La scuola non sa bene come fare con i test e le quarantene
Le lezioni sono iniziate con poche novità rispetto allo scorso anno: il monitoraggio è parziale e ogni regione ha regole diverse
Nonostante la chiusura delle scuole e la didattica a distanza siano state una delle conseguenze più rilevanti e problematiche della pandemia, le lezioni sono ripartite con poche novità rispetto all’ultimo anno e mezzo: è stato studiato un sistema di monitoraggio dei contagi solo parziale, a campione e in alcune fasce d’età, non c’è ancora chiarezza su come debbano essere organizzate le quarantene, e non ci sono studi e dati sufficientemente affidabili per capire quale sia l’impatto della regolare presenza in classe di milioni di ragazze e ragazzi sull’andamento generale dei casi nel paese.
Questa incertezza – in parte fisiologica in questa fase delle riaperture, e ampiamente prevista – è stata piuttosto evidente nelle prime due settimane di lezione. La situazione è molto migliore dell’anno scorso grazie ai vaccini, che però possono essere somministrati solo a chi ha più di 12 anni. Se per gli operatori scolastici il Green Pass è obbligatorio, un terzo degli studenti delle scuole superiori deve ricevere ancora la prima dose.
Finora sono stati scoperti nuovi contagi tra gli studenti in tutte le regioni italiane, e sono state messe in quarantena decine o centinaia di classi a seconda delle province interessate.
Uno dei problemi più grossi sembra essere la difficoltà di valutare quanto sia preoccupante il numero di contagi rilevati tra gli studenti, perché prima dell’inizio dell’anno scolastico non erano state fatte previsioni precise su quello che ci si poteva aspettare. Un altro problema è che il monitoraggio dei contagi nelle scuole studiato dal ministero della Salute è stato organizzato a campione: i test vengono eseguiti ogni quindici giorni a 54mila alunni, sul totale di 4,2 milioni di studenti, e solo nelle scuole elementari e medie. Sono stati scelti i test salivari, più semplici da eseguire, meno invasivi rispetto agli antigenici e ai molecolari, ma anche meno affidabili.
I test vengono fatti in autonomia dalle famiglie, consegnati in punti di raccolta e successivamente analizzati dai laboratori delle Regioni. Secondo il documento pubblicato dal ministero per spiegare i criteri dei test, è stato scelto questo metodo sulla base di parametri come «sostenibilità, impatto economico, accettabilità del test da parte dell’alunno e della famiglia». Il protocollo, che è nuovo e non è mai stato sperimentato, potrà essere ampiamente modificato in base all’andamento della situazione epidemiologica, all’adesione della popolazione scolastica, alla disponibilità di nuovi test diagnostici e alle «mutate esigenze di salute pubblica a livello nazionale o regionale».
In mancanza di dati e studi, tutte le considerazioni che vengono espresse sul ruolo della scuola nella diffusione dei contagi sono basate sull’aneddotica. Già lo scorso anno gli esponenti del Comitato tecnico scientifico avevano dato pareri discordanti al riguardo, e avevano cambiato spesso opinione nel giro di poche settimane, senza dare troppe sicurezze a chi doveva decidere e alle famiglie.
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C’è poi la questione delle quarantene: non c’è infatti certezza sui criteri per decidere quanti alunni debbano farla quando viene trovato un caso positivo nella loro classe, e per quanto tempo debbano rimanere in isolamento.
Per quanto riguarda il primo punto, ogni regione ha applicato un protocollo diverso: in Veneto rimane a casa solo la ragazza o il ragazzo contagiato, in Emilia-Romagna la quarantena si estende al compagno di banco, in Toscana e in molte altre regioni a tutta la classe. «Le aziende sanitarie lo fanno perché non hanno personale sufficiente per il contact tracing», ha detto a Repubblica Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. «Si sta replicando inesorabilmente il meccanismo dell’anno scorso».
Il Lazio ha proposto un criterio che potrebbe essere condiviso anche da altre Regioni, e che prevede di introdurre le stesse regole che valgono quando viene trovato un positivo in aereo: vanno in quarantena le persone sedute nelle due file dietro, davanti e di lato. La Regione vorrebbe applicare lo stesso criterio nella scuola, sostituendo le file ai banchi. In teoria la proposta potrebbe limitare il ricorso alla quarantena, con una serie di vantaggi per le famiglie, ma sembra avere molti limiti: in classe non si sta rigorosamente seduti per cinque ore allo stesso posto, come su un aereo, si cambiano compagni di banco durante i laboratori o i lavori di gruppo, e le regole di distanziamento sono difficili da rispettare soprattutto durante le ore di educazione fisica, gli intervalli, l’entrata e l’uscita dagli istituti.
Per quanto riguarda il secondo punto, cioè quanto dovrebbe durare l’isolamento, al momento le regole prevedono tre diversi periodi di quarantena: chi è vaccinato (vale solo per chi ha più di 12 anni) deve rimanere in quarantena per sette giorni e sottoporsi a un tampone antigenico prima di poter rientrare in classe; la quarantena sale a dieci giorni per i non vaccinati, sempre con esito negativo del tampone prima di tornare a scuola, e a quattordici giorni per chi non vuole sottoporsi al tampone. In questo caso si può rientrare solo se asintomatici, e non è chiaro come il rientro scaglionato – vaccinati, non vaccinati con tampone e senza – si combini con la didattica a distanza e in presenza..
Sempre nel Lazio, una delle regioni che hanno sperimentato più soluzioni alternative rispetto alla regole fissate dal Comitato tecnico scientifico, è stato ipotizzato di diminuire i giorni di quarantena, da sette a cinque, per gli studenti vaccinati. Anche su questa proposta ci sono pareri discordanti. Secondo la Stampa, che ha citato una «voce autorevole» del comitato di esperti, l’orientamento sarebbe favorevole. Repubblica, invece, sostiene che alcuni membri del Comitato tecnico scientifico sarebbero scettici.