenimento».
Il video è di qualche mese fa, a parlare è Ola Källenius, amministratore delegato del gruppo automobilistico tedesco Daimler e, dice lui, MBUX Hyperscreen è lo schermo più grande mai messo in una Mercedes-Benz di serie. Nei commenti al video un utente ha scritto: «la presentazione sembra un Keynote di Apple». Un altro gli ha risposto: «A ben vedere, lo è. Mi chiedo se Steve Jobs aveva immaginato che avrebbe cambiato anche l’industria automobilistica. Le auto stanno provando a diventare iPhone».
Oltre all’MBUX Hyperscreen (che ha 56 pollici e funziona grazie a una RAM da 24 giga) e oltre a Mercedes, sono infatti ormai molte le auto – non solo di fascia alta – che al loro interno montano almeno uno schermo di serie, messo da qualche parte sul cruscotto. Quelli che in gergo vengono definiti “sistemi di infotainment” dalla fusione delle parole “information” e “entertainment”, perché offrono appunto un po’ di entrambe le cose.
«Fino a qualche anno fa», ha scritto Automobile.it, «i sistemi di infotainment più evoluti erano ad esclusivo appannaggio di modelli premium di fascia alta. Soltanto le grandi vetture di rappresentanza potevano contare sulla presenza a bordo di dispositivi come il navigatore satellitare o del telefono. Oggi le cose sono ben diverse, i sistemi di infotainment sono andati incontro ad un profondo processo di democratizzazione, che li ha visti trasformarsi ed evolversi».
E come ha notato di recente Slate, «i sistemi di infotainment stanno diventando sempre più appariscenti e strapieni di distrazioni». Peraltro, visto lo sviluppo della tecnologia alla loro base e le possibilità di diversificazione che offrono alle case automobilistiche, c’è da aspettarsi che questi sistemi saranno sempre più presenti in sempre più auto.
Seppur nell’assenza di dati precisi a riguardo (perché ce ne sono pochi e perché ben pochi autisti tendono ad ammettere di essere stati distratti dallo schermo della loro auto), tutto ciò succede nonostante ci siano parecchie ragioni per ritenere questi sistemi distraenti e quindi molto pericolosi. Ragioni che però si scontrano con quelle secondo cui, pur nel loro essere problematici, i sistemi di infotainment sono comunque meno peggio dell’uso degli smartphone alla guida: che è vietato, ma piuttosto comune.
Di schermi all’interno delle auto si iniziò a parlare con una certa concretezza intorno al 2010, tre anni dopo l’arrivo sul mercato dei primi iPhone e quando già si stavano diffondendo i sistemi di navigazione satellitare. All’inizio di quell’anno il New York Times pubblicò un articolo che diceva: «tra lo sconforto di chi si impegna per la sicurezza stradale e già deve occuparsi di tante possibili distrazioni per chi guida, i produttori di auto e le aziende tecnologiche hanno trovato un nuovo posto in cui mettere i loro sofisticati computer collegati a internet. Le grandi aziende tecnologiche come Intel e Google stanno spostando le loro attenzioni dalle scrivanie ai cruscotti».
Già da decenni i volanti, le autoradio e i quadri strumenti delle auto (prima analogici e poi digitali) rappresentavano una relativa distrazione dalla guida. L’arrivo degli schermi sui cruscotti ha segnato però una chiara differenza: prima si potevano muovere ghiere o manopole tenendo gli occhi sulla strada; nel caso di schermi – in particolar modo quelli da toccare – ogni azione richiede all’autista di distogliere lo sguardo dalla strada.
Ormai ci sono, ha scritto Slate, «schermi di automobili che sembrano iPad (come quelli delle Tesla), schermi che sono dotati di una ridondante manopola fisica per muoversi tra le icone (succede in certe Genesis), e schermi che dicono di riuscire a leggere i movimenti della mano (è il caso di alcune BMW). Soprattutto, auto diverse hanno schermi tra loro molto diversi. Per differenziarsi e dare l’idea di aver sempre qualcosa di nuovo da offrire, le case automobilistiche cercano infatti di proporre ciascuna qualcosa di diverso sui loro schermi.
Dal punto di vista produttivo, inoltre, alle case automobilistiche conviene investire sullo sviluppo software e hardware di un unico schermo anziché dover progettare, produrre, inserire e testare in ogni modello tutta una serie di tasti e manopole, riquadri e quadranti.
La cosa ha senso anche dal punto di vista del marketing. Il perché lo ha spiegato Kelly Funkhouser, che se ne è occupata per il sito Consumer Reports: «chi va in un concessionario ormai dà quasi per scontato che un’auto abbia un sistema di sicurezza a cinque stelle, e che sia veloce in frenata o in accelerata». Secondo Funkhouser, anche considerando che ormai molte auto sono ibride o elettriche, sono poche le cose in grado di fare la differenza tra due auto di simile livello, e «l’infotainment è una di queste».
Succede quindi che passando da un’auto a un’altra ci si trovi ad avere a che fare con sistemi diversi, che funzionano in modi diversi, che spesso hanno poche cose in comune con i sistemi Apple o Google (che offrono a loro volta i sistemi CarPlay e Android Auto). Saper usare lo schermo di un’auto non per forza di cose vuol dire saper usare con facilità quello di un altro modello. La conseguenza è che ciò che ha senso per il marketing rischia di diventare un problema per la sicurezza, visto che per usare uno schermo pieno di opzioni, basato su un sistema con cui non si ha familiarità, si finisce per distrarsi molto di più e per più tempo. Anche se si fa un po’ di pratica da fermi, è molto probabile che ci si impratichisca principalmente mentre si guida. E, come ha scritto Slate, «una curva di apprendimento lenta e ripida non è l’ideale se chi la sta scalando ha per le mani una scatola di metallo da tre tonnellate».
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Non è però certo che la soluzione stia solo in schermi più piccoli e più semplici. Perché – in breve – più uno schermo è grande ed efficace in quel che deve fare, e meno è la tentazione di chi guida di prendere in mano lo smartphone, che oltre a essere relativamente piccolo introduce tutta una serie di ulteriori distrazioni. Nel caso in cui l’autista debba reagire con rapidità a qualcosa che succede davanti a lui, i tempi di reazione poi sono ancora più rallentati, perché rispetto ai sistemi di infotainment porta solitamente gli occhi di chi guida ancora più lontano dalla strada.
In tutto ciò, mancano dati chiari e completi su come e quanto siano usati i sistemi di infotainment, e su quanto eventualmente siano pericolosi. Per via della loro novità e peculiarità ad oggi mancano anche regole chiare che ne definiscano l’uso. Devono rispettare le normative sugli interni delle auto, senza essere troppo “duri” o “spigolosi” per ragioni legate agli urti in caso di incidente. Ma è complicato regolare cosa si possa fare con gli schermi, e quando.
Tutto questo mentre nel futuro (anche senza spingersi in quello ipotetico e di certo non vicino delle auto che si guidano da sole) potrebbero arrivare sempre più sistemi il cui scopo sarà automatizzare vari elementi della guida, di fatto dando agli autisti meno cose da fare e quindi rendendoli più sensibili e disponibili a ogni distrazione.
C’è però anche chi, forse proprio per differenziarsi, dice di non voler puntare su schermi sempre più grandi e con sempre più funzioni. Jean-Philippe Imparato, amministratore delegato di Alfa Romeo, di recente ha detto: «il guidatore è e sarà sempre al centro di tutto. In macchina ci saranno il minor numero di schermi possibile. Non vendiamo un iPad con un’auto costruita attorno. Vendiamo un’Alfa Romeo». Dice comunque qualcosa il fatto che, poco più di dieci anni dopo quell’articolo del New York Times, debba parlare di “minor numero di schermi possibile”, anziché di “nessuno schermo”.
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