Ancora una canzone di Lucio Battisti
Di quando tutte le cose erano cambiate
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Negli Stati Uniti è infine uscito un documentario su Ray Parker jr., che divenne celeberrimo in mezzo mondo per la canzone (bruttina, ora possiamo dirlo) di Ghostbusters, ma che aveva avuto una carriera varia il pop e l’R’nB di una certa nobiltà e con cose da raccontare.
Neil Tennant dei Pet Shop Boys ha avuto da ridire sul bonus da 105 milioni di sterline che potrebbe ricevere il capo della casa discografica Universal.
È partito il tour dei Genesis e al critico del Guardian è piaciuto molto.
Sempre sul Guardian Rick Astley ha commentato il successo online delle sue imprevedibili interpretazioni degli Smiths di cui dicemmo la settimana scorsa.
Un’altra selezione di engagement sulle canzoni usate come sveglia dai lettori delle Canzoni:
«l’inizio di Appointment in Milano di Bobby Watson in loop (saltando l’intro di contrabbasso delle prime 8 battute)»
«quindi non sono l’unico che usa i Radiohead per la sveglia: per me è Let down, ogni tanto vario su No surprises»
(devo ammettere che No surprises mi tenta molto: proverò e vediamo se inizio a odiarla)
«Io per un po’ ho avuto la folle idea di mettere Good morning da Singin’ in the rain, ma in effetti era troppo brillante, metteva un po’ di ansia al risveglio, e soprattutto tu si inchiodava in testa e si faticava a mandarla via. Per molto tempo ho po avuto Time in a bottle, di Jim Croce, e ora invece è il Duca Bianco a svegliarmi con Time, ma in realtà non arrivo mai al cantato, mi sveglio già sulle prime note»
(“il Duca Bianco” te la passo proprio per affetto)
Fatti un pianto
Lucio Battisti
Fatti un pianto su Spotify non c’è
Fatti un pianto su Apple Music non c’è
Fatti un pianto su YouTube
Dal monte ventoso dei miei sentimenti
Ho avuto una conversazione con un amico, di recente: lui diceva che la vecchia accusa contro Battisti e il suo paroliere Mogol di essere amico delle destre e persino dei neofascismi era una totale sciocchezza e meno male che l’abbiamo superata. Anzi, lo riassumo per chi non c’era: negli anni Settanta l’amore universale per le canzoni di Battisti era vissuto con qualche tormento tra le persone di sinistra perché circolavano molte chiacchiere sulle simpatie di destra dei due e suggestive letture di alcuni dei loro testi. Che le chiacchiere fossero vere o no – interessante, ma insignificante per la bellezza delle canzoni: tema tornato attualissimo, come sapete, quello della tolleranza coi risvolti “politici” dell’arte – è vero che tra i giovani neofascisti invece ci si rallegrava molto di quelle letture, e che Battisti si teneva assai alla larga dagli impegni progressisti dei cantautori coevi. Ma daccapo, chissenefrega, trattasi di canzonette, e in molti neanche ci facevano caso ai discussi “boschi di braccia tese” eccetera: la mia obiezione al mio amico era stata casomai che in diversi testi di Mogol c’è stato invece un esibito tono sprezzante nei confronti delle donne citate, trattate con un certo fastidio come non all’altezza, richieste di darsi una regolata o disprezzate per la loro leggerezza nei rapporti. E la percezione di questo messaggio è invece palese e per niente criptica, e in questo caso è più difficile separarlo dalla bellezza e dal godimento delle canzoni, dal suono: per esempio quando lui le dice che un’emozione “capire tu non puoi” o che “è dentro me, ma nella mente tua non c’è”. Ma gli esempi sono tanti.
Ripensandoci ed elencando quei testi, ci siamo accorti che questa cosa si è molto attenuata da un certo punto in poi, quando le donne nei testi di Mogol e Battisti (e forse nelle loro teste) hanno iniziato a diventare più complici, più adulte e a saperla più lunga, col culmine esplicito (un po’ fragile nella storia) di Una donna per amico. Malgrado la fama maggiore del periodo precedente, i dischi della seconda metà degli anni Settanta sono i miei preferiti, tra l’altro.
Poi arrivò il terzo periodo di Battisti, e tutto questo fu rimosso alla radice rimpiazzando il paroliere: fu una scelta storica e assai discussa allora, come certe separazioni coniugali di celebrities, e i testi delle nuove canzoni di Battisti iniziò a scriverle Pasquale Panella, poeta di grande ed estrosa creatività con le parole, con i loro suoni e con i loro sensi. Nel frattempo eravamo nel 1986 e quindi era cambiato un po’ tutto anche con la musica e gli arrangiamenti: e quindi soprattutto il primo disco che fecero insieme venne stupendo, e stupendamente nuovo. Ne è stato scritto tantissimo, con ampie e meritate celebrazioni del lavoro di Panella, ma la cosa che amai di più dal primo ascolto è lo scivolare e aggrovigliarsi delle parole (a volte difficili da afferrare immediatamente), riuscito più di tutto in Fatti un pianto per via del suo andamento precipitoso.
E calva d’amore, lustro sguardo da biliardo
Boccia sul tappeto il suo pallino
(L’altra cosa che si nota travolgente in Fatti un pianto è il sassofono di Phil Todd, che ha messo i suoi fiati in decine di dischi di famosi e – vedi un po’ – suonerà poi il flauto in Friday’s child di Will Young, per restare nei dintorni di questa newsletter).
I ricercatori di significati sono andati a nozze con Fatti un pianto e con tutto il disco: ma rispetto agli anni Settanta il discorso si era spostato, e di chilometri, e quando la strofa si riattizza in
E tu dici ancora che non parlo d’amore
Batte in me un limone giallo, basta spremerlo
Con lacrime salate agli occhi tuoi
Ben condita amata t’ho
quello che arriva è “ben condita matatò”: che hai voglia a studiare i testi e cercare interpretazioni, e a parlare di poesia e poeti: sono i suoni che vincono sempre, con la musica.
La prima e la seconda canzone di Lucio Battisti di cui parlammo.
Fatti un pianto su Spotify non c’è
Fatti un pianto su Apple Music non c’è
Fatti un pianto su YouTube